Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 730

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con ordinanza del 24 marzo 2010 il Tribunale di Sorveglianza di Milano rigettava il reclamo proposto dal cittadino (OMISSIS) I.E. avverso il decreto con il quale il Magistrato di Sorveglianza, in data 26.11.2009, aveva disposto in suo danno l’espulsione dal territorio dello Stato, come sanzione alternativa alla detenzione, a mente del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16, comma 5.

Osservavano a sostegno della decisione i giudicanti, che:

– il reclamante aveva fondato la sua doglianza sul suo diritto all’unità familiare e sulla circostanza che egli viveva in (OMISSIS) con la moglie, (OMISSIS) ed occupata in (OMISSIS), e con i figli minori;

– il predetto era stato condannato con sentenze definitive per violazione dell’art. 572 c.p. in danno della moglie;

– pendeva ricorso di legittimità in relazione ad una terza sentenza di condanna per rapina ancora in danno della moglie;

– appare illogico evocare il diritto all’unità familiare in costanza di ripetute violazioni dei vincoli ad essa connessi, violazioni sintomatiche della sua palese inidoneità allo svolgimento dei ruoli di marito e di padre;

– il reclamante non ha provveduto al rinnovo nei termini di legge del suo permesso di soggiorno.

2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento l’interessato, personalmente, denunciandone l’illegittimità perchè inficiato, a suo avviso, da violazione di legge e difetto di motivazione.

Deduce, in particolare, parte ricorrente che sussistono profili di dubbia costituzionalità nella mancata previsione del divieto di espulsione, disciplinato ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 2, lett. c) anche in favore dello straniero convivente in (OMISSIS) con il coniuge ed i figli stranieri, purchè regolarmente residenti nel nostro Paese.

Deduce altresì il ricorrente che incongruamente sarebbe stata ritenuta irrilevante da parte del giudice a quo la pendenza davanti a questa Corte di legittimità del ricorso avverso la condanna per il reato di rapina in danno della moglie, dappoichè tale ultima condanna, unita a quelle in espiazione, comporta una pena complessiva di anni quattro e mesi uno, superiore alla soglia sanzionatoria di cui all’art. 16, comma 5, D.Lgs. citato. Essa condanna riguarda, inoltre, una figura delittuosa compresa tra quelle di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), per le quali non può essere disposta l’espulsione come sanzione alternativa alla detenzione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 16, comma 3 (T.U.)).

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha presentato le sue conclusioni scritte per l’odierna camera di consiglio, chiedendo, motivatamente, il rigetto del ricorso.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Quanto alla eccepita coerenza costituzionale della disciplina impeditiva dell’espulsione nei limiti delineati dall’art. 19, comma 2, lett. c) cit. T.U., osserva la Corte che trattasi di questione già delibata dal giudice delle leggi con le ordinanze n. 156 del 2006 e 361 del 31.10.2007 e dichiarata in entrambe le occasioni manifestamente infondata sulla base del rilievo che il legislatore può legittimamente porre dei limiti all’accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando "un corretto bilanciamento dei valori in gioco", esistendo in materia un’ampia discrezionalità legislativa, limitata soltanto dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli, carattere esplicitamente escluso nella fattispecie.

4.2 Nel resto non può che rilevarsi l’evidente aspecificità e genericità della doglianza in esame, inidonea ad incidere sulla motivazione impugnata, puntuale nel riconoscere la sussistenza dei requisiti di legge per l’adozione del gravato provvedimento, riconoscimento al quale il ricorrente nulla oppone (a parte la questione di costituzionalità appena detta) se non la pendenza di altro processo con condanna ad anni tre di reclusione per il quale non può essere disposta l’espulsione.

Al riguardo è appena il caso di osservare che il decreto di espulsione riguarda una ipotesi diversa e che sull’espulsione come innanzi disposta a nulla rileva la pendenza anzidetta, agendo le relative discipline comprese nel cit. T.U. sull’immigrazione su piani diversi senza escludersi vicendevolmente.

5. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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