Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2010) 17-01-2011, n. 991 Indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza del 17.9.2008 la 1^ Sezione della Corte d’Appello di Roma in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma in data 17.11.2004, concesse le circostanze attenuanti generiche, riduceva a C.G. la pena a anni uno e mesi 6 di recl. ed Euro 950,00 di multa irrogata al predetto per il delitto di tentata estorsione aggravata.

Ricorre per cassazione l’imputato contestando che la sentenza impugnata:

1. è stata emessa in violazione di legge per omesso avviso all’imputato dell’avviso a rendere interrogatorio, ai sensi dell’art. 375 c.p.p.. Contesta il ricorrente la decisione della Corte territoriale che ha respinto la medesima doglianza avanzata con i motivi d’appello sostenendo che l’imputato era stato interrogato in sede di convalida dell’arresto e che il decreto che disponeva il giudizio era stato emesso dal GIP in data 5.1.1999 per fatti realizzati i primi giorni di luglio 1998 e, quindi, prima dell’entrata in vigore della L. n. 479 del 1999 (ed L. Carotti) che nel caso di specie non trovava applicazione. Lamenta il C. che l’interrogatorio reso in sede di convalida dell’arresto era finalizzato alla verifica dei presupposti della convalida e dell’applicazione della misura cautelare e non poteva sanare l’omissione del disposto dell’art. 416 c.p.p., con conseguente nullità della richiesta di rinvio a giudizio e di tutti gli atti conseguenti.

2. è incorsa nella violazione del principio di correlazione tra l’imputazione e la sentenza in quanto la gravata pronuncia di condanna è stata emessa in contrasto con quanto contestato al ricorrente. Mentre l’imputazione è riferita ai fatti di cui ai giorni 1 e 2 luglio 1998 la sentenza motiva il delitto in argomento come realizzato in data antecedente;

3. è contraddittoria nella mancata derubricazione del reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in quanto è principio consolidato in giurisprudenza che per l’esistenza del reato di cui all’art. 393 c.p.p. non è necessario che il preteso diritto sia fondato, essendo sufficiente che sia possibile una contestazione giudiziaria basata su tale pretesa.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Correttamente i giudici d’appello hanno respinto l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per omesso interrogatorio dell’imputato, a norma dell’art. 416 c.p.p., nella formulazione di cui alla L. 16 luglio 1997, n. 234. Deve ritenersi, infatti, che nella specie l’interrogatorio non avrebbe assicurato alcun ulteriore momento di conoscenza dell’accusa, in quanto l’imputato aveva già ricevuto la contestazione degli addebiti attraverso il provvedimento con cui era stato invitato a comparire per l’udienza di convalida, trovandosi così già nella condizione di predisporre ed avanzare le proprie difese. L’invito a comparire all’udienza di convalida ha svolto la medesima funzione dell’invito a rendere l’interrogatorio, considerato che l’imputato è stato messo nelle condizioni di svolgere la propria difesa prima dell’inizio dell’azione penale.

E’ vero che i due istituti dell’interrogatorio previsto dall’art. 375 c.p.p., comma 3 e dell’interrogatorio in sede di convalida possono avere differenti finalità, soprattutto tenendo conto che il rinvio a giudizio può essere disposto anche per fatti connessi, per i quali non è stato operato l’arresto in flagranza, tuttavia occorre anche tenere presente lo scopo delle norme in questione che è quello di impedire che l’imputato arrivi dinanzi al giudice per l’udienza preliminare senza essere messo nelle condizioni di conoscere i fatti dai quali dovrà difendersi. Se è questa la finalità e lo scopo della nullità posta a garanzia dell’imputato dall’art. 416 c.p.p., allora appare difficile escludere automaticamente l’effetto equipollente di un atto, come l’avviso di comparizione all’udienza di convalida, che può avere lo stesso contenuto dell’invito a rendere l’interrogatorio. Peraltro, nel caso in esame si è trattato di una contestazione relativa ad un fatto ben circoscritto, per cui anche sotto questo profilo può essere condivisa la decisione adottata dai giudici di appello che, sulla base di una valutazione in concreto, hanno ritenuto l’equipollenza dell’atto in questione, rigettando l’eccezione di nullità sottolineando che i capi di imputazione del decreto di rinvio a giudizio erano gli stessi contestati con l’ordinanza di custodia cautelare (cfr. Cass Sez. 3 n. 26904/04; Cass Sez. 6 n. 30136/06).

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), introdotta con L. n. 46 del 2006, ed inoltre è manifestamente infondato. Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che il comportamento tenuto dal ricorrente realizzasse un tentativo di estorsione in quanto le minacce telefoniche realizzate nei giorni precedenti all’arresto erano finalizzate alla consegna del denaro che non si è realizzata per il pronto intervento delle forze dell’ordine che hanno arrestato in flagranza gli estorsori.

Anche il terzo motivo è inammissibile. E’ di tutta evidenza come il comportamento tenuto dall’imputato è fondato su una pretesa non tutelata dall’ordinamento giuridico nè in via diretta – quando, cioè, si riconosce al suo titolare il potere di farla valere in giudizio – nè in via indiretta – quando, pur negandosi il potere di agire, si accordi il diritto di ritenere quanto spontaneamente sia stato adempiuto, come nel caso delle obbligazioni naturali menzionate nell’art. 2034 cod. civ..

Dal contratto di cessione di droga, nullo per illiceità della causa, non può sorgere alcuna pretesa tutelata dall’ordinamento. Nessun dubbio vi è pertanto sul carattere ingiusto del profitto perseguito da chi, con minacce, costringa un’altra persona a farsi consegnare una certa somma quale prezzo della droga consegnatale, e quindi sulla piena sussistenza del delitto di cui all’art. 629 c.p..

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile N.F. e A.M. liquidate in Euro 3000,00 oltre IVA e CPA, al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile N. F. e A.M. liquidate in Euro 3000,00 oltre IVA e CPA, al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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