Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-11-2010) 17-01-2011, n. 1022

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 10.6.2010 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli disponeva la custodia cautelare in carcere di A.C., indagato per i reati di cui all’art. 416 bis c.p., pluriaggravato, art. 110 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14 con l’aggravante di cui alla L. n. 2203 del 1991, art. 7.

Avverso tale provvedimento l’indagato proponeva istanza di riesame, che il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 9.7.2010, respingeva.

Sosteneva il Tribunale l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’attuale indagato sulla scorta dei seguenti elementi:

dichiarazioni di D.F.F. (collaboratore di giustizia) e di P.C.. In particolare il D.F. indicava l’indagato come un sodale che si occupava dell’attività di bonifica, nella autovetture e nelle case, dalle microspie che i partecipanti la compagine criminosa in esame temevano potessero essere installate dagli organi inquirenti e gli riconosceva un ruolo di intermediario nelle estorsioni. Il P. indicava l’officina dell’ A. come luogo di incontro con tale AV.Le., il gestore di una piazza di spaccio, che lì portava le banconote di piccolo taglio per cambiarle con banconote di taglio maggiore. Altri elementi erano ravvisati nelle intercettazioni telefoniche che confermavano le dichiarazioni accusatone del D.F. e del P. e provavano la detenzione delle armi. Aggiungeva il Tribunale che l’indagato, chiedendo una misura meno afflittiva, aveva contestato nel ricorso solo le esigenze cautelari, sul presupposto di avere sempre svolto attività lavorativa e di versare attualmente in difficoltà economiche familiari. Evidenziava l’obbligatorietà della misura in atto ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, a fronte dell’esistenza delle contestate esigenze cautelari.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per mancata valutazione dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei due chiamanti in correità. In particolare si lamenta che il Tribunale non ha tenuto in considerazione le dichiarazioni del teste T. che aveva indicato circostanze di fatto probatoriamente contrastanti con le dichiarazioni di D.F. e P. e ha travisato il contenuto dell’intercettazione richiamata. Il ricorso è inammissibile.

Non possono infatti trovare accoglimento i motivi di ricorso sull’asserito cattivo uso, da parte del giudice del merito, del potere di apprezzamento e valutazione delle chiamate in correità.

La pronuncia impugnata risulta giuridicamente corretta nell’applicazione della disciplina di settore (art. 192 c.p.p., commi 3 e 4) come ormai costantemente interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte e incensurabile in questa sede, giacchè la Corte, come è ovvio, non può essere il giudice del contenuto della prova, e quindi, non può procedere a rivalutare nel merito il giudizio di attendibilità o inattendibilità formulato dal Tribunale del Riesame di Napoli sulle dichiarazioni dei chiamante in correità.

Nella specie i giudici di merito nell’apprezzamento dell’attendibilità e del significato delle chiamate in correità hanno rispettato i canoni della logica e le regole di valutazione della prova stabilite dall’art. 192 c.p.p.. In particolare si sono uniformati ai principi consolidati della giurisprudenza di legittimità nell’apprezzamento positivo della credibilità delle dichiarazioni accusatorie dei due chiamanti in correità, richiamando l’ordinanza applicativa della misura dove è riportata la storia personale dei due e dove vengono chiarite le ragioni della loro attendibilità in generale, e verificando poi la sussistenza di riscontri esterni individualizzanti.

Deve aggiungersi che il ricorrente si è limitato a contestare l’argomentare del Tribunale senza però indicare specifici elementi a discarico non presi in esame dal giudicante che nel provvedimento impugnato ha fornito una ricostruzione coerente e del tutto logica, soprattutto se si valuta che è limitata alla valorizzazione di gravi indizi di colpevolezza, e non di prove che dichiarino la responsabilità dell’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Il ricorso è generico anche nella parte in cui contesta il concorso nella detenzione dell’arma in quanto si limita ad una diversa lettura del materiale probatorio non suffragata da specifiche indicazioni in grado di scalfire il coerente argomentare del Tribunale che si fonda sul colloquio intercettato nel rimessaggio CI:MA:PR che lo stesso A.C. non contesta essere avvenuto alla sua presenza.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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