Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 17-01-2011, n. 1035 Intercettazioni telefoniche; Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 15.6.2009, il Tribunale della Libertà di Catania, rigettava l’istanza di riesame proposta da L.R.U. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal gip del locale Tribunale il 25.5.2009, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Il tribunale delineava il quadro indiziario a carico dell’indagato, anzitutto sulla scorta di numerose conversazioni intercettate, in cui il L.R. figurerebbe come interlocutore diretto o come soggetto a cui alludevano altri interlocutori appartenenti alla stessa associazione criminale, e che rivelerebbero, di là dall’apparente riferibilità di alcune di esse all’attività commerciale dell’indagato nel settore floreale, contenuti illeciti dissimulati con un linguaggio criptico e riconducibili a traffici di droga.

I giudici rilevavano peraltro che uno dei principali protagonisti delle vicende delittuose in esame, A.F., era stato arrestato proprio grafie agli sviluppi delle attività intercettative, e aveva ammesso le proprie responsabilità nel settore del traffico di sostane stupefacenti.

A tale quadro si aggiungevano coerentemente, secondo il Tribunale, le specifiche propalazioni accusatorie del cittadino extracomunitario Z.W., che aveva reso ampia confessione in ordine alla propria implicazione nei traffici di droga in questione, affermando esplicitamente il coinvolgimento del L.R..

Ricorre il difensore dell’indagato deducendo con un unico, articolato motivo, l’inosservanza dell’obbligo di motivazione da parte dei giudici territoriali, in contrasto con le prescrizioni dell’art. 111 Cost., art. 125 c.p.p. e art. 292 c.p.p., comma 3.

Dopo avere ricordato che il materiale indiziario a carico dell’indagato era stato inizialmente ritenuto insufficiente dallo stesso PM che aveva poi sollecitato l’applicazione della contestata misura cautelare, la difesa indugia sul contenuto delle singole conversazioni ritenute significative dai giudici territoriali, rilevando che nessun argomento logico consentirebbe di ricondurle all’implicazione del ricorrente in affari illeciti, tanto per i rapporti finanziari tra il ricorrente il fratello, che per li transazioni negoziali testualmente riferibili al commercio di fiori, nessun serio argomento logica consentendo la valutazione della difformità dell’oggetto apparente da quello reale. Il Tribunale, inoltre, avrebbe valorizzato le vaghe indicazioni accusatorie dello Z., che non aveva nemmeno saputo specificare il concreto ruolo del L.R. nei traffici di droga dell’associazione, trascurando che nessuna propalazione accusatoria aveva invece formulato nei confronti del ricorrente A.F., pur trattandosi secondo l’accusa, del capo del sodalizio criminale.

Il ricorso è infondato.

La difesa, in definitiva, propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, con particolare riguardo al contenuto di alcune intercettazioni telefoniche o ambientali, ma senza cogliere la manifesta illogicità di motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto (su tali criteri di valutazione dell’adeguatezza del ricorso ai limiti del giudizio di legittimità, cfr. Corte di Cassazione SENT. 46124 08/10/2008 SEZ. 5 RIC. Magliaro).

Non contrasta certo con i canoni della logica giuridica, il collegamento che il Tribunale pone, ad es., tra il contenuto della conversazione ambientale del 14.5.2008, nel corso della quale il fratello dell’indagato, L.R.C., conversando con un altro soggetto, si riferisce tra l’altro allo smarrimento di alcuni quantitativi di droga, e la successiva telefonata tra i due germani, avente ad oggetto la richiesta di informazioni di C. circa la disponibilità di una somma di denaro da parte di U..

La successione temporale tra le due conversazioni, e il loro rispettivo contenuto, autorizza infatti, in termini di ragionevolezza, la conclusione che C. intendesse sollecitare al fratello non un prestito personale, come sostiene la difesa, ma l’indicazione di disponibilità finanziarie occorrenti per l’acquisto di droga, magari per ripristinare le scorte andate smarrite.

Sottolinea peraltro il Tribunale che la letteralità di alcune espressioni usate da C. (ce li abbiamo?: riferita alla somma di mille Euro "liquidi", n.d.f.) sembra alludere più all’esistenza di una cassa comune, peraltro non compatibile con l’assenza di leciti interessi economici comuni tra i due fratelli, che alla richiesta di un soccorso finanziario.

Analogamente deve ritenersi per l’interpretazione data dai giudici del riesame al contenuto della telefonata del 30.5.2005, dal contenuto della quale sarebbe desumibile che il ricorrente era stato contattato da un tale L. perchè fungesse da intermediario tra quest’ultimo L.R.C., avendo in questo caso i giudici territoriali valorizzato la significativa prudenza di linguaggio adoperata dagli interlocutori.

In questo quadro è stata adeguatamente sottolineata dai giudici territoriali anche la specifica chiamata in correità dello Z., la cui asserita genericità dorrebbe peraltro essere apprezzata anche in riferimento al rilievo secondario che; ai fini della configurabilità del delitto associativo di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, assume l’elemento dell’organizzazione, apprezzabile solo nella limitata misura necessaria per dimostrare l’esistenza di un accordo illecito permanente teso alla realizzazione di un numero indeterminato di reati, essendo all’uopo sufficiente anche un’organizzazione minima perchè il reato si perfezioni ed essendo d’altra parte, sotto il profilo probatorio, la ricerca dei tratti organizzativi essenzialmente diretta a provate, attraverso tale dato sintomatico, proprio l’esistenza dell’accordo criminoso (ex plurimis, Corte di Cassazione SENT. 22824 21/04/2006 SEZ. 4 RIC. Qose ed altri).

Conviene aggiungere che le valutazioni del tribunale appaiono anche adeguate alla specifica natura dei presupposti legittimanti l’adozione di una misura cautelare personale, essendo pacifico che il requisito della gravità indiziaria in sede di giudizio "de libertate", non va valutato secondo gli stessi criteri di apprezzamento della piena prova, di colpevolezza richiesti nel giudizio di merito per una pronuncia di condanna dovendo piuttosto i gradi indizi essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede (Corte di 06/07/2007-15/10/2007 SEZ. 4 Cuccaro, e altri).

Nè infine il quadro di gravità indiziaria potrebbe ritenersi inequivocabilmente smentito, come sostiene il ricorrente, dalla circostanza che l’ A. non abbia fatto menzione del ricorrente nelle sue dichiarazioni confessorie, sia per le considerazioni del tribunale sui concreti contenuti della sua collaborazione, secondo i giudici limitata ai soli fatti già chiaramente emergenti dalle indagini e caratterizzata dal tentativo di ridimensionamento del quadro delle responsabilità soggettive, che per la ragione della tutt’altro che decisiva rilevanza intrinseca dell’argomento (nel senso che la conoscenza reciproca tra i partecipanti non sia decisiva ai fini del riconoscimento della esistenza dell’associazione per delinquere, cfr. Corte di Cassazione; nr. 25454 del 13/02/2009 sez. 6 Imputato Mammoliti e altro; vedi, anche, Corte di Cassazione nr.

05146 del 29/10/1987, sez. 6, Melis secondo cui per la sussistenza del dolo nel reato di associazione per delinquere è sufficiente la coscienza che la propria azione individuale sia radicata in una struttura organizzativa, senza la necessità che ogni associato conosca la identità degli altri ed abbia concreti rapporti con gli stessi).

Non si vede poi perchè la posizione più o meno verticistica di taluno all’interno di un sodalizio criminale, dovrebbe comportare invariabilmente, come sostiene il ricorrente, la necessità logica della conoscenza da parte dell’interessato, di tutti gli altri associati, senza considerare che nella specie il peculiare rapporto del ricorrente con il fratello potrebbe avere contribuito ad assicuragli una posizione più "defilata".

Il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenti statuizioni sulle spese. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *