T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 14-01-2011, n. 147 Comunicazione o notificazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con ricorso iscritto al numero di registro generale 5975 del 2009 la società O. s.r.l. espone in fatto che:

– il Comune di Maddaloni ha rilasciato il permesso di costruire n. 36 del 24 maggio 2006 per la realizzazione di un fabbricato per civili abitazioni previo abbattimento di manufatti preesistenti alla via Umberto I;

– dopo l’inizio dei lavori l’ente locale notificava l’ordine di sospensione n. 38 del 2 novembre 2007 (gravato con distinto ricorso giurisdizionale n. 372 del 2008) e successivo ordine di demolizione n. 17 del 26 febbraio 2008, in ragione di difformità accertate rispetto al progetto edilizio approvato, consistenti nella maggiore altezza del fabbricato di mt. 1,70 (con conseguente incremento volumetrico non assentito) e nel mancato rispetto delle prescrizioni minime imposte dal D.M. 16 gennaio 1996 ("Norme tecniche per le costruzioni in zona sismica") relative alla disciplina dell’altezza in ragione della larghezza stradale;

– con istanza pervenuta al Comune in data 12 febbraio 2009, la ricorrente richiedeva l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella della demolizione ai sensi dell’art. 34 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380;

– il Comune respingeva la domanda con l’epigrafato provvedimento prot. n. 4492 del 21 luglio 2009, anticipato con preavviso di rigetto.

Avverso tale atto insorge la ricorrente deducendo i motivi di diritto di seguito rubricati:

I) violazione e falsa applicazione dell’art. 107 D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 23, della L. 23 dicembre 2000 n. 388, difetto di potere, incompetenza assoluta;

II) violazione dell’art. 97 della Costituzione, violazione degli artt. 1, 2, 3 e 10 bis della L. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere per difetto di istruttoria, motivazione insufficiente, incongruità ed illogicità della motivazione, errore sui presupposti, violazione e falsa applicazione degli artt. 34 e 36 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380;

III) violazione e falsa applicazione dell’art. 34 D.P.R. 380/2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/90, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.

Si è costituito in giudizio il Comune di Valle di Maddaloni che contesta il dedotto e conclude per la reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2010 la causa è stata introitata per la decisione.

2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta il difetto di competenza del soggetto che ha adottato il provvedimento impugnato (Responsabile dell’Area Tecnica che ricopre l’incarico di Assessore del Comune di Valle di Maddaloni), trattandosi di atto che rientra nelle attribuzioni del Dirigente ai sensi dell’art. 107 D.Lgs. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

2.1. L’argomentazione è priva di pregio giacché, come documentato dal Comune resistente, il soggetto che ha sottoscritto l’atto impugnato è stato nominato Dirigente del Settore Lavori Pubblici con decreto n. 1 del 7 giugno 2006, emesso dal Sindaco ai sensi dell’art. 53, comma 23, della L. 388/2000. Ai sensi di quest’ultima disposizione (modificata dal comma 4 dell’art. 29 L. 28 dicembre 2001 n. 448) "Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti (…) anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e all’articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio".

Peraltro, non vi è dubbio che ricorrano nel caso di specie le condizioni per il conferimento dell’incarico dirigenziale all’Assessore designato, con particolare riferimento alla finalità di "operare un contenimento della spesa", considerato che, come emerge dalla certificazione del 30 novembre 2009 allegata alla memoria difensiva del Comune, lo stesso non ha percepito compensi aggiuntivi per tale funzione.

3. Non appare condivisibile la seconda censura con cui parte ricorrente lamenta che l’amministrazione non avrebbe motivato in ordine alle osservazioni presentate in seguito alla comunicazione del preavviso di rigetto del 3 giugno 2009.

3.1. In proposito, deve rilevarsi che l’art. 10bis della L. 241/90, di cui è dedotta la violazione, stabilisce l’obbligo per l’amministrazione, nei procedimenti ad istanza di parte, del c.d. "preavviso di rigetto" il quale si sostanzia nell’obbligo di comunicazione agli istanti, prima della formale adozione di un provvedimento idoneo ad incidere nella loro sfera giuridica, dei motivi che ostano all’accoglimento della domanda.

Si tratta di una norma di garanzia partecipativa che ha la finalità di consentire, anche nei procedimenti ad istanza di parte, gli apporti collaborativi dei privati, allo scopo di porre questi ultimi in condizione di chiarire, già nella fase procedimentale (con l’evidente scopo di istituire un ulteriore fattore deflattivo del contenzioso), tutte le circostanze ritenute utili ai fini della definizione della vicenda da cui esiterà l’eventuale provvedimento finale.

In direzione del perseguimento delle ora enunciate finalità, preordinate a rendere effettivi i principi di principi di trasparenza e di buona amministrazione rivenienti dal’art. 97 della Costituzione, si prevede la possibilità di instaurare un contraddittorio tra l’amministrazione e i privati, con l’eventualità per questi ultimi di formulare osservazioni scritte, del cui mancato accoglimento "deve essere data ragione nel provvedimento finale".

3.2. Orbene, come più volte ribadito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 aprile 2006 n. 199; Sez. IV, 5 ottobre 2005 n. 5365; Sez. V, 16 giugno 2003 n. 3380; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 23 dicembre 2009 n. 13300; T.A.R. Liguria, II, 11 aprile 2008 n. 543; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 5 maggio 2006 n. 3976), l’onere di cui all’art. 10bis non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso, ulteriormente e condivisibilmente soggiungendosi che in subiecta materia quel che rileva è la valutazione della sufficienza della motivazione in relazione all’ampiezza dei poteri affidati all’amministrazione.

In altre parole, nell’ottica sostanzialistica della prevalente elaborazione giurisprudenziale che in tema di garanzie partecipative è orientata a dare prevalenza alla c.d. "teorica del risultato" piuttosto che a esigenze giusformalistiche – quel che rileva ai fini di legittimità è la congruità della decisione e della motivazione in rapporto alle risultanze istruttorie complessivamente acquisite.

3.3. Applicando tali principi al caso in esame, ne discende che il Comune ha congruamente illustrato le ragioni poste a fondamento del definitivo atto di diniego e, pertanto, deve escludersi che esso sia venuto sostanzialmente meno all’obbligo motivazionale imposto dalla normativa di riferimento.

3.4. Difatti, il provvedimento impugnato si fonda su una articolata traiettoria argomentativa, con la quale il Comune ha espresso i motivi del dissenso rispetto al contenuto delle osservazioni della ricorrente, rappresentando che: a) l’intervento rientra nella categoria della "nuova costruzione" ai sensi dell’art. 3, lett. "e" del D.P.R. 380/2001; b) non sussistono le condizioni previste dall’art. 34 D.P.R. 380/2001 giacché le difformità riscontrate non sono riconducibili alla "parziale difformità" bensì sono riferite all’intero fabbricato trattandosi di aumento di volumetria e modifica di parametri urbanistico – edilizi; c) l’intervento è stato realizzato in violazione della normativa antisismica vigente all’epoca della realizzazione delle difformità (D.M. 16 gennaio 1996, allegato, punto C); d) l’intervento realizzato non è conforme alle prescrizioni del vigente strumento urbanistico in merito ad altezza, volume, distanza tra edifici e numero di piani.

4. Con le ulteriori doglianze, la società ricorrente intende comprovare la sussistenza delle condizioni di legge per l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 380/2001, assumendo che:

– la difformità dell’altezza realizzata rispetto a quella assentita (pari mt. 1,70 di natura fittizia perché dovuta all’esistenza di una maggiore quota di imposta dalle fondazioni) non esclude la conformità ai vigenti strumenti urbanistici che, per la zona B2 prevede un’altezza massima di ml. 11,50, mentre l’altezza del fabbricato comprensiva della difformità è pari a ml. 10,88;

– per quanto riguarda poi la distanza con gli altri edifici ed il numero dei piani, quanto realizzato è conforme al permesso di costruire n. 36/2006 mai ritirato in autotutela dal Comune di Valle di Maddaloni.

Inoltre, l’esponente osserva che non è possibile eliminare le difformità realizzate senza pregiudizio per la parte di immobile conforme, sussistendo le condizioni prescritte dall’art. 34, secondo comma, del D.P.R. 380/2001, secondo cui "Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale". In particolare, l’eliminazione dell’abuso comporterebbe un pregiudizio alla staticità dell’intero manufatto poiché l’intervento di ripristino consisterebbe nel traslare verso il basso l’intera struttura demolendo l’intero fabbricato e scavando ulteriormente l’area di sedime sino al livello autorizzato.

5. Entrambe le argomentazioni sono destituite di fondamento.

5.1. Non appaiono pertinenti le deduzioni relative alla sussistenza delle condizioni previste dall’art. 36 D.P.R. 380/2001: difatti, dall’esame degli atti di causa, non risulta che la ricorrente abbia inoltrato alcuna domanda di accertamento di conformità ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, essendosi viceversa limitata a richiedere l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella della demolizione ai sensi dell’art. 34 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (cfr. istanza acquisita dal Comune di Valle di Maddaloni a protocollo n. 766/2009/E del 12 febbraio 2009).

Né l’amministrazione poteva ritenersi obbligata a verificare d’ufficio, in mancanza di specifica richiesta del privato, la conformità urbanistica dell’opera abusiva, dal momento che l’accertamento di conformità di cui all’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 deve essere effettuato su iniziativa dell’interessato e non dell’amministrazione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 4 settembre 2009 n. 8389; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 6 novembre 2008 n. 19290).

6. Quanto alla richiesta di applicazione dell’art. 34 D.P.R. 380/2001 ("Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire"), è noto che l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella reale, prevista dalla richiamata disposizione, richiede due condizioni cumulative: I) che l’intervento sia realizzato in parziale difformità dal permesso di costruire; II) che la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.

7. Orbene, correttamente nel caso in esame l’amministrazione ha escluso la sussistenza della prima condizione, specificando che le difformità riscontrate non sono riconducibili alla "parziale difformità" bensì sono riferite all’intero fabbricato trattandosi di aumento di volumetria e modifica di parametri urbanistico – edilizi. Difatti, in seguito all’accertamento svolto dal tecnico incaricato in sede di sopralluogo presso il cantiere, il Comune aveva accertato un diverso posizionamento delle quote dei diversi piani del fabbricato rispetto al progetto approvato, con una maggiore altezza del manufatto di mt. 1,70 e conseguente incremento volumetrico di mc. 421,60, distribuito sui quattro piani a causa della maggiore altezza di ciascun interpiano.

8. Di tali difformità la società ricorrente era peraltro a conoscenza (con conseguente infondatezza della censura che attiene alla omessa motivazione sul punto) in quanto indicate nell’ordinanza di sospensione dei lavori edili n. 38/2007 e nell’ordinanza di demolizione n.17/2008, richiamate nei provvedimenti impugnati e versate agli atti di causa dalla difesa dell’amministrazione.

9. Osserva il Collegio che le opere sanzionate, contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente, non integrano una parziale difformità rispetto al titolo, ma una totale difformità, atteso che, per effetto delle opere realizzate in difformità, si è determinato un consistente incremento volumetrico, autonomamente utilizzabile, conseguente alla maggiore altezza complessiva del fabbricato e che lo stesso non può essere considerato, con tutta evidenza, come "volume tecnico". Tale categoria, infatti, comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 27 gennaio 2009 n. 443).

10. Quindi si è in presenza di un intervento eseguito in totale difformità e, comunque, con variazione essenziale ai sensi degli artt. 31 e 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, in ragione del diverso posizionamento dell’edificio, della maggiore altezza e del consistente aumento di volumetria: pertanto, non sussistendo la condizione prevista dall’art. 34 D.P.R. 380/2001, non poteva esigersi che il Comune dovesse verificare l’eventuale pregiudizio derivante dalla demolizione delle opere abusive rispetto al manufatto esistente e la possibilità di irrogare una mera sanzione pecuniaria. Invero, la richiamata facoltà è prevista unicamente per gli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, quindi relativamente a fattispecie diverse dal caso in esame. Per gli interventi eseguiti in totale difformità o con variazioni essenziali, infatti, il capoverso dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001 non prevede una simile alternativa, disponendo che: "Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3". In altri termini, nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del D.P.R. 380/2001, non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale, peraltro, è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione (T.A.R. Campania, Sezione II, 23 aprile 2007 n.4229; Sezione IV, 24 settembre 2002, n. 5556; Consiglio Stato, Sezione IV, 27 aprile 2004, n. 2529).

11. Le deduzioni svolte rendono superfluo lo scrutinio delle doglianze che attengono alla violazione della normativa antisismica di cui al D.M. 16 gennaio 1996, atteso che il consistente incremento volumetrico e la maggiore altezza complessiva del manufatto, per le ragioni illustrate, rappresentano condizioni ostative all’operatività del beneficio di cui all’art. 34 D.P.R. 380/2001.

12. In conclusione, ribadite le pregresse considerazioni, il ricorso deve essere respinto. Spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidati in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società O. s.r.l. al pagamento delle spese ed onorari di giudizio in favore del Comune di Valle di Maddaloni che liquida in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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