Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-12-2010) 18-01-2011, n. 1233 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il provvedimento impugnato, di cui all’epigrafe, il Tribunale della libertà di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa da quel Gip nei confronti di B.C., indagato di numerose fattispecie di spaccio di sostanze stupefacenti e di partecipazione ad una associazione a delinquere dedita al narco traffico. Il tribunale ricostruiva la esistenza della compagine associativa, desumendola dagli atti investigativi enunciati nell’ordinanza del Gip, che richiamava; si trattava di una vasta articolazione che rivendeva la droga, acquistata dai fratelli A. e B.D. dal fornitore, certo Fo., tramite C.N., suocero del D., sia a (OMISSIS), luogo di residenza dei due indagati, sia in altre località, mediante una organizzazione articolata in sotto gruppo che diffondeva le sostanze anche in (OMISSIS), avvalendosi in tali ambiti territoriali di una rete di soggetti, cui lo stupefacente venduto veniva recapitato con corrieri. Le frequentazioni fra gli indagati, attestate dalle indagini, venivano riscontrate dal contenuto di intercettazioni telefoniche e dal linguaggio criptico, non riferibile ad altro se non suddetti traffici illeciti, e dai sequestri di sostanza. La sistematicità delle condotte dimostravano che nel gruppo vi era una struttura organizzata con divisione di ruoli e mansioni. La riferibilità delle conversazioni intercettate ai singoli indagati era assicurata o dalla identificazione delle utenze, appunto intestate a costoro da loro abitualmente utilizzate, dai riferimenti personali rintracciati nelle conversazioni, e dai riscontri effettuati dalla PG mediante servizi di osservazione e controllo.

Nei confronti del ricorrente, esclusa che egli fosse coinvolto nel delitto di cui al capo C, confermava la sicura partecipazione alle rimanenti ipotesi accusatorie. In relazione alle ulteriori ipotesi il giudice distrettuale rilevava che;nel corso dei colloqui intercettati gli interlocutori facevano uso di un linguaggio incongruo riferendosi alla droga, indicata con termini di uso comune quali vino, auto, camion, da tarare o provare con riferimento a transazioni con scambio di denaro e sussistenza di partite di debito non giustificate da effettivi commerci riguardanti detti beni; in particolare emergeva che l’indagato era o direttamente interessato o era un soggetto cui gli altri interlocutori facevano riferimento per il reperimento di droga; in particolare, il giudice distrettuale individuava per i singoli episodi gli elementi indiziari che assicuravano la sua partecipazione ai fatti, mettendo in evidenza come il C., inteso con il soprannome di D.N., avesse continui rapporti con il B. e come dovesse loro del denaro, e di come per saldare i pregressi debiti .offrisse i suoi servigi per ulteriori acquisizioni di sostanze da diffondere nel territorio. Tale attività continuativa era sintomo dell’inserimento nella associazione dedita al narco traffico, in cui rivestiva il ruolo di stabile acquirente. Confermava la massima misura custodiale sul presupposto del mancato superamento della presunzione ex art. 274 c.p.p., comma 3.

Con il ricorso, il difensore dell’indagato denuncia difetto di motivazione e violazione di legge, poichè il tribunale aveva ritenuto sussistente un grave quadro indiziario, riportando pedissequamente quanto esposto nell’ordinanza genetica senza alcuna revisione critica; sottolinea che, in relazione ai capi di imputazione non è stato svolto alcun approfondimento investigativo, e che non è mai stato raccolto alcun elemento di riscontro del suo coinvolgimento, mancando i sequestri della droga e considerando il breve arco di tempo in cui egli era stato attivo; il difensore mette in luce che nè l’ordinanza genetica nè il tribunale hanno individuato quali siano gli elementi da cui desumere la sua consapevole partecipazione al patto sociale e, per la sussistenza della pericolosità; lamenta l’omessa valutazione della distanza temporale dei fatti rispetto la applicazione della misura.

Motivi della decisione

Il ricorso è da dichiarare inammissibile.

In realtà, il B., sotto la veste del difetto di motivazione, definita mancante ed illogica, introduce censure di merito, tendenti ad una rivalutazione del materiale indiziario raccolto, in chiave a sè favorevole.

Va precisato al riguardo che, contrariamente a quanto sostenuto in linea generale nel ricorso, il giudice distrettuale non si è affatto limitato ad un rimando alla ordinanza genetica della misura, ma richiamate per relationem le principali acquisizioni indiziarie relative a ciascuno dei singoli episodi di spaccio contestati alla ricorrente, ha indicato, in risposta ai motivi di riesame, le ragioni di merito che rendevano sicura la attribuzione della condotta allo stesso. In particolare, ha enunciato le ragioni della valenza indiziaria dei brani delle conversazioni registrate, poichè si desumeva dalle stesse il ruolo di spacciatore svolto dal C., non solo dedito alla acquisizione di sostanza per fini personali, ma stabilmente inserito nella organizzazione dei menzionati fratelli B., che potevano contare su di lui per un fattivo radicamento della loro attività nel territorio di (OMISSIS). Così motivando, con argomentazioni che non presentano manifeste aporie, salti logici o incompletezze, il Tribunale ha esplicato adeguatamente le ragioni della decisione, che in tanto sono soggette al controllo in questa sede di legittimità in quanto attinenti a vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione (Sez. 1^, 14-3.1998, n. 1083, riv.

210019).

Il controllo della Corte di legittimità non concerne cioè nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o la concludenza dei dati probatori (essendo inammissibile in sede di legittimità la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito), ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6A, 1.2.1999, n. 3529, riv.

212565; Sez. 6A, 24.10.1996, n. 2050, riv. 206104).

In particolare, il vizio di mancanza o contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato da questa Corte, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 1^, 4.5.1998, n. 1700, riv. 210566).

Per come già detto, detto difetto assoluto di motivazione non è affatto ravvisatale; nè il ricorrente ha apportato censure specifiche sull’invocato vizio, poichè si è limitato a contestare non la mancanza o illogicità del ragionamento, ma una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.

La notazione che egli abbia avuto un ruolo marginale – cui il giudice di merito si è peraltro soffermato diffusamente- non esclude nè la partecipazione, essendo il concorso nel reato comunque ravvisabile nell’adesione al consorzio ed alle singole condotte per i reati fine, anche in presenza di apporti minimi ma apprezzabili, nè la pericolosità, che è, comunque,presunta stante il chiaro disposto dell’art. 275 c.p.p..

In conseguenza della ritenuta inammissibilità, il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro mille/00 da versare alla cassa delle ammende, ritenuta equa tale misura.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille/00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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