Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-09-2010) 14-01-2011, n. 739 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 25 febbraio 2009 la Corte d’Appello di Catania, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto P.R. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46, lett. e) e art. 76 in relazione all’art. 483 c.p., per avere in una dichiarazione sostitutiva di certificazione, al fine di fruire di un colloquio col detenuto T.B., falsamente attestato di esserne la moglie.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo. Con esso sostiene l’innocuità del falso, essendo riconosciuto dalla legge il diritto ai colloqui anche per il convivente more uxorio.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato il principio a tenore del quale l’innocuità della falsificazione non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo invece riguardo alla idoneità o meno dell’atto a ledere l’interesse pubblico alla genuinità del documento (Cass. 19 giugno 2008 n. 38720); con ciò si vuoi dire che il falso è innocuo soltanto quando l’infedele attestazione in esso contenuta è del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio (Cass. 7 novembre 2007 n. 3564).

La fattispecie qui rassegnata non corrisponde al paradigma del falso innocuo, così come testè precisato, dal momento che l’attestazione del vincolo coniugale fra la dichiarante e il detenuto T. B. ha dato luogo alla formazione della prova di un fatto non rispondente al vero; e a nulla giova obiettare che il diritto al colloquio sarebbe spettato alla P. anche se avesse attestato nella dichiarazione la realtà di un mero rapporto di convivenza, anzichè di coniugio: poichè la lesione della pubblica fede si è realizzata per effetto della mendace dichiarazione, rilasciata nei modi di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46, lett. e) indipendentemente dall’uso concreto al quale era destinata.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *