Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 727 Permessi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con ordinanza del di 11 marzo 2009 il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro rigettava il reclamo proposto da S.D. avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di Sorveglianza, in data 5.11.2009, aveva dichiarato inammissibile la sua domanda volta alla fruizione di un permesso premio.

Osservavano a sostegno della decisione i giudicanti, che:

– l’ordinanza impugnata, correttamente, aveva rilevato che il detenuto sta espiando condanna per reato di matrice mafiosa, ostativo alla concessione del beneficio perchè compreso nella prima parte dell’art. art. 4 o.p., comma 1;

– anche i reati in espiazione diversi da questo, in quanto comunque consumati in continuazione con esso, ne subivano la medesima conseguenza giuridica perchè finalizzati allo scopo del controllo malavitoso del territorio;

– risultava impossibile provvedere allo scorporo delle pene anzidette, in quanto non operata l’esatta imputazione della quantità di pena riferibile ai singoli reati, nè da parte del giudice della cognizione, nè da quello dell’esecuzione, unico competente, quest’ultimo, ad eseguire tale operazione se non effettuata con la sentenza da eseguire.

2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento S. D., personalmente, denunciandone l’illegittimità perchè inficiato, a suo avviso, dalla violazione dell’art. 30-ter o.p..

Deduce in particolare parte ricorrente che:

– il riconoscimento del vincolo della continuazione tra diversi episodi delittuosi, alcuni dei quali soltanto ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, non può comportare un’estensione dell’effetto limitativo ai reati non ostativi;

– il cumulo giuridico determinato dall’applicazione della disciplina relativa al reato continuato integra una fictio juris in favore dell’imputato quod poenam, ma non certo una situazione procedimentale insuscettibile di diversa delibazione, se necessario ciò per un trattamento più favorevole al condannato;

– su tali premesse poggiano le pronunce della Corte Costituzionale e di questa stessa Corte di Cassazione secondo le quali il cumulo giuridico delle pene inflitte con l’applicazione dell’art. 81 c.p. è scindibile onde distinguere reati ostativi alla concessione di benefici penitenziari e reati a ciò non ostativi;

– il tribunale ha violato gli esposti principi;

– nell’ambito di procedimento attivato a mente dell’art. 671 c.p.p., il giudice dell’esecuzione ha negato il vincolo ex art. 81 c.p. tra la sentenza della Corte di Appello dell’8.2.2002 e l’altra oggetto del cumulo, a riprova dell’insussistenza della pretesa matrice mafiosa tra le condotte giudicate dall’una e dall’altra pronuncia;

– le più recenti pronunce di questa Corte di legittimità negano decisamente che possa il giudice dell’esecuzione sovrapporre proprie valutazioni circostanziali sovrapponendosi al giudizio del giudice della cognizione;

– in favore del ricorrente lo stesso giudice dell’esecuzione ha provveduto all’applicazione della disciplina sull’indulto provvedendo allo scioglimento del cumulo al fine di distinguere reati ostativi all’applicazione della disciplina di favore e reati condonabili.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha presentato le sue conclusioni scritte per l’odierna camera di consiglio chiedendo, motivatamente, l’accoglimento del gravame e, per l’effetto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al giudice a quo.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 La costante lezione interpretativa espressa in materia da questa Corte ed, in particolare, da questa sezione, è nel senso che si appalesa legittimo il diniego di concessione di permesso premio al condannato per reato commesso per motivi di mafia che il tribunale di sorveglianza abbia accertato attraverso l’esame del contenuto della sentenza, a nulla rilevando la circostanza che nel giudizio non sia stata contestata l’aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203 (così da ultimo: Cass., Sez. 1, 09/04/2008, n. 17816).

Giova infatti rammentare che fra i reati ostativi (salvo collaborazione con la giustizia, o sua impossibilità o inesigibilità nei termini chiariti dalla Corte Costituzionale con sentenze n. 357/1994 e 68/1995) sono compresi tutti quelli "commessi… al fine di agevolare l’attività delle associazioni" mafiose di cui all’art. 416 bis c.p.. Si tratta di una particolare qualificazione soggettiva (dolo specifico) che si aggiunge alla figura delittuosa tipica e non ne costituisce necessariamente elemento circostanziale. L’aggravamento di pena previsto in tal caso dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 non è infatti – per espressa esclusione – applicabile, ad esempio, ai delitti punibili con l’ergastolo.

Pertanto, quando il fine mafioso venga ad ogni altro effetto in considerazione e l’aggravante non sia stata contestata, il detto fine dovrà essere incidentalmente accertato dal giudice procedente. Ciò si desume, anzitutto, dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8, che prevede un’attenuante dell’utile collaborazione per i reati di mafia anche se punibili con l’ergastolo (per i quali non opera il precedente art. 7;

cfr. Cass., Sez. 1, 11.3/7.6.1997, Santise; Sez. 4, 20.6/12.9.2006, Cariolo ed altro).

Tale accertamento incidentale è stato dunque nel caso di specie legittimamente operato dal Tribunale di Sorveglianza, con riferimento al tenore dell’imputazione e al contenuto motivazionale della sentenza in esecuzione (Cass., Sez. 1, Sent, 11/07/2007, n. 34022).

4.2 La conclusione raggiunta viene contestata dal ricorrente, più diffusamente lo si è detto innanzi, sia con la riproposizione, in termini astratti, della tesi contraria, sia col riferimento al conseguito beneficio dell’indulto, sia, ancora, richiamando il disconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui in premessa da parte del giudice dell’esecuzione, e copiosa giurisprudenza di legittimità, ivi compresa quella di questa sezione, non esclusa C. Cost. 361/1994.

Su tale ultimo punto è appena il caso di osservare che altro è il processo di esecuzione, a cui si riferiscono tutti i precedenti interpretativi citati dalla difesa ricorrente, ed altro è quello di sorveglianza.

Diversa è, infatti, la valutazione giurisdizionale alla quale è chiamato il Tribunale di Sorveglianza, al quale non è richiesto mai di interpretare una sentenza passata in giudicato per darvi attuazione – compito questo funzionalmente rimesso al giudice dell’esecuzione – bensì quello di esprimere un giudizio valutativo di meritevolezza nell’ambito del percorso detentivo, nei vari momenti che lo scandiscono.

Orbene, se nella valutazione di meritevolezza è lecito e coerente che si deducano elementi di convincimento tratti dalla sentenza di condanna indipendentemente dalla formalizzazione in essa di aggravanti e circostanze, tanto non può essere consentito in executivis, potendosi e dovendosi, in tale diverso contesto processuale eseguire una attività interpretativa (del giudicato e comunque del titolo da eseguire) rigorosamente circoscritta entro i confini invalicabili del "fatto contestato nell’imputazione e accertato nella sentenza", siccome giuridicamente qualificato nella pronuncia passata in giudicato (Cass., Sez. 1, 17 febbraio 2005, n. 13404, Spadola, massima n. 231260), restando preclusa ogni possibilità di valutare e qualificare i fatti "in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice del merito" (Cass., Sez. 1, 11 gennaio 1990 (ud. 22 novembre 1989), n. 3001, Coccone, Rv. 182969; Sez. 6, 28 giugno 1994, n. 3106, Stivala, rv. n. 199149), atteso che tanto comporterebbe la (non consentita) rideterminazione della res judicata (Cass., Sez. 1, 31 gennaio 2006, n. 6362, Zungri, rv. n. 233442 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, 4.6.2008, n. 25954 già innanzi citata).

5. Sulla scorta delle esposte considerazioni il ricorso va pertanto rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento a mente dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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