Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-02-2011, n. 2952

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Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

D.M.G., nella qualità di procuratore speciale di S. C.R., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Chieti il Comune di Bucchianico, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dalla sua rappresentata a seguito della caduta in una scarpata.

Espose che dell’infortunio, verificatosi mentre la S. cercava di salire in un’autovettura, parcheggiata sulla via che fiancheggiava il dirupo, era responsabile l’Ente, per non aver provveduto alla sistemazione del margine della strada, alla protezione di un cantiere ancora aperto e alla segnalazione della situazione di pericolo.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestò l’avversa pretesa.

Con sentenza del 7 agosto 2002 il giudice adito rigettò la domanda.

Proposto gravame dalla parte soccombente, la Corte d’appello de L’Aquila lo ha respinto in data 7 novembre 2007.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione D.M.G., nella qualità, formulando un solo, complesso motivo.

Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, il Comune di Bucchianico.

Motivi della decisione

1 Nell’unico motivo l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., nonchè mancanza e contraddittorietà della motivazione.

Le critiche hanno ad oggetto l’affermazione della Corte d’appello secondo cui doveva escludersi la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della responsabilità presuntiva di cui all’art. 2051 cod. civ., posto che l’interruzione del nesso eziologico tra cosa in custodia e danno ben poteva conseguire al fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Ora, nella fattispecie, andava considerato che la S. era caduta mentre si accingeva a risalire sulla stessa autovettura dalla quale poco prima era discesa indenne, il che comportava che sia lei che il guidatore avessero acquisito piena conoscenza dello stato dei luoghi, di talchè, in definitiva, l’incidente non si sarebbe verificato ove il guidatore avesse, secondo le regole di comune prudenza, spostato il veicolo dal margine della strada.

Sostiene per contro l’impugnante che, essendo il sinistro avvenuto in una strada sita all’interno del centro abitato, sulla quale l’Amministrazione pochi mesi prima aveva fatto eseguire opere di sistemazione e manutenzione, con ciò stesso affermando di detenerne il controllo, non poteva negarsi la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ. Aggiunge che il pericolo di cadute dei pedoni era stato positivamente valutato dall’Ente territoriale, che aveva previsto la collocazione, ai margini della strada, di una ringhiera protettiva, allo stato non ancora posta in opera nel tratto di strada ove l’incidente si era verificato.

Ricordato che la più recente giurisprudenza configura la responsabilità in discorso come una responsabilità di tipo oggettivo, deduce il ricorrente che la mera visibilità, da parte del danneggiato, dell’anomalia della strada non era di per sè sufficiente a far venir meno la responsabilità della Pubblica Amministrazione, tenuta alla custodia e alla manutenzione del bene, rispetto a un fattore di rischio che la stessa aveva previsto e che avrebbe potuto evitare.

2 Osserva il collegio che, preliminare e assorbente, rispetto all’esame del merito delle critiche formulate dal ricorrente, è il rilievo della mancata osservanza del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nella interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di questa Corte.

L’unico, complesso motivo nel quale, come testè esplicitato, sono stati denunziati sia vizi di violazione di legge, sia vizi motivazionali, si conclude con la seguente richiesta: dica la Corte Suprema, con particolare riferimento alla presente controversia, se la mancata apposizione da parte del Comune di Bucchianico della ringhiera posta a protezione della sede stradale dalla scarpata sottostante, nel punto in cui ebbe a verificarsi l’evento lesivo della caduta della ricorrente, costituisca presupposto per far valere la responsabilità per violazione del dovere di custodia di cui all’art. 2051 cod. civ. e, in caso positivo, applichi conseguentemente il principio giuridico desumibile da tale corretta interpretazione, affermando quindi che nel caso di specie va dichiarata la responsabilità dell’Amministrazione resistente e pronunciarsi, all’esito del giudizio di rinvio, la condanna della stessa al risarcimento del danno in favore della ricorrente, al fine di garantire la funzione nomofilattica del giudizio di cassazione.

Ora, se è ammissibile il ricorso nel quale si denunzino in un unico motivo d’impugnazione sia vizi di violazione di legge, sia vizi motivazionali, è tuttavia necessario che lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, (Cass. civ. sez, un. 31 marzo 2009 n. 7770), atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il quesito di diritto,, nelle ipotesi previste dai nn. 1), 2), 3) e 4), deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, sì da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; mentre, ove venga denunciato un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652, m. 602972).

3 Ora, nella fattispecie, non solo manca l’enucleazione in sintesi delle cadute dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata in relazione a ben precisi profili fattuali della vicenda dedotta in giudizio, ma il formulato quesito appare incongruo rispetto alla ratio decidendi, perchè ignora del tutto che la scelta decisoria adottata è scaturita dalla individuazione di un fattore di interruzione del nesso eziologico tra danno e cosa in custodia nel comportamento del conducente del veicolo e della stessa danneggiata.

Ne deriva che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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