Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-11-2010) 17-01-2011, n. 1000 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza del 14.12.2009 la Prima Sezione Penale della Corte d’Appello di Firenze confermava la sentenza pronunciata il 3.4.2008 dal Tribunale di Firenze nei confronti di T.D. condannato alle pene ritenute di giustizia per varie rapine aggravate.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato contestando che la sentenza impugnata:

1. è stata emessa in violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 444 c.p.p., comma 1 bis. Evidenzia il ricorrente di avere richiesto in sede di udienza preliminare applicazione pena con il consenso del P.M., richiesta che era stata respinta dal Giudice sul presupposto della sussistenza della contestata recidiva reiterata infraquinquennale che impediva l’accesso al cd. patteggiamento allargato, motivazione condivisa dal Tribunale che rigettava analoga richiesta sulla scorta delle medesime imputazioni. Anche la Corte territoriale concordava in tale interpretazione.

Contesta il ricorrente la correttezza della decisione evidenziando che per l’applicazione della preclusione soggettiva in argomento non è sufficiente che dal certificato penale emerga una situazione riportabile alla recidiva ex art. 99 c.p.p., comma 4, ma occorre una specifica declaratoria della recidiva stessa;

2. Non ha concesso l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, pur a fronte dell’avvenuto risarcimento delle parti offese, con la sola esclusione della Esselunga rispetto alla quale è stata effettuata offerta reale. Evidenzia comunque il ricorrente che è stata integralmente risarcita la parte offesa del reato più grave.

Il primo motivo è infondato e deve essere respinto.

Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 35738/2010 hanno affermato che: "ai fini dell’interdizione al cosiddetto "patteggiamento allargato" nei confronti di coloro che siano stati dichiarati recidivi ai sensi dell’art. 99 cod. pen., comma 4, non occorre una pregressa dichiarazione giudiziale della recidiva che, al pari di ogni altra circostanza aggravante, non viene "dichiarata", ma può solo essere ritenuta e applicata ai reati in relazione ai quali è contestata. E in motivazione, la Corte ha chiarito che la testuale disposizione dall’art. 444 cod. proc. pen., comma 1 bis, la quale fa riferimento a "coloro che siano stati dichiarati recidivi", è tecnicamente imprecisa ed è stata utilizzata dal legislatore per motivi di uniformità lessicale, in quanto riferita anche ad altre situazioni soggettive che, attributive di specifici "status", come quelli di delinquente abituale, professionale e per tendenza, richiedono invece un’apposita dichiarazione espressamente prevista e disciplinata dalla legge.

Il secondo motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3286/09 dopo avere premesso che il reato continuato si configura quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, ha affermato il principio secondo il quale i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti.

Ne consegue che – rispetto all’aggravante della rilevanza economica del pregiudizio patrimoniale (art. 61 c.p., n. 7) ed alle attenuanti della speciale tenuità (art. 62 c.p., n. 4) e dell’intervenuto risarcimento (art. 62 c.p., n. 6) – l’entità del danno e l’efficacia della condotta riparatoria devono essere valutate in relazione ad ogni singolo reato e non al complesso di tutti i fatti illeciti avvinti dal vincolo della continuazione. Ciò incide all’evidenza:

sulla individuazione del reato più grave; sulla determinazione della pena-base, nel caso in cui la sussistenza della circostanza riguardi la violazione ritenuta più grave; sulla determinazione del "quantum" dei rispettivi aumenti di pena, in caso di circostanza inerente ad uno ovvero a più tra gli altri reati posti in continuazione.

Nella fattispecie in esame la Corte di appello di Firenze ha denegato il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, argomentando che tale risarcimento sarebbe da considerarsi parziale, atteso che non tutte le parti offese sono state tacitate, dovendosi considerare per la sua sussistenza, anche se i reati sono stati ritenuti in continuazione, che tutte le parti offese di ogni singolo reato per cui detta continuazione è stata applicata siano state integralmente risarcite del danno subito. Erronea deve ritenersi, al riguardo, per le ragioni dianzi esplicitate, l’applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte territoriale, secondo il quale, nell’ipotesi di reato continuato, la circostanza attenuante in oggetto sarebbe applicabile esclusivamente allorquando il risarcimento integrale sia intervenuto in relazione a tutti i fatti avvinti dal vincolo della continuazione e non solo per taluni di essi.

Limitatamente a tale punto va disposto, in conseguenza, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio – per nuova decisione – ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’eventuale riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, in relazione a ciascun reato posto in continuazione e alle conseguenti determinazioni sulla pena. Rinvia a tal fine ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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