T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 14-01-2011, n. 164

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che i ricorsi in epigrafe indicati possono essere decisi con "sentenza in forma semplificata", ai sensi dell’art. 74 del codice del processo amministrativo;

CONSIDERATO, in via preliminare, che il ricorso introduttivo, avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione n. 4262 del 28 novembre 2006, allo stato risulta improcedibile in quanto le opere abusive oggetto di tale provvedimento – come già evidenziato in sede cautelare – costituiscono oggetto anche dell’ordinanza n. 52 in data 21 febbraio 2008, impugnata con il secondo ricorso per motivi aggiunti, sicchè l’interesse della ricorrente si è spostato sull’annullamento di quest’ultimo provvedimento;

CONSIDERATO che, ai fini dell’esame del primo ricorso per motivi aggiunti – avente ad oggetto il provvedimento n. 13686 in data 11 giugno 2007, con il quale l’Amministrazione comunale ha respinto due distinte domande di condono edilizio presentate dalla ricorrente in data 10 dicembre 2004 ed iscritte ai numeri di prot. 28299 e 28300, invocando, da un lato, l’incompletezza della documentazione allegata alle predette domande di condono e, dall’altro, la disciplina posta dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, e la circostanza che il Comune di Sant’Antonio Abate sia sprovvisto della "carta dell’uso agricolo" prevista dall’art. 5, comma 3, lett. d), della legge regionale Campania n. 35/1987 – assumono rilievo decisivo le sentenze di questa Sezione (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 4 aprile 2008, n. 1877), relative ad analoghi provvedimenti di diniego di condono adottati dal Comune di Sant’Antonio Abate, nelle quali è stato evidenziato quanto segue:

– secondo l’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, "fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:…. d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Trattasi, con ogni evidenza, di una previsione normativa che esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), subordinando peraltro l’esclusione a due condizioni costituite: a) dal fatto che il vincolo sia stato istituito prima dell’esecuzione delle opere abusive; b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Da tale ricostruzione emerge un sistema che consente la sanatoria delle opere realizzate su aree vincolate solo in due ipotesi, previste disgiuntivamente, costituite: a) dalla realizzazione delle opere abusive prima dell’imposizione dei vincoli (e in questo caso trattasi della mera riproposizione di una caratteristica propria della disciplina posta dalle due precedenti leggi sul condono con riferimento ai vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’articolo 33, comma 1, della legge n. 47/1985); b) dal fatto che le opere oggetto di sanatoria, benché non assentite o difformi dal titolo abilitativo, risultino comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Deve quindi ritenersi che la novità sostanziale della suddetta previsione normativa sia costituita – come puntualmente evidenziato dalla giurisprudenza (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 20 aprile 2007, n. 1690; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 963; T.A.R. Veneto, Sez. II, 19 giugno 2006, n. 1884) – proprio dall’inserimento del requisito della conformità urbanistica all’interno della fattispecie del condono edilizio (che, al contrario, prescinde di norma da un simile requisito), così dando vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, piuttosto che ai meccanismi previsti delle due precedenti leggi sul condono edilizio. Del resto, l’originalità di tale meccanismo non deve meravigliare perché anche con riferimento al c.d. "terzo condono edilizio" la Corte costituzionale (sentenza 28 giugno 2004, n. 196, punto n. 23 della motivazione) ha ribadito che i provvedimenti di sanatoria edilizia costituiscono oggetto di un difficile bilanciamento tra interessi diversi (quelli della tutela del paesaggio, della cultura, della salute, del diritto all’abitazione e al lavoro, e, non ultimo, l’interesse finanziario dello Stato) ed ha precisato che, nel contemperamento dei valori in gioco, il punto di equilibrio è stato individuato introducendo una disciplina – più restrittiva rispetto a quelle precedenti – che in presenza di abusi realizzati in zone vincolate richiede il requisito aggiuntivo della conformità urbanistica delle opere realizzate in assenza o in difformità dal prescritto titolo abilitativo;

– quanto al problema dell’individuazione dei vincoli rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, tale disposizione – secondo la prevalente giurisprudenza (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, n. 1690/2007 cit.; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 3043) – non si riferisce solamente ai vincoli imposti su singoli immobili per effetto di un provvedimento puntuale, perché il generico riferimento ai "vincoli imposti… a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici" induce piuttosto a ritenere che il legislatore abbia optato per una più rigida tutela di beni sensibili che comprende anche quelli genericamente attinti da vincoli paesistici;

– secondo l’articolo 5, comma 1, della legge regionale Campania n. 35/1987 (di approvazione del Piano Urbanistico Territoriale dell’Area SorrentinoAmalfitana) "dalla data di entrata in vigore del Piano Urbanistico Territoriale e sino all’approvazione dei Piani Regolatori Generali comunali (ivi incluse le obbligatorie varianti generali di adeguamento ai Piani Regolatori Generali eventualmente vigenti) per tutti i Comuni dell’area è vietato il rilascio di concessioni ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10". Trattasi di una norma di salvaguardia (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 6 aprile 2004, n. 4128), evidentemente finalizzata ad indurre i Comuni ad adeguare le previsioni dei Piani Regolatori Generali alla disciplina posta dal P.U.T., il cui rigore risulta in parte temperato dalla previsione (al terzo comma dello stesso articolo 5) di talune fattispecie escluse dal divieto di rilasciare nuovi titoli abilitativi, tra le quali specifica rilevanza assume in questa sede quella di cui alla lett. d), relativa alla realizzazione di interventi edilizi nei comuni dotati di strumento urbanistico generale e ricadenti nella zona territoriale 7 di cui all’art. 17 della stessa legge regionale n. 35/1987. Infatti per tali interventi la disposizione della lett. d) prevede che "il rilascio delle concessioni in zona agricola avverrà nel rispetto del contenuto della carta dell’uso agricolo del suolo e delle attività colturali in atto redatta da un agronomo e dalle disposizioni di cui al punto 1.8, titolo II, dell’allegato alla legge regionale 20 marzo 1982, n. 14 e successive modificazioni";

– la norma di salvaguardia posta dall’articolo 5 della legge regionale n. 35/1987 trova applicazione anche nel procedimento di condono edilizio in ragione dell’espresso riferimento alla conformità "alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" contenuto nell’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003. Infatti, dal punto di vista strettamente letterale, stante la genericità del rinvio alla disciplina posta dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, tale rinvio può ben essere riferito anche alle norme di salvaguardia come quella posta dall’articolo 5 della legge regionale n. 35/1987. Inoltre, dal punto di vista sistematico, si deve ribadire che la novità sostanziale della disciplina posta dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003 è costituita dall’inserimento del requisito della conformità urbanistica all’interno della fattispecie del condono edilizio, così dando vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, piuttosto che ai meccanismi previsti delle due precedenti leggi sul condono edilizio. Ne consegue che, in virtù di tale peculiare meccanismo di sanatoria, il carattere di straordinarietà ed eccezionalità che contraddistingue il procedimento di condono rispetto al procedimento ordinario per il rilascio del permesso di costruire risulta fortemente attenuato e, quindi, non vi è ragione per ritenere che la ratio della norma di salvaguardia dell’articolo 5 della legge regionale n. 35/1987 – finalizzata ad indurre i Comuni ad adeguare le previsioni dei Piani Regolatori Generali alla disciplina posta dal P.U.T. – sia estranea al meccanismo di sanatoria disciplinato dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003;

Motivi della decisione

stante quanto precede, risultano infondati il quinto ed il sesto motivo – con i quali la ricorrente censura la seconda ragione ostativa al condono, addotta dall’Amministrazione comunale, incentrata sulla disciplina posta dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, e sulla circostanza che il Comune di Sant’Antonio Abate sia sprovvisto della "carta dell’uso agricolo" prevista dall’art. 5, comma 3, lett. d), della legge regionale n. 35/1987 – in quanto:

– non essendosi il Comune di Sant’Antonio Abate dotato della carta dell’uso agricolo del suolo e delle attività colturali, le domande di condono edilizio presentate dalla ricorrente non possono essere favorevolmente valutate alla stregua della norma derogatoria posta dall’articolo 5, comma 3, lettera d), della legge regionale n. 35/1987 e, quindi, rientrano nell’ambito di applicazione della norma generale del primo comma dello stesso articolo 5, che vieta di rilasciare nuovi titoli abilitativi fino all’approvazione dei Piani Regolatori Generali adeguati alla disciplina del P.U.T.;

– trattandosi nel caso in esame di opere abusive realizzate in zona sottoposta e vincolo paesaggistico e non conformi agli strumenti urbanistici, l’Amministrazione comunale ha correttamente applicato la disposizione ostativa al condono contenuta nell’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003;

CONSIDERATO altresì che:

– secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Basilicata Potenza, Sez. I, 28 giugno 2010, n. 456), nel caso in cui il provvedimento impugnato sia fondato su di una pluralità di autonomi motivi (c.d. provvedimento plurimotivato), il rigetto della doglianza volta a contestare una delle sue ragioni giustificatrici comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici atteso che, seppure tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l’interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato, che resterebbe supportato dall’autonomo motivo riconosciuto sussistente;

– tenuto conto di quanto precede la ricorrente, per effetto della reiezione del quinto e del sesto motivo di ricorso, allo stato non ha alcun interesse all’esame né del terzo motivo, con il quale viene censurata la prima ragione ostativa al condono addotta dall’Amministrazione comunale, incentrata sull’incompletezza della documentazione allegata alle domande di condono, né dell’ottavo motivo (relativo al mancato accoglimento della domanda di condono n. 28300), incentrato sulla irrilevanza degli ulteriori abusi edilizi posti in essere dalla ricorrente successivamente alla presentazione delle domande di condono (abusi consistenti nella chiusura perimetrale della tettoia), anche perché la sanatoria non è stata negata in ragione della realizzazione di tali ulteriori abusi;

CONSIDERATO inoltre che prive di ogni fondamento risultano le ulteriori censure, di carattere procedimentale, dedotte con il primo ricorso per motivi aggiunti. Infatti:

– quanto al primo motivo – incentrato sulla violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 – è sufficiente evidenziare che alla ricorrente è stata notificata in data 22 maggio 2007 la nota n. 11260 in data 11 maggio 2007, recante la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento delle suddette domande di condono, e che tale comunicazione fa espresso riferimento alla ragione ostativa alla sanatoria incentrata sulla disciplina posta dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, e sulla circostanza che il Comune di Sant’Antonio Abate sia sprovvisto della "carta dell’uso agricolo", prevista dall’art. 5, comma 3, lett. d), della legge regionale n. 35/1987;

– quanto al secondo motivo – incentrato sulla omessa comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e sul mancato rispetto dell’ordine di presentazione delle domande di sanatoria – è sufficiente rammentare che la mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento non incide sulla legittimità del provvedimento amministrativo posto che, in caso di mancata designazione di altro soggetto, ai sensi dell’art. 5 comma 2, della legge n. 241/1990, comunque riveste tale ruolo il funzionario preposto all’unità organizzativa competente (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 9 aprile 2010, n. 1855), e che il soggetto responsabile dell’abuso edilizio ha un’evidente interesse alla sanatoria dello stesso e non ha, quindi, ragione alcuna di dolersi del fatto che la sua domanda di condono sia stata esaminata con priorità rispetto ad altre analoghe domande;

– quanto al quarto motivo – incentrato sulla omessa comparazione dell’interesse pubblico al diniego del condono con l’interesse della ricorrente alla sanatoria degli abusi di cui trattasi – si deve rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Toscana Firenze, Sez. III, 18 gennaio 2010, n. 37), il diniego di concessione edilizia in sanatoria costituisce un atto vincolato i cui presupposti sono tipizzati dal legislatore, con la conseguenza che non occorre alcuna valutazione del pubblico interesse all’adozione dello stesso;

– quanto al settimo motivo – incentrato sulla omessa acquisizione dei pareri di competenza della Commissione edilizia integrata e della Soprintendenza – è sufficiente rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 4 ottobre 2007, n. 5153), tenuto conto della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, nonché dell’assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità del parere della Commissione edilizia integrata, l’acquisizione di tali pareri, ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, non è obbligatoria, bensì facoltativa, mentre l’acquisizione del parere dell’Autorità preposta alla gestione del vincolo paesaggistico non è necessaria laddove l’Amministrazione comunale ravvisi (come nel caso in esame) la sussistenza di ulteriori ragioni ostative al rilascio della concessione in sanatoria non connesse alla valutazione di compatibilità dell’abuso con il vincolo paesaggistico;

– quanto all’ultima censura – incentrata sull’illegittimità derivata del provvedimento di diniego di condono per effetto dei vizi che inficierebbero la legittimità dell’ordine di demolizione impugnato con il ricorso introduttivo, avente ad oggetto gli ulteriori abusi edilizi posti in essere dalla ricorrente successivamente alla presentazione delle suddette domande di condono – è sufficiente ribadire che la sanatoria non è stata negata in ragione della realizzazione di tali ulteriori abusi e, quindi, non sussistendo un nesso di presupposizione tra il primo ordine di demolizione ed il diniego di condono, la ricorrente non ha interesse all’esame delle censure dedotte con il ricorso introduttivo;

CONSIDERATO che anche il secondo ricorso per motivi aggiunti – avente ad oggetto l’ordinanza n. 52 in data 21 febbraio 2008, con la quale, a seguito della reiezione delle suddette domande di condono edilizio, è stata ordinata alla ricorrente la demolizione di tutte le opere abusive poste in essere alla via Canale n. 131/A – risulta infondato per le seguenti ragioni:

– quanto al primo, al quinto ed al settimo motivo – incentrati sul fatto che l’Amministrazione abbia omesso di valutare la compatibilità degli abusi edilizi con la disciplina posta dalla legge regionale n. 35/1987 per la zona 7 del P.U.T. dell’Area SorrentinoAmalfitana, e quindi la sanabilità degli stessi, prima di disporre la demolizione – occorre rammentare che dal combinato disposto degli articoli 31 e 36 del D.P.R. n. 380/2001 si desume che, una volta accertata l’esecuzione di opere in assenza del prescritto permesso di costruire, l’Amministrazione comunale deve senz’altro disporne la demolizione, mentre la sanabilità delle stesse consegue necessariamente ad un’istanza dell’interessato (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 27 settembre 2006, n. 8331; Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 617), nonchè ribadire che, nel caso in esame, l’ordine di demolizione consegue alla reiezione delle apposite domande di condono edilizio presentate dalla ricorrente;

– quanto al secondo motivo – incentrato sulla omessa comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e sul mancato rispetto dell’ordine di presentazione delle domande di sanatoria – valgono le considerazioni che hanno determinato la reiezione del secondo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti;

– quanto al terzo motivo, incentrato sulla mancata identificazione catastale del bene di cui è stata ordinata la demolizione, la giurisprudenza ha, in più occasioni (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7053; Sez. IV, 26 giugno 2009, n. 3530), evidenziato che nessuna norma impone l’indicazione dei dati catastali al fine di identificare il bene oggetto dell’ordine di demolizione;

– quanto al quarto motivo – incentrato sulla mancanza della deliberazione consiliare di cui all’art. 31, comma 5, del D.P.R. n. 380/2001 in merito alla sussistenza di prevalenti interessi pubblici ostativi alla demolizione delle opere abusive di cui trattasi – occorre evidenziare che il predetto art. 31 configura come doverosa sia l’adozione dell’ordine di demolizione, sia l’adozione dell’ulteriore provvedimento sanzionatorio di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva, come conseguenza della mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, mentre l’eventualità che il Consiglio comunale possa, con apposita delibera, escludere la necessità di procedere alla demolizione dell’opera acquisita al patrimonio comunale (ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici) è successiva non solo all’ordine di demolizione, ma anche all’ulteriore provvedimento sanziontorio di acquisizione gratuita dell’opera abusiva, e si configura quale alternativa all’ulteriore ordinanza di demolizione in danno delle opere abusive gratuitamente acquisite (si veda al riguardo T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 8 settembre 2006, n. 7986, con riferimento alla disciplina posta dall’art. 7 della legge n. 47/1985, oggi sostituito dall’art. 31, comma 5, del D.P.R. n. 380/2001);

– quanto al sesto motivo – incentrato sul fatto che l’Amministrazione abbia omesso di valutare se l’ordine di demolizione possa essere eseguito senza compromettere la statica del rimanente immobile – è sufficiente evidenziare che la ricorrente erroneamente invoca l’applicazione della disciplina posta dall’art. 33, comma 2, e dall’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 (secondo i quali, qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio delle opere legittimamente realizzate, può essere applicata una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria) posto che tali disposizioni riguardano, rispettivamente, gli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso di costruire e gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, mentre nel caso in esame si tratta di opere che, complessivamente considerate, configurano una nuova costruzione realizzata in assenza del prescritto permesso di costruire. Inoltre, giova rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 5 giugno 2008, n. 5244; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 17 aprile 2007, n. 3327; T.A.R. Lombardia Brescia, 9 dicembre 2002, n. 2213), da una corretta interpretazione degli articoli 33 e 34 del D.P.R. n. 380/2001 si desume che nella fase della contestazione dell’abuso l’Amministrazione non può far altro che ordinarne la demolizione, mentre l’applicazione della sanzione pecuniaria (in luogo della demolizione) costituisce una misura destinata ad operare in un momento successivo all’adozione dell’ordine di demolizione, nel caso in cui risulti che non è possibile darvi esecuzione;

– quanto all’ottavo motivo – incentrato sull’erronea qualificazione delle opere abusive di cui trattasi – dall’esame dei verbali della Polizia municipale richiamati nella motivazione del provvedimento impugnato (allegati alla memoria difensiva depositata dall’Amministrazione comunale in data 12 febbraio 2009) si desume che le opere abusive di cui trattasi configurano una nuova costruzione ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e, quindi, che ne è stata correttamente ordinata la demolizione ai sensi dell’art. 31, comma 2, del medesimo D.P.R. n. 380/2001;

– quanto alle ulteriori censure – incentrate sull’illegittimità derivata del nuovo ordine di demolizione, per effetto dei vizi che inficerebbero il provvedimento di diniego di condono impugnato con il primo ricorso per motivi aggiunti – è sufficiente far rinvio alle considerazioni che hanno determinato la reiezione delle censure dedotte con quest’ultimo ricorso;

CONSIDERATO, da ultimo, che – pur volendo non ritenere tardiva l’ulteriore censura dedotta con il secondo ricorso per motivi aggiunti, incentrata sul fatto che l’Amministrazione abbia disposto il diniego delle domande di condono proposte dalla ricorrente (e la conseguente demolizione delle opere abusive dalla stessa realizzate) senza aver prima provveduto sulla domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata dalla medesima ricorrente ai sensi dell’articolo 1, commi 3739, della legge n. 308/2004 – tale censura non potrebbe comunque trovare accoglimento. Infatti questa Sezione in altra sede ha già analiticamente evidenziato in altra sede (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 21 marzo 2008, n. 1470) le ragioni per cui si deve ritenere che l’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica sia rilevante ai soli fini del processo penale. Pertanto in questa sede è sufficiente rammentare che – accedendo alla tesi del Consiglio di Stato secondo la quale si deve ritenere che solo con la novella del 2006 (decreto legislativo n. 157/2006) sia stato esteso al procedimento di cui all’articolo 159 del decreto legislativo n. 42/2004 (ossia al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica durante la c.d. la fase transitoria) il divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI, 22 giugno 2007, n. 3483) – diviene agevole ricondurre alla sola materia penale sia la c.d. "depenalizzazione degli abusi minori" (introdotta dall’art. 1, comma 36, della legge n. 308/2004), sia il c.d. "mini condono paesaggistico" (previsto dall’articolo 1, commi 37 – 39, della legge n. 308/2004), dovendosi rinvenire la ragion d’essere di questi istituti proprio nella inidoneità del rilascio postumo dell’autorizzazione paesistica a determinare l’estinzione del reato previsto dall’articolo 181 del decreto legislativo n. 42/2004;

CONSIDERATO che, stante quanto precede:

– il ricorso introduttivo deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse;

– entrambi i ricorsi per motivi aggiunti in epigrafe indicati devono essere respinti perché infondati;

– le spese di giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, seguono la soccombenza;

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1032/2007 e sui ricorsi per motivi aggiunti in epigrafe indicati, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo e respinge i ricorsi per motivi aggiunti perché infondati.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Sant’Antonio Abate, delle spese di giudizio, che si quantificano in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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