Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 17-01-2011, n. 1033

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 13.5.2010, il Tribunale della Libertà di Roma, rigettava l’istanza di riesame proposta da B.C., avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere, emessa nei suoi confronti dal gip del locale Tribunale il 20.4.2010 per il reato di cui all’art. 612 bis c.p., commesso ai danni dei coniugi L. – M..

I giudici territoriali rilevavano che i due coniugi erano stati destinatari di continue e gravi condotte vessatorie iniziate in epoca risalente rispetto all’entrata in vigore della norma incriminatrice, ma continuate anche nella vigenza dell’art. 612 bis c.p..

Dette condotte, per il periodo riconducibile alla operatività della nuova previsione punitiva, si erano estrinsecate tra l’altro in scritte ingiuriose sui muri del garage del condominio in cui risiedevano i coniugi, indirizzate al L., nell’ invio di sms al cellulare della M., in plurime telefonate notturne "mute" e nella diffusione di volantini contenenti apprezzamenti poco lusinghieri sulla moralità della M..

Ma le persone offese avevano anche, subito nel (OMISSIS), il danneggiamento delle proprie autovetture, sulle quali era stata sparsa vernice indelebile, in quella di proprietà della M. essendo stati inoltre distrutti i pneumatici.

Quanto alle conseguenze di tali fatti sulla serenità delle persone offese, i giudici rilevavano che la M., non sentendosi più sicura nella casa coniugale anche a causa delle continue assenze per lavoro del marito, impegnato nel settore cinematografico, si era trasferita con i figli minori nella casa della madre.

Il tribunale apprezzava quindi come gravi indizi di reità a carico del B., anzitutto la circostanza che le telefonate giunte all’utenza dell’abitazione dei coniugi L., provenivano da una cabina telefonica sita nei pressi dell’abitazione dell’indagato, dalla quale peraltro risultavano in partenza nel medesimo periodo di tempo, anche numerose altre telefonate indirizzate all’utenza di tale T.F., ex fidanzata del B. e vittima di analoghe condotte vessatorie, per le quali si procedeva contro lo stesso B. in separato procedimento penale pendente a Bologna.

I giudici rilevavano inoltre l’esistenza di forti motivazioni dell’indagato alla commissione di atti persecutori nei confronti dei due coniugi, ricordando che il L. già amico di infanzia B., l’aveva dapprima assunto alle proprie dipendenze, soccorrendolo in un periodo di gravi difficoltà economiche, ma l’aveva successivamente licenziato.

Il B. non era riuscito più a trovare un’occupazione nel mondo del cinema, e come aveva confessato nel corso del proprio interrogatorio, attribuiva l’insuccesso dei suoi tentativi di reinserimento nel mercato del lavoro all’influenza del L., che a suo dire lo ostacolava deliberatamente.

Gli atti persecutori, rilevavano i giudici, erano iniziati proprio in epoca immediatamente successiva al licenziamento dell’indagato e peraltro il B. aveva manifestato alla ex fidanzata, la T., il proprio intento di rovinare la famiglia dei due coniugi, con i quali la T. si era messa in contatto per avvertirli della minaccia.

I giudici ricordavano, infine, le testimonianze di due persone che avrebbero assistito ad una delle tante iniziative persecutorie dell’imputato ai danni delle persone offese, e la reazione della madre dell’indagato in occasione dell’arresto del figlio, quando la donna, informata dal B. circa la riferibilità al L. della causa del suo arresto, avrebbe in sostanza manifestato il proprio intento di assumere iniziative personali contro lo stesso L., valendosi della privilegiata condizione dovuta all’età avanzata, che l’avrebbe a suo dire messa al riparo da significative conseguenze giudiziarie; nella stessa occasione, l’imputato avrebbe in un certo senso incoraggiato i propositi di vendetta della madre, ricordandole che "E si, tanto sai dove abita".

La gravità delle condotte, i precedenti penali del B. e le altre pendenze giudiziarie dello stesso per fatti analoghi, inducevano quindi i giudici territoriali a ribadire l’esclusiva idoneità della più grave misura custodiale a garantire le esigenza di tutela sostanziale contro il pericolo di reiterazione delle medesime condotte criminose.

Ha proposto ricorso per cassazione il difensore del B., deducendo con il primo motivo, il vizio di mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria.

Incongruamente i giudici territoriali avrebbero attribuito all’indagato le telefonate anonime effettuate dalla cabina telefonica vicina alla sua abitazione, il dato topografico non potendo valere a superare l’anonimato dell’autore delle telefonate, nemmeno con riferimento alla parallele vicende che avevano visto coinvolta la T.; la mancata indicazione di piste alternative non potrebbe in nessun caso essere fatta valere a carico dell’indagato;

l’indicazione del B. come autore di alcune condotte di danneggiamento sarebbe stata indebitamente tratta dai giudici territoriali a fronte di emergenze processuali che escludevano la riferibilità dei fatti a iniziative dolose di terzi, o al contenuto di sommarie informazioni testimoniali già inattendibili per la loro sospetta sovrapponibilità, ma in ogni caso evanescenti in ordine agli elementi forniti per l’identificazione dell’indagato; i giudici non avrebbero tenuto conto del fatto che il L. dapprima avrebbe affermato di avere licenziato il B., per precisare poi che lo stesso in realtà si era dimesso volontariamente dal lavoro; così come non avrebbero tenuto conto del fatto che i coniugi L. non erano mai andati al di là di semplici supposizioni o di vaghi sospetti sul conto dell’imputato come autore delle condotte incriminate.

Il secondo motivo è incentrato sul presunto vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato, dedotto dal ricorrente ai sensi dell’art. 606, lett. b) in relazione all’art. 612 bis c.p.p..

I giudici territoriali avrebbero illogicamente ritenuto la sussistenza degli estremi oggettivi della condotta punibile descritta dalla norma incriminatrice, nonostante le risultanze istruttorie escludessero che per effetto delle vessazioni asseritamente subite i coniugi L. fossero stati costretti a cambiare le proprie abitudini di vita.

Il ricorrente ha successivamente depositato memoria illustrativa. Il ricorso è manifestamente infondato.

Si sono sopra ampiamente trascritti i più significativi passaggi argomentativi dell’ordinanza impugnata, perchè la loro compiuta articolazione consente senz’altro di confutare le censure difensive nella misura in cui esse stigmatizzano riassuntivamente addirittura l’apoditticità e l’evanescenza motivazionale de provvedimento.

Non solo poi, le argomentazioni dei giudici territoriali si sviluppano lungo un percorso logico e coerente, confutato dalla difesa, in sostanza, solo con una contro analisi "di merito", ma è vero piuttosto che proprio le censure difensive, di là dall’ apparente minuziosità della rivisitazione delle risultanze istruttorie, si rivelano in vario modo lacunose e aspecifiche rispetto alle stringenti valutazioni dei giudici territoriali, quanto erronee nella critica degli aspetti giuridico-formali della fattispecie.

Ed invero, di là dalle presunte incertezze delle deposizioni testimoniali che condurrebbero all’identificazione fisica dell’imputato, ma il cui contenuto è irritualmente citato dalla difesa con riferimento a singoli incisi dichiarativi, ovviamente selezionati in funzione di interessi di parte, il tribunale da ampiamente conto dell’identificazione "logica" del B. come autore degli atti persecutori, a partire dall’immediata prossimità temporale dell’inizio delle condotte vessatorie rispetto alle vicende del rapporto di lavoro tra il L. e l’indagato. A quest’ultimo riguardo la difesa, sempre con la tecnica di incontrollabili citazioni parziali, ricorda che il L. avrebbe in realtà anche accennato più meno alternativamente alle dimissioni volontarie del B., trascurando però i contenuti dell’interrogatorio di quest’ultimo, opportunamente sottolineati invece, dal Tribunale, dal momento che l’indagato non solo chiarì di essere stato licenziato, ma riferì anche la personale percezione di condotte ostruzionistiche del L. rispetto ai suoi successivi tentativi di impiego.

E trascura, ancora, la difesa di considerare che un’esplicita indicazione dell’animosità dell’indagato nei confronti del L., legata al suo licenziamento, proviene, come ricorda l’ordinanza, dalla testimonianza della T., che aveva appreso proprio dall’indagato delle sue intenzioni aggressive nei confronti dei due coniugi, e intese avvertire questi ultimi dell’incombente minaccia.

Così come, infine, in ricorso non v’è alcun cenno delle circostanze dell’arresto del B., dalle quali emergerebbe la concorde volontà dell’indagato e della di lui madre di proseguire nelle condotte vessatorie contro il L., con l’ideale passaggio delle consegne all’anziana donna.

Per quel che concerne, poi, gli elementi della fattispecie della previsione dell’art. 612 bis c.p., va intanto rilevato che il ricorrente limita le proprie considerazioni ad uno solo degli aspetti tipici degli atti persecutori, in quanto idonei a determinare significativi cambiamenti nelle abitudini di vita della vittima, senza considerare che si tratta di una connotazione della condotta punibile alternativa all’effetto della determinazione, nella persona offesa, di un perdurante stato di ansia e di paura o del timore per la incolumità propria o di un prossimo congiunto.

Ma è soprattutto rilevabile l’assoluta astrattezza delle deduzioni difensive, che non interloquiscono sulle valutazioni del tribunale circa il significato del trasferimento della M., insieme ai figli, nell’ abitazione della madre, alla stregua di una decisione in effetti implicante un radicale cambiamento di abitudini di vita, e determinata dalla preoccupazione della donna di dover fronteggiare ulteriori condotte vessatorie senza il costante sostegno del marito, frequentemente lontano dalla casa coniugale per motivi di lavoro.

Quanto alle deduzioni di cui ai motivi aggiunti, le valutazioni dell’autorità giudiziaria bolognese sulle analoghe vicende che interessarono la T. non risultano ancora cristallizzate in un giudicato definitivo, con la conseguente, ovvia limitazione del possibile rilievo probatorio della sentenza prodotta dal ricorrente, che comunque nemmeno in astratto sarebbe decisiva, data l’ovvia diversità dei fatti storici.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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