Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2011, n. 2972 Indennità o rendita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3.3.2004 il Tribunale di Enna aveva dichiarato il diritto del M. ad usufruire di una rendita per malattia professionale pari al 60% e condannato l’INAIL al pagamento della relativa rendita.

Con sentenza del 22.10.2005, la Corte di Appello di Caltanissetta accoglieva l’appello dell’istituto e, in riforma della impugnata sentenza, dichiarava il diritto dell’appellato ad una rendita commisurata al 30%.

Propone ricorso il M., con ricorso affidato ad unico motivo, distinto in due submotivi;

Deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9 e degli artt. 112, 115, 116, 441, 442 e 445 c.p.c. nonchè motivazione omessa e insufficiente (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5).

Resiste l’INAIL con controricorso ritualmente e tempestivamente notificato.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il motivo di ricorso enunciato in narrativa il M. assume che la visita di revisione dalla quale era risultato un quadro clinico strumentale attuale, non poteva rivelare un errore rettificabile ai sensi di D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9 il quale prevede la rettifica solo quando l’errore sia rilevato con metodi e strumenti di indagine disponibili all’atto del provvedimento originario e ritiene, quindi, che non si trattasse di revisione per miglioramento; afferma la portata retroattiva dell’art. 9 citato.

Osserva la Corte che la norma di riferimento, ovvero il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9 nella parte in cui consente all’errore rilevato in sede di rettifica di assumere rilevanza solo se accertato con criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all’atto della determinazione erronea, è divenuta contra ius e a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 191 del 2005, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, commi 5, 6 e 7, D.Lgs. richiamato, che prevedevano l’applicazione retroattiva del nuovo regime della revisione per errore introdotto dalla stessa norma.

Ne consegue, che, alla stregua della richiamata decisione, la revisione torna ad essere soggetta al regime di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 55 che la consentiva indipendentemente dal rispetto dei termini temporali e delle condizioni diagnostiche previste dal citato D.Lgs. n. 38 del 2000 (cfr, in riferimento ad un caso di applicazione in sede di rinvio di principio affermato dalla S.C.:

superato in virtù dello ius supetveniens costituito dalla sentenza della corte Costituzionale, che travalica il principio enunciato, Cass. sez lav. 9.7.2008 n. 18824).

Il motivo di censura è per quanto detto infondato, avendo la questione, prospettata sotto il profilo di una pretesa violazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9 allo stato perso consistenza alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 191/2005 citata, trattandosi nella specie di errore rilevato nel 1999 e quindi prima dell’entrata in vigore della predetta normativa.

Si contesta, poi, la mancata valutazione – nella sentenza resa dalla corte territoriale, uniformatasi alle conclusioni del CTU, dottor C. – delle osservazioni di cui alla consulenza tecnica di parte di parte, che si riporta integralmente nel ricorso per la parte di interesse, rilevandone la decisività ai fini della decisione.

Anche tale censura risulta infondata, atteso che la stessa non consente di individuare in che misura le osservazioni del consulente di parte riportate in ricorso (note critiche del ct. di parte, dott. A.R., che perviene ad una diversa e maggiore valutazione sia del disturbo alla motilità della colonna, che del danno al nervo sciatico) e delle quali si assume la omessa considerazione da parte del giudice del merito, avrebbero condotto a diversa valutazione incidente, sull’esito della controversia.

E’, invero, principio consolidato quello alla cui stregua il ricorrente, che deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere il giudice deciso la causa sulla base delle conclusioni di una consulenza tecnica, ignorando le critiche sollevate, ha l’onere di indicare nel ricorso in modo specifico gli errori e le omissioni del c.t.u., non considerate nella decisione, non essendo all’uopo sufficiente la mera riproposizione delle precedenti deduzioni (cfr. Cass. sez. 2, 12.3.2002 n. 3568, Cass. 6753/2003; Cass. 2601/2006).

Più in particolare, è stato osservato che "In sede di legittimità la denuncia di un vizio consistente in acritica adesione alla consulenza di primo grado, pur in presenza di elementi richiedenti specifico esame, non può limitarsi alla generica espressione della doglianza di motivazione inadeguata, essendo, invece, onere della parte, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso e del carattere limitato del mezzo di impugnazione, di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali si invoca il controllo di logicità sub specie dell’apprezzamento della "causalità dell’errore", ossia della decisività di tali circostanze; ed a questi fini non basta fare menzione, senza alcuna indicazione, sia pure sintetica e riassuntiva delle relative osservazioni critiche, di una relazione tecnica di parte, come documento non considerato dal giudice a quo, poichè, in tal guisa, quand’anche si dia per certo il contenuto critico del documento, non è dato apprezzarne la rilevanza nel senso suesposto, atteso che la contestazione dell’esattezza delle conclusioni dell’espleta consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte non serve, di per sè, ad evidenziare alcun errore delle prime – con conseguente insufficienze della motivazione della sentenza che ad esse si sia limitata a riferirsi -, ma solo la diversità dei giudizi formulati dagli esperti (cfr., in tali termini, Cass sez 3, 28.3.2006, n. 7078).

La doglianza non risulta rispettosa di detti canoni di enunciazione del vizio, onde deve ritenersi inammissibile.

I ricorso deve, pertanto, essere complessivamente respinto in relazione ad entrambi i motivi prospettati.

Deve dichiararsi non tenuto il ricorrente al pagamento delle spese de presente giudizio, trovando applicazione, ratione temporis e con riguardo all’epoca di presentazione del ricorso introduttivo di primo grado, il vecchio testo dell’art. 152 disp. att. c.p.c

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso. Dichiara non tenuto il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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