Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 725 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto deliberato in data 17 dicembre 2009, la Corte di Appello di Bari rigettava l’appello avanzato nell’interesse di C.A. avverso il decreto del Tribunale di Bari con il quale gli era stata aggravata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni due con obbligo di soggiorno.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione C.A. chiedendone l’annullamento per vizio motivazionale in relazione all’accertamento di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1 con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); la motivazione attinente alla presunta pericolosità del condannato è meramente apparente non esplicitando gli elementi logici e argomentativi della decisione che giustifichino l’aggravamento. In particolare doveva ritenersi del tutto insufficiente il richiamo ai soli precedenti penali non essendovi alcun riferimento all’attitudine del soggetto a commettere nuovi reati e dunque all’analisi della sua personalità, mentre le presunte violazioni alla misura della sorveglianza speciale non possono ritenersi esaustive anche perchè la frequentazione di altri pregiudicati può costituire reato solo se assumono carattere di ripetitività, peraltro a fronte di un serio percorso di risocializzazione ingiustamente svalorizzato dalla Corte.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1 – L’impugnazione si profila infatti basata su morivi non consentiti dalla legge, atteso che la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma u, consente alla parte interessata di ricorrere per Cassazione, per le tematiche mosse in ricorso, solo per violazione di legge e comunque manifestamente infondati. Occorre per vero qui ribadire, come più volte chiarito da questa Corte, che il vizio di motivazione può assurgere a violazione di legge soltanto quando si risolva nell’assoluta mancanza, sotto il profilo letterale o concettuale, di qualsiasi argomentazione a sostegno della pronunzia (art. 111 Cost. e art. 125 c.p.p.) ovvero consista nell’esposizione di ragioni che nulla hanno a che vedere con l’oggetto dell’indagine, in guisa da rendere assolutamente incomprensibile l’iter logico seguito dal giudice.

Tali casi sono estranei alla fattispecie in esame, tenuto conto che la Corte d’Appello, ha fornito un’adeguata illustrazione delle ragioni del proprio convincimento circa la legittimità del decreto riguardante il prefato senza incorrere in errori di diritto, nè in grossolane incongruenze, avendo evidenziato, in particolare, che la sussistenza di una pericolosità sociale del proposto emergeva non solo dalle reiterate condanne riportate dal C. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 1, ma anche per il fatto che, come risultava dal certificato dei carichi pendenti, egli aveva commesso reiterate violazioni delle prescrizioni della misura di prevenzione, oltre che reati ex artt. 572, 58, 585 e 576 c.p. (commesso nel (OMISSIS)) e per il delitto di cui all’art. 588 c.p. (commesso nel (OMISSIS)); inoltre il C. era stato controllato e trovato in compagnia di persone pregiudicate.

3.2. – Privo di fondamento è il rilievo difensivo secondo cui la frequentazione di altri pregiudicati può costituire reato solo se assumono carattere di ripetitività, atteso che il giudice non ha tenuto conto di tale condotta in quanto concretante reato, ma in quanto in sè indice (legittima) di valutazione di pericolosità sociale. Nell’ambito in precedenza delineato il giudizio di pericolosità, espresso nel decreto impugnato, appare allora non censurabile in sede di legittimità, in quanto basato sull’esame della personalità del soggetto, sulla commissione di fatti illeciti, anche di particolare gravità ed in epoca recente (detenzione sostanze stupefacenti) e sugli stretti rapporti intrattenuti dal ricorrente con ambienti criminali, nonchè sulla esistenza di un tenore di vita giudicato incompatibile con le sue limitate fonti di reddito.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la con-danna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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