Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 736

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16.12.2009 il Tribunale di Lecce disattendeva la richiesta di applicazione del regime del reato continuato, formulata da P.O., condannato con quattro sentenze, tutte emesse dalla Corte d’appello di Lecce; egli venne ritenuto colpevole di estorsioni commesse nell’anno (OMISSIS), con una prima sentenza, quindi di due omicidi commessi nell’intervallo temporale tra il (OMISSIS), con una seconda e terza sentenza, infine, di porto di armi con una quarta sentenza. Per quanto il P. possa essere ritenuto soggetto a disposizione del gruppo malavitoso capeggiato da G.R., su incarico del quale mise a segno dette azioni criminose, il Tribunale escludeva che il menzionato avesse avuto in mente nell’arco temporale che va dagli inizi dell’anno (OMISSIS), fino all'(OMISSIS), la progettazione delle varie azioni criminose messe a segno, nè in forma specifica, nè in via generale, avendo di volta in volta eseguito degli ordini.

2. Avverso detta ordinanza interponeva ricorso per Cassazione la difesa del prevenuto, per dedurre violazione di legge – ed in particolare dell’art. 81 c.p. – nonchè vizio di motivazione: viene sottolineato il ruolo di subalterno rivestito dal P. che non poteva progettare azioni delittuose, ma invero aderì ad un programma criminoso ideato da altri, avendo fatto parte di un gruppo diretto dal G., con ambizioni egemoniche sul territorio, ambizioni che presupponevano l’uso della violenza. Il ricorrente non fu condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., soltanto perchè, come ebbe a sottolineare la Corte d’Appello di Lecce, non gli fu mai contestato questo reato: peraltro vi sarebbero stati indicatori di un unico disegno criminoso che avrebbe animato il P. nella sua attività delinquenziale nell’arco temporale di poco più di un anno, considerato che la cessione di armi (di cui alla quarta condanna) si verificò dopo una riunione in cui il capo clan Gianfreda, accompagnato dal P. stesso, ebbe a concordare una tregua con il capo del clan avverso. E detta riunione, che precedette tutti i reati che sono stati addebitati al P., costituirebbe elemento sintomatico, a detta della difesa, dell’unitarietà del programma del gruppo Gianfreda, a cui i sodali – tra cui il P. – avrebbero aderito.

3. Il Pg ha chiesto respingersi il ricorso in considerazione della circostanza che i motivi a sostegno del ricorso costituiscono censura in fatto della decisine impugnata, in punto ritenuta insussistenza dell’unicità del disegno criminoso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Il Tribunale ha dato conto, nel rigettare l’istanza di applicazione del regime del reato continuato, di come la figura del P. emerga dalle sentenze di condanna quale mero esecutore materiale, mandato di volta in volta a svolgere attività criminose, del tipo estorsioni, omicidi, consegna di armi, azioni che venivano programmate da altri, talora all’esito di accordi tra clan, la cui progettazione mai fu espressione della sua volontà. In questa cornice si doveva concludere per una generica ed incondizionata adesione del P. alle deliberazioni del clan GIANFREDA, ma certo non si poteva ritenerlo ideatore nè in forma specifica, nè in via generale delle azioni criminose che di volta in volta gli fu chiesto di mettere a segno. Il percorso argomentativo seguito dal tribunale è aderente ai dati emergenti dalle sentenze di condanna e corretto in termini di diritto: i motivi che sono stati dedotti introducono elementi di puro merito che non sono ammessi in detta sede e non aggrediscono il punto centrale della motivazione del provvedimento impugnato, ovverosia che il P. operò come gregario, agli ordini che di volta in volta gli vennero impartiti e dunque in una dimensione del tutto esterna alla progettualità, il che ha portato ad escludere correttamente la sussistenza di un disegno criminoso.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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