Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 17-01-2011, n. 1036 Prova illegittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 15.7.2010, il Tribunale della Libertà di Caltanissetta, rigettava l’istanza di riesame proposta da C. V. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del locale Tribunale il 24.6.2010 per il reato di omicidio in danno di N.V..

I giudici territoriali ricostruivano il contesto criminale in cui sarebbe stato collocabile il delitto sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e degli accertamenti contenuti in alcune sentenze irrevocabili.

L’omicidio sarebbe stato deciso nell’ambito della sanguinosa faida che aveva opposto, all’interno della famiglia mafiosa di Riesi, i fratelli C., P., V. e F., già riconosciuti in precedenti giudizi partecipi dell’associazione mafiosa come promotori e dirigenti della stessa "famiglia" e legati al noto boss " P." M., alla fazione guidata dai fratelli S. e R.C., da G.C. e da A.F..

Lo scontro interno si inseriva a sua volta nella contrapposizione locale tra "Cosa Nostra" e la "Stidda", un gruppo mafioso emergente nell’agrigentino tra gli anni 80 e 90.

Il gruppo ostile ai Cammarata all’interno della famiglia di Riesi, era risultato nel tempo soccombente, anche per l’efficace opera di repressione delle forze dell’ordine.

V. e C.P., erano invece rimasti a lungo latitanti, continuando ad impartire direttive nell’interesse della "famiglia" con la collaborazione del fratello F., latore dei "pizzini" contenenti le istruzioni, e della sorella M.C..

Alcuni "pizzini" erano stati ritrovati nella disponibilità di D.S. originariamente legato ai Cammarata, ma poi ucciso insieme al fratello per l’infedeltà dimostrata nella gestione degli affari della cosca.

Ai fini della puntualizzazione dello scenario del delitto, i giudici sottolineavano anche gli stretti legami intrattenuti dalla famiglia di Riesi, con i fratelli E., della cosca di Gela, che avevano avuto la loro genesi embrionale nei rapporti, accertati con sentenza definitiva, tra un componente della famigli di Riesi, F.S. e i predetti E., nel periodo in cui tutti si erano ritrovati contemporaneamente a risiedere in (OMISSIS), dove i riesani avevano da tempo stabilito una base delle loro attività criminali, e dove invece i fratelli E. erano stati inviati al soggiorno obbligato.

Dopo avere ricostruito le trame criminali che facevano da sfondo al delitto, i giudici passavano all’esame degli indizi di reità a carico del ricorrente, rilevando che le prime indicazioni a suo carico erano state formulate da R.S., che del coinvolgimento nell’omicidio dell’imputato aveva appreso da tale M.G. in occasione della partecipazione ad un processo in (OMISSIS). Il movente del delitto sarebbe stato riferibile alla gestione delle tangenti estorsive da parte del N., che avrebbe favorito gli avversati dei C.. Alle dichiarazioni del R. avevano fatto seguito quelle di C.E., al quale C.V. avrebbe confidato che "loro" avevano ucciso un sindaco "tinto" perchè favoriva gli "Stiddari".

I contributi dei due collaboratori non avevano avuto un seguito giudiziario, perchè ritenute non sufficientemente circostanziate e comunque perchè prive di idonei riscontri.

Dopo l’archiviazione della notitia criminis, erano però intervenute le dichiarazioni di altri due collaboranti, S.C. e F.F..

Il primo, autoaccusatosi dello stesso omicidio prima ancora che fosse emerso un qualunque indizio di reità a suo carico, e in un momento in cui, secondo i giudici territoriali, non poteva trarre alcun particolare beneficio dalla sua collaborazione, per l’imminente scadenza della pena che stava all’epoca espiando per altri delitti, aveva riferito di essere stato presente in occasione dell’incontro tra D.S. e F.S. e i fratelli E., presso il covo dove questi ultimi trascorrevano la latitanza, incontro in occasione del quale i riesani D. e F. avevano chiesto ai gelesi di collaborare al progetto omicidiario.

E.D. aveva aderito alla richiesta, mettendo a disposizione dei suoi interlocutori lo stesso S. e E. A..

Erano state fornite al gruppo di fuoco due pistole, una cal. 38 e una cal. 7,65.

L’omicidio sarebbe stato quindi materialmente eseguito da C. N. e da V.F., quest’ultimo all’epoca minorenne, entrambi giunti sul posto a bordo di un motorino, mentre lo S. sarebbe rimasto in attesa nei pressi a bordo di un’autovettura.

Il F., infine, aveva riferito delle notizie apprese sull’agguato omicidiario da parte del V.F. prima dell’esecuzione del delitto. In particolare, il V. gli avrebbe confidato che l’omicidio doveva essere eseguito su ordine degli E., che dovevano fare un favore ai riesani, e che all’impresa criminale avrebbero partecipato anche S.C. e C.N.. Lo stesso collaborante avrebbe poi accompagnato il V. ad acquistare il motorino che doveva servire per gli spostamenti necessari.

Il collaborante aveva indicato il nome del venditore, tale A. S., e aveva precisato che il delitto era stato eseguito lo stesso giorno dell’acquisto del mezzo.

Sulla scorta del complessivo quadro probatorio emergente dalle dichiarazioni dei collaboratori e dal contesto criminale in cui si collocava il fatto, ma anche dei riscontri processuali sulla dinamica e le modalità dell’omicidio, e sui mezzi impiegati dagli esecutori materiali, il Tribunale riteneva pertanto la sussistenza della gravità indiziaria a carico del ricorrente in ordine alla sua partecipazione all’omicidio in questione.

Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, in relazione all’art. 273 c.p.p., in ordine alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza.

La difesa, premesso che sarebbero trascurabili le dichiarazioni accusatorie del R. e del C., in quanto "ritenute insufficienti per la riapertura delle indagini, rileva in sostanza che i contributi dei nuovi collaboratori, lo S. e il F., non avrebbero carattere individualizzante nei confronti del C.P. mai menzionato nelle loro dichiarazioni.

Il ricorso è infondato a partire della deduzione dell’irrilevanza delle dichiarazioni del Raggio e del C..

Ed invero, rilevato che quelle dichiarazioni delle indagini, e non, come impropriamente afferma il ricorrente, per la loro riapertura, è evidente che esse dovessero intendersi riesumate, come ha correttamente ritenuto il tribunale, e pienamente utilizzabili, nel concorso con le nuove acquisizioni probatorie. Invero, l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato e quindi ponendosi giuridicamente come atto equipollente alla revoca (Cfr. Corte di cassazione SENT. 45725 22/09/2005 SEZ. 5 Capacchione), non può che comportare l’effetto della continuità tra vecchie e nuove e indagini, nella prospettiva di una complessiva rivalutazione di tutto il materiale istruttorio, sotto pena altrimenti, di una dispersione probatoria non sancita da alcuna disposizione di legge.

Se è vero, in altre parole, che la mancata osservanza della norma dell’art. 414 c.p.p., determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dal p.m. successivamente al decreto di archiviazione (cfr. Corte di Cassazione, SENT. 00393 24/06/1998 SEZ. 6 Migliaccio ed altro), non può invece ritenersi che il decreto di archiviazione si ponga come definitivamente preclusivo dell’utilizzabilità degli atti di indagine compiuti anteriormente alla sua emanazione, la preclusione permanendo solo in assenza di nuovi sviluppi istruttori legittimamente acquisiti al procedimento a seguito dell’autorizzazione alla riapertura delle indagini.

Ma se così è, il ricorso finisce con il contrassegnarsi per una evidente, aspecificità rispetto al costrutto argomentativo del provvedimento impugnato che salda le dichiarazioni dello S. e del F., riferibili alla fase esecutiva dell’omicidio e ad un contesto criminale di supporto dell’accusa, in quanto evocativo del sistema di relazioni personali, alleanze ed interessi criminali del ricorrente, alle indicazioni beni più individualizzanti del R. e del C., dalle quali non può affatto prescindersi.

Ne consegue che le conclusioni dei giudici territoriali, anche perchè insidiate solo parzialmente dalle censure difensive, devono ritenersi del tutto coerenti con la ben più ampia e approfondita prospettiva di indagine seguita nell’ordinanza impugnata ai fini della valutazione della gravita indiziaria.

Il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenti statuizioni sulle spese.

Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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