Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 724

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in udienza in data 25 marzo 2010, il Tribunale di Ragusa non convalidava l’arresto in flagranza di reato eseguito dai Carabinieri della Stazione di (OMISSIS) nei confronti di Z.M.A. per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter avendo ritenuto che l’arresto medesimo non fosse stato legittimamente eseguito non potendosi nella fattispecie ravvisare un ingiustificato trattenimento dell’arrestato dovendosi riconoscere allo stesso il diritto di recuperare le somme occorrenti per l’acquisto del biglietto per il rientro in patria.

2. – Avverso il citato provvedimento è insorto tempestivamente il Procuratore Generale territoriale chiedendone l’annullamento rilevando la erroneità della decisione; non era per vero possibile desumere dagli atti dell’arresto la impossidenza dello straniero che aveva peraltro dichiarato di lavorare nelle serre. Il controllo del giudice peraltro avrebbe dovuto limitarsi a un controllo di ragionevolezza dell’operato della polizia giudiziaria circa la sussistenza dei presupposti per la privazione della libertà dell’arrestato con valutazione ex ante.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio con le determinazioni di cui in dispositivo.

3.1 – Giova innanzitutto rilevare che il Pubblico Ministero ha interesse a proporre ricorso per la cassazione dell’ordinanza di mancata convalida dell’arresto sia al fine di far emergere l’illegittimità della situazione derivante dall’ordinanza di non convalida che incide sullo stato di libertà personale dell’indagato, sia per evitare che, in sede di fungibilità della detenzione (art. 657 c.p.p.), l’indagato possa costituirsi, per eventuali reati in precedenza commessi, un’impropria "riserva" di pena derivante dalla privazione della libertà personale senza titolo (cfr. Cass. Sez. 1, 17 dicembre 1998 n. 6481, Gessetto, rv. 212455). A ciò deve aggiungersi, sotto quest’ultimo profilo, che l’interesse del rappresentante della pubblica accusa potenzialmente si estende anche all’eliminazione dei presupposti per proponibilità di eventuale domanda di riparazione per ingiusta detenzione. D’altro canto tale interesse a ricorrere non può non correlarsi altresì all’esigenza di vedere comunque riconosciute correttezza e legittimità dell’operato della polizia giudiziaria che ha proceduto all’arresto non convalidato. E, per ciò stesso, all’esigenza, in via indiretta, di vedere riconosciute correttezza e legittimità dell’azione giudiziaria del proprio ufficio, che quell’operato della polizia giudiziaria ha condiviso e fatto proprio. Azione giudiziaria che si giustappone, in sinergia funzionale, all’attività della polizia giudiziaria, del cui svolgimento lo stesso PM (prima dell’udienza di convalida dell’arresto, che è in suo esclusivo potere richiedere ex art. 390 c.p.p.) effettua una previa diretta delibazione, che, in alternativa alla richiesta di convalida dell’arresto e di eventuale applicazione di una misura cautelare, può anche sfociare nell’immediata liberazione dell’arrestato (art. 389 c.p.p.).

3.2. – Tanto premesso si osserva che, come rileva il ricorrente, sono palesi gli aspetti di incongruenza del percorso decisionale enunciato nell’ordinanza impugnata. La latitudine e i limiti del giudizio di convalida dell’arresto implicano, come a più riprese chiarito da questa Corte regolatrice, che il giudice della convalida, verificato il previo rispetto dei termini di rito (artt. 386 e 390 c.p.p.), deve compiere una valutazione volta a chiarire l’esistenza del fumus commissi delicti allo scopo di stabilire se l’indagato sia stato privato della libertà in presenza della flagranza di uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p., dovendosi escludere che tale valutazione investa l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza ovvero la responsabilità per i reati contestati attraverso un’indagine ricostruttiva degli episodi incriminati nei loro specifici elementi costitutivi, un siffatto accertamento essendo riservato alle successive fasi processuali. In tale prospettiva il giudice deve controllare la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria sulla base di una analisi di ragionevolezza coesa allo stato di flagranza e alla ipotizzabilità di uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p., senza prendere in esame gli aspetti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari (v. da ultimo:

Cass. Sez. 6,28 marzo 2007 n. 24679, P.M. in proc Adamo, rv. 235136;

Cass. Sez. 6,5 febbraio 2009 n. 6879, P.M. in proc Peni, rv. 243072).

Il giudice deve allora effettuare una mera verifica esterna della validità dell’ordine rivolto dal questore allo straniero espulso di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale, senza la necessità di accertare la sussistenza concreta di esimenti o effettuare altre considerazioni che, pur attenendo alla responsabilità del soggetto (e in quanto tali non conosciute, nè conoscibili dalle forze dell’ordine non essendo loro richiesto alcun giudizio di tal genere) prescindono dalla correttezza dell’operato delle forze dell’ordine stesse che non sono tenute all’effettuazione di simili valutazioni di merito (Cass., Sez. 6,25 settembre 2003, n. 36788, P.M. in proc. El Bedri, rv. 226690).

La valutazione specifica operata poi dal giudice della convalida, di impossidenza dello straniero e dunque della sussistenza di una causa di inesigibilità, si pone come un quid pluris, che è sì necessario ai fini dello scrutinio di merito della responsabilità del prevenuto, ma del tutto esorbitante la verifica specifica di legalità della adozione della misura precautelare.

4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 620 c.p.p..

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, essendo stato l’arresto legittimamente eseguito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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