Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-12-2010) 14-01-2011, n. 783 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Bologna in parziale riforma della decisione in data 12/11/08 del G.U.P. del Tribunale in sede, che aveva dichiarato Z.L., E.H. K., O.S. e M.M. colpevoli dei reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico e di vari episodi di spaccio di sostanze stupefacenti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73, comma 1 bis, art. 6, come contestati in rubrica e condannati alla pena di giustizia, assolveva il M. dal reato di cui all’art. 74 D.P.R. cit. per non avere commesso il fatto, rideterminando la pena per i residui reati satelliti, e confermava nel resto l’impugnata sentenza.

Si imputava ai predetti di avere fatto parte di un sodalizio criminoso finalizzato all’importazione dal Marocco all’Emilia Romagna di sostanze stupefacenti del tipo hashish mediante l’occultamento di esso all’interno di doppi fondi, appositamente realizzati su autovetture, che venivano imbarcate sulle tratte marittime Marocco- Italia, lo Z.L. con il ruolo di coordinatore-fornitore insieme con il fratello, – Z.K. per il quale si era proceduto separatamente -, gli altri tre con il ruolo e di referenti di quest’ultimo.

L’indagine aveva preso le mosse dall’arresto di un certo M. A., trovato in possesso di circa mezzo chilo di hashish, che aveva consentito di accertare l’esistenza di un gruppo di magrebini, tra i quali gli attuali imputati, residenti in provincia di Modena, dediti al narcotraffico e si fondava sul contenuto di numerose intercettazioni telefoniche e sugli esiti degli appostamenti della p.g., cui faceva seguito l’accertamento di numerose cessioni di stupefacenti da parte del gruppo predetto, nonchè il sequestro di due importazioni di notevoli quantitativi di hashish.

In motivazione il giudice del gravame, rispondendo alle censure mosse nei motivi di appello degli imputati, condivideva la ricostruzione della vicenda operata in prime cure, facendo propri i rilievi e le argomentazioni formulate dal G.I.P. a sostegno della conferma del giudizio di colpevolezza, ed in particolare, analizzando il contenuto delle conversazioni intercettate, che attestavano la continuità dei contatti degli imputati con i fornitori, la reiterazione delle condotte di spaccio in occasione delle forniture, la disponibilità nell’esecuzione delle disposizioni dei referenti, la solidarietà manifestata nei confronti dei compagni arrestati, il previo accordo tra gli imputati in relazione all’importazione datata aprile 2006 e quella datata giugno 2006, il rinvenimento di documentazione in possesso di O. all’atto del suo arresto, comprovante plurimi versamenti in favore dello Z.L., il tutto per dimostrare non solo la stabilità e la continuità del vincolo associativo, avendo costituito il gruppo dei modenesi, ad accezione del M., del quale non era stata raggiunta la prova della partecipazione al sodalizio, un canale di distribuzione all’ingrosso predisposto e finalizzato allo smercio dello stupefacente importato dai fratelli Z., ma anche la effettività del narcotraffico attraverso i reati fine, valorizzando sul punto l’accertata triangolazione tra fornitori e clienti attraverso gli esiti delle operazioni di o.p.c. poste in essere dagli inquirenti. Riteneva infine congrua e adeguata alla gravità dei fatti e allo spessore criminale degli imputati la pena a ciascuno inflitta, ad eccezione del M., la cui sanzione era rideterminata in conseguenza dell’assoluzione dal reato associativo.

Contro tale decisione ricorrono gli imputati e ne chiedono l’annullamento.

Lo Z. a mezzo del suo difensore nell’unico motivo a sostegno lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione in riferimento alla determinazione della pena, sostenendo che i giudici del merito non avevano dato conto delle ragioni per cui non era stato applicato il minimo edittale, nonostante la non particolare gravità del fatto anche sotto il profilo della quantità della droga commerciata.

E.H.K. e O.S. nei rispettivi speculari ricorsi eccepiscono con il primo motivo la insussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo e in particolare l’errata applicazione della norma incriminatrice in riferimento alla effettiva presenza di una struttura organizzata, alla stabilità dei rapporti illeciti che avrebbe legato ciascuno di essi agli altri concorrenti, alla consapevolezza di concorrere con altri soggetti stabilmente associati, argomenti tutti non compiutamente esaminati dai giudici di merito o comunque travisati nella valutazione del compendio probatorio. Con il secondo motivo denunciano la insussistenza degli elementi costitutivi dei reati satelliti, il difetto di motivazione nella valutazione della prova in ordine alle contestate cessione di stupefacenti a soggetti non meglio identificati, desunte da conversazioni telefoniche, da cui non era possibile desumere nè l’avvenuta cessione, nè la quantità o il tipo di sostanza ceduta, infine la mancata risposta alle specifiche doglianze difensive.

Infine il M. lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alle ipotesi di reato di spaccio contestati ai capi 7) e 18), censurando la contraddittorietà della decisione, che pur assolvendo l’imputato dal più grave reato associativo, non ne aveva tratto le dovute conseguenze anche in ordine ai reati satelliti, ritenendo non credibile la versione difensiva e negando valore alle ragioni che sottostavano ai due viaggi compiuti a Genova. Sosteneva che non si era dato conto dei motivi per cui la pena si fosse discostata dal minimo edittale e delle ragioni a sostegno della pericolosità sociale sottostante alla disposta misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato ex art. 86 D.P.R. cit.

I ricorsi sono tutti inammissibili.

Il ricorso dello Z.L., a prescindere dalla sua genericità, tende a sottoporre al giudizio di legittimità questioni di mero fatto e valutazioni discrezionali in ordine all’entità della pena, rimesse all’esclusiva competenza del giudice di merito, che nella fattispecie mostra di aver fatto corretta applicazione dei parametri suggeriti dagli artt. 133 e segg. c.p.p..

Le censure, proposte nei ricorsi di E.H.K. e O. S. esorbitano dal catalogo dei casi di ricorso stabiliti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianze non consentite ai sensi del comma 3 cit. art., volte, come esse appaiono, ad introdurre come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa, come tale, in questa sede.

Ed invero la corte distrettuale ha dato conto con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui prima si è fatto cenno delle ragioni della conferma del giudizio di colpevolezza sia in riferimento al reato associativo, che ai reati satelliti, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine e non mancando si soffermarsi sulle doglianze difensive espresse nei motivi di gravame, sicchè la motivazione non appare sindacabile in sede di controllo di legittimità, specie se si tien conto che i ricorrenti si limitano sostanzialmente a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale probatorio.

Stesso discorso vale per la prima censura, espressa nel ricorso di M.M., che si profila come una rivalutazione di merito in ordine al suo coinvolgimento in due episodi, concernenti il primo la consegna della droga da parte dello Z. presso l’abitazione di E.H. nell’Aprile 2006 e il secondo il ritiro nel porto di Genova sempre da parte dello Z. della droga proveniente dal Marocco. Difetta di specificità inoltre la seconda censura, concernente la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato, che essendo stata formulata in maniera del tutto generica nei motivi di appello, non esigeva alcuna specifica confutazione da parte della corte di merito, a fronte della esaustiva motivazione, contenuta nella sentenza di primo grado, che con argomenti immuni da vizi logici o giuridici, giustifica ampiamente la pericolosità sociale di tutti e tre gli imputati, correttamente applicando la regola di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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