Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 733 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 17 marzo 2010, depositata in cancelleria il 2 aprile 2010, la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, rigettava le istanze avanzate nell’interesse di P.C. volte a ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione ai sensi dell’art. 671 c.p.p., in relazione alle condanne ivi indicate, e l’applicazione della riduzione della pena relativa ai periodi presofferti da applicare sul provvedimento di unificazione pene concorrenti giuridico determinato ai sensi dell’art. 78 c.p..

2. – Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione P.C. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, violazione dell’art. 81 cpv. c.p., art. 671 c.p.p. e art. 78 c.p., mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per non essere state prese in considerazione le argomentazioni motivazionali di cui alle sentenze allegate e in merito alla mancata applicata della diminuzione della pena di cui all’art. 442 c.p.p., comma 2; veniva innanzitutto chiarito che la sentenza 259/92 della Corte di Appello di Messina era stata posta in continuazione con la sentenza n. 181/87 della stessa Corte di Appello (riguardando entrambe il possesso di un fucile a canne mozze) mentre la sentenza n. 449/04 atteneva al reato di detenzione di una pistola cal. 38 commesso nel (OMISSIS), comunque collegata al fatto della detenzione e all’utilizzo di armi da parte del P.. Da qui la sussistenza del rapporto continuativo con le sentenze nn. 8/03 della Corte di Assise di Appello di Messina e 266/04 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, già poste a loro volta in continuazione con il provvedimento della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria con decisione n. 2/09 e riguardanti condotte di associazione a delinquere per essere il ricorrente componente dei gruppi mafiosi del clan Leo Giuseppe (dal (OMISSIS)) e Mancuso dal (OMISSIS), reati associativi che attenevano a reati aggravati dall’uso di armi.

Inoltre in entrambi i reati associativi il P. era stato arrestato per avere avuto il compito di custodire parte delle armi e per il possesso di un fucile (fatti di cui alle sentenze dianzi indicate nn. 181/87 e 259/92). Il collegamento temporale e volitivo dovevano quindi necessariamente far militare per la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso giusti i compiti svolti dal P. all’interno dell’associazione criminale, considerato che il mantenimento della supremazia sul territorio veniva operata dai clan con l’uso delle armi. Da censurare era anche l’argomentazione dell’ordinanza che aveva escluso il collegamento della condotta di cui alla sentenza n. 449/94 con la malavita organizzata e quindi con le sentenze n. 8/03 e n 266/04 sul presupposto che si era trattato di un reato passionale e non di mafia non essendosi tenuto conto della posizione assunta dal P. all’interno del clan, delle caratteristiche mafiose del fatto e del tenore del provvedimento citato n. 2/09. Nell’ipotesi di accoglimento della continuazione dovrà altresì disporsi la riduzione della pena ex art. 442 c.p.p..

Medesima censura deve rivolgersi in relazione alla sentenze n. 34/94 della Corte di Assise di Appello di Messina e la sentenza n. 5/01 della Corte di Assise di Appello di Messina concernenti il porto abusivo di armi e due episodi omicidiari trattandosi di reati della stessa natura verificatisi a distanza di tre mesi gli uni dagli altri. Da censurarsi erano altresì le argomentazioni espresse in ordinanza che afferiscono trattarsi di omicidi maturati in ambienti diversi (quello del D.P. nel contesto del traffico di sostanze stupefacenti mentre quello del M. nell’ambito mafioso). La Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria non ha tenuto conto che anche il limitato contesto del traffico di sostanze stupefacenti deriva dalla volontà di predominio sul territorio del contesto mafioso. Anche in questo caso veniva richiesto per l’ipotesi di accoglimento della continuazione la diminuzione per il rito abbreviato. b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, violazione dell’art. 78 c.p., artt. 438 e 442 c.p.p. e comunque mancata indicazione del perchè non si è ritenuto di dover applicare la riduzione della pena ai precedenti periodi di presofferto sul provvedimento di unificazione pene concorrenti determinato ai sensi dell’art. 78 c.p.; la Corte ha fatto riferimento a una motivazione per relationem con richiamo ad altra ordinanza quando per contro trattasi di un nuovo cumulo giuridico con motivazioni del tutto nuove.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1. – Il Giudice dell’esecuzione ha per vero fatto corretta applicazione delle norme di legge e dei principi più volte affermati da questa Corte (v. Cass., Sez. 1,7 aprile 2004, n. 18037, Tuzzeo, rv. 229052) circa l’inidoneità di mere situazioni soggettive ad integrare l’identità del disegno criminoso di cui all’art. 81 cpv. c.p. e che, del pari, è consolidata l’affermazione della radicale diversità dell’identità della spinta criminosa o del movente pratico individuabile alla base di plurime violazioni della legge penale rispetto alla medesimezza del disegno criminoso che deve cementare i vari episodi di un reato continuato; è da ritenersi altresì consolidato il principio secondo cui all’istante incombe un onere di allegazione di elementi specifici e concreti da cui desumere la fondatezza o meno dell’assunto (Cass., Sez. 5,4 marzo 2004, n. 18586, rv. 229826; conformi ex plurimis Cass. n. 5518 del 1995; n. 77 del 1995; n. 4437 del 1994; n. 898 del 1993) irrilevante essendo, in difetto di tali dati sintomatici, il mero riferimento alla relativa contiguità cronologica od all’analogia criminogena dei diversi fatti, indici, per lo più, come ritenuto nella specie, di abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione di illeciti penali piuttosto che di attuazione di un medesimo progetto criminoso, unitariamente concepito e deliberato, sia pure nelle sue linee essenziali.

3.2. – Ciò posto, il Collegio osserva che il ricorso, più che individuare singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, tende a provocare una nuova, non consentita rivalutazione delle circostanze di fatto, che, in quanto tale, è insindacabile in questa sede di legittimità, mentre il provvedimento gravato, nella carenza di allegazione da parte dell’istante di elementi concreti da cui dedurre la medesimezza del disegno criminoso, che è il presupposto indefettibile per l’applicazione dell’istituto invocato, ha correttamente motivato il diniego dell’istanza. E’ stato infatti evidenziato, tra l’altro, che non vi alcuna prova che le armi detenute nello specifico dal P. e di cui alle sentenze già poste in continuazione siano proprio quelle detenute dallo stesso per conto dei clan associativi. Correttamente pertanto il giudice ha effettuato un distinguo in tal senso, ritenendo non dimostrata la unicità del disegno criminoso tra gli uni e gli atti fatti;

parimenti motivata è la negatoria della continuazione tra le sentenze concernenti i reati omicidiari, non potendosi evincere dal tenore dei relativi provvedimenti elementi tali da considerare che i delitti abbiano avuto un’unica matrice volitiva. L’associazione costituita al fine del traffico di sostanze stupefacenti ha una sua autonomia costitutiva che non necessariamente combacia con quella mafiosa per il solo fatto di una contemporaneità di perpetrazione.

3.3 – Anche il secondo motivo di gravame non è fondato e va reietto, A prescindere dalle scarse indicazioni in ricorso circa il periodo cautelare presofferto che il ricorrente vorrebbe fosse detratto con le modalità espresse (omissione già di per sè indicativa dell’inammissibilità del ricorso), va evidenziato come il criterio moderatore ex art. 78 c.p. deve operare sulla pena concreta da espiare e non su quella complessiva trattandosi di un meccanismo regolatore che entra in funzione sulla porzione effettiva di pena e quindi opera sulla pena eseguibile. Tale criterio è univocamente imposto dalla giurisprudenza oramai del tutto consolidata di questa Corte (per citare solo alcune delle più recenti: Sez. F, 29 luglio 2008, n. 32955; Sez. 1, 6 marzo 2008, n. 12709; Sez. 1,13 novembre 2007, n. 46279, Patanè; Sez. 1, 3 dicembre 2003 n. 48160; Sez. 1,18 giugno 2004, n. 31211; Sez. 1,6 luglio 1995, n. 4102; Sez. 1, 31 gennaio 1095, n. 576) che il Collegio condivide, sul rilievo che detto canone funge da temperamento legale del coacervo delle sole pene da eseguirsi effettivamente, senza possibilità di inclusione in esso delle pene già coperte dal condono o dalla pena già espiata, le quali, altrimenti, verrebbero a godere di un duplice abbattimento, dapprima fruendo dell’applicazione del criterio in parola e poi del loro scorporo integrale dal cumulo giuridico.

E’, poi, il caso infine di osservare che il ricorrente, nell’avversare il provvedimento gravato, fa riferimento, quanto alla carenza motivazionale del giudice, a un novum non scrutinato che tuttavia non è stato meglio indicato e pertanto è generico.

Quanto, infine, alla ulteriore richiesta del ricorrente di applicazione dalla riduzione del rito abbreviato sulla pena, siccome rideterminata per effetto del contenimento del criterio moderatore dell’art. 78 c.p. (cumulo giuridico), al di là del rilievo che – secondo quanto si evince dalla originaria istanza del condannato ricorrente al giudice della esecuzione – non tutte le condanne sono state pronunciate in esito a giudizi celebrati col rito abbreviato, giova considerare che questa Corte, a Sezioni Unite, ha negato – per incidens – che nella fase della esecuzione la pena contenuta ai sensi dell’art. 78 c.p. sia suscettibile di ulteriore riduzione ai sensi dell’art. 442 c.p.p., spiegando: in executivis risulta "evidente che l’applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 c.p. segue necessariamente la già disposta riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 c.p.p., comma 2"; e, in proposito argomentando che la "obiettiva discrasia delle regole applicative nei distinti giudizi di cognizione e di esecuzione", con la correlata "disparità dei moduli applicativi nelle sequenze procedurali di determinazione della pena … trova solida e razionale base giustificativa oltre che nell’oggettiva diversità, delle situazioni processuali soprattutto nell’efficacia preclusiva derivante dal principio di intangibilità del giudicato" (v. sentenza 25 ottobre 2007, n. 45583, Volpe; ed esattamente in termini: Sez. 1, 11 novembre 2011, Cutaia, non massimata).

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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