Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 18-01-2011, n. 1072 Errore; Infrazioni, contravvenzioni e reati; Falsità ideologica in atti pubblici; Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Il presente ricorso è stato proposto contro l’ordinanza del Tribunale per il Riesame confermativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti di persona coinvolta in più fatti di contrabbando doganale.

Per maggior comprensione, si impone un breve inquadramento della vicenda che riguarda il transito in Italia di containers, provenienti dal continente asiatico, attraverso il ed. sistema della "immissione in libera pratica" (L. n. 427 del 1993, art. 50 bis). In base a tale sistema, il doganalista o spedizioniere, all’arrivo della merce, presenta all’ufficio Dogane, una dichiarazione di immissione in libera pratica (che consente il pagamento dei soli dazi doganali – esclusa l’IVA – proporzionalmente alla quantità ed al valore delle merci indicate nella dichiarazione). In tal modo, le merci possono stazionare nel nostro Paese ma non potranno essere messe in commercio se non dopo il pagamento dell’IVA che avviene mediante autofattura rilasciata dall’importatore al doganalista che, a propria volta, la deposita all’Ufficio Dogane.

Nella specie, però, si contesta l’evasione dell’Iva, vale a dire dell’ultimo passaggio, grazie all’artificio di individuare come importatore (vale a dire, come soggetto obbligato al pagamento dell’IVA), una società giuridicamente inesistente ovvero del tutto ignara dell’avvenuto trasporto della merce.

Secondo l’accusa, il risultato avveniva attraverso l’esibizione, all’Ufficio delle Dogane, di un corredo di documenti falsi (quali la dichiarazione doganale e l’autofattura) che inducevano in errore l’Ufficio delle Dogane sia circa il soggetto realmente tenuto a versare l’Iva, sia in ordine all’importo dovuto a tale titolo.

In base alle indagini, l’attività delinquenziale ipotizzata era posta in essere da una decina di soggetti che si muovevano in diversi contesti geografici operanti tra Napoli, Fiumicino e Taranto.

Tra i soggetti emersi figurano:

– S.G., partecipe alla predisposizione dei documenti falsi e, talvolta, effettivo destinatario della merce sottratta all’Iva;

– G.U. (dipendente di S.G.) cui si contesta di aver dato attuazione alle direttive del proprio dominus circa la falsificazione dei documenti da esibire all’Ufficio per le Dogane;

– P.N. uno spedizioniere che operava nella piazza ionica con il ruolo di fornire all’Ufficio per le Dogane i documenti falsificati sia da altri che da lui stesso.

Secondo l’accusa, P. agiva in accordo con l’odierno ricorrente Y.S.Z. che figurava come effettivo destinatario delle merci e, quindi, realmente interessato all’evasione doganale.

Come detto, il Tribunale per il Riesame, avendo ritenuto l’esistenza di una adeguata provvista indiziaria e di esigenze cautelari ha confermato la misura custodiale degli arresti domiciliari disposta nei confronti del cittadino della Repubblica Popolare Cinese.

Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso deducendo:

1) nullità dell’ordinanza cautelare per sua mancata traduzione nella lingua dell’indagato. Quest’ultimo, nell’interrogatorio di garanzia del 28.5.10 aveva chiesto formalmente la traduzione dell’atto ma essa non era stata disposta;

2) mancanza di gravi indizi di colpevolezza. In primo luogo, si eccepisce la mancanza di elementi di certezza in ordine alla identificazione – nell’odierno ricorrente – della persona denominata " A.". Secondariamente, si fa notare che lo Y.S. ha svolto solo attività di intermediazione nella ricerca di persone interessate alla merce importata dalla soc "Piemme" facente capo al P.. Come risulta dagli atti di indagine elencati e richiamati, infatti, erano solo la Piemme ed il P. le figure che comparivano nelle operazioni di importazione monitorate. Secondo il ricorrente, pertanto, a suo carico figurano solo illazioni del P.M.;

3) insussistenza dei reati di cui agli artt. 48 e 479 (falso in atto pubblico indotto nei funzionari dell’Ufficio dogane di Taranto) perchè si tratta di atti indicati genericamente inoltre, ricordando pronunzie di questa S.C. (secondo cui non sussiste il reato quando la falsità sia stata Indotta dalle mendaci dichiarazioni del terzo) si sottolinea che l’Ufficio Dogane non ha fatto neanche accertamenti minimi;

4) mancanza di gravi indizi in ordine al delitto di cui al capo T) (art. 416 c.p.) 5) mancanza di esigenze cautelari dal momento che lo Y.S. non svolge più alcuna attività commerciale e, comunque, i fatti risalgono al 2006/2007.

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Quanto al primo motivo, si osserva che la medesima censura era già stata proposta dinanzi al Tribunale per il Riesame che vi ha replicato in maniera argomentata ed esauriente. Per contro, il presente motivo è meramente replicativo e non svolge, come avrebbe dovuto, precise critiche alla motivazione del Tribunale.

Basterebbe ciò solo a rendere il motivo inammissibile (sez. 5^, 27.1.05, Giagnorio, Rv. 231708).

Ad abundantiam, si sottolinea, comunque, che bene i giudici di merito hanno replicato che "non vi è prova in atti che lo Y. ignori la lingua italiana, ma, anzi, già dai gravi indizi di colpevolezza raccolti a suo carico emergerebbe la sua capacità di intrattenere rapporti di comunicazione con altri indagati in lingua italiana.

Inoltre, dalla produzione documentale depositata dal P.M. all’udienza camerale risulterebbe che lo Y., in precedenti rapporti con l’Autorità Giudiziaria italiana, abbia dato prova di saper parlare e comprendere al lingua italiana". Nel dire ciò, i giudici di merito hanno dato prova di interpretare correttamente le indicazioni giurisprudenziali in tema di traduzione degli atti nella lingua nota all’indagato. In particolare, essi hanno fatto leva sul principio, recentemente affermato, secondo cui la proposizione della richiesta di riesame ha effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale emessa nei confronti dell’indagato che non conosce la lingua italiana, "sempre che la richiesta di riesame non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare" (sez. 6^, 22.5.08, Olebunne). Tale eventualità è espressamente esclusa dal fatto che, come ci si appresta a commentare, la richiesta di riesame era stata proposta anche "per ottenere un sindacato sul merito del provvedimento gravato" e la relativa reiezione è oggetto degli ulteriori presenti motivi di ricorso.

Vi è da dire però, che nessuno degli argomenti svolti è meritevole di accoglimento ed, anzi, specie gli ultimi due motivi, sono – come si dirà meglio – ai limiti dell’inammissibilità.

Per circoscrivere ora l’attenzione al secondo e terzo motivo, si ritiene di poterli trattare congiuntamente perchè accomunati dal medesimo errore: cercare di ottenere da questa S.C. una rivisitazione delle emergenze fattuali per trame differenti conclusioni.

E’ Stato, però, detto e ripetuto più volte (ex multis Sez. 1^, 27.9.07, Formis, Rv. 237863; Sez. 2^ 11.1.07, Messina, Rv. 235716) che l’unico controllo che il giudice di legittimità può fare sulla motivazione deve essere circoscritto alla verifica della completezza della disamina da parte del giudice di merito ed al controllo della chiave interpretativa che deve essere immune da vizi logici. Una volta esaurita tale verifica in senso positivo, essa non può spingersi al punto da rivalutare la prova (o gli indizi) optando per la soluzione che si ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti e, quindi, "valutando, ad esempio, l’attendibilità dei testi o le conclusioni di periti o consulenti tecnici "(sez. 4^, 17.9.04 n., Cricchi, Rv. 229690) ovvero – come si vorrebbe nella specie il reale tipo di attività svolto dall’indagato (in raffronto alle condotte del P.).

Tutto ciò, infatti, è di stretta competenza del giudice di merito che, nel caso in esame, ha dato una valida ed argomentata spiegazione del proprio convincimento. Deve, inoltre, rammentarsi che in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza, (sez. 6^, 8.1.08, Gionta, Rv. 239724; Sez. 6^, 11.12.07, Sitzia, Rv.

239636; Sez. 6^, 10.6.05, Patti, Rv. 232576; Sez. 4^, 28.10.05, Rv.

232626).

Orbene, circa la identificazione dell’odierno ricorrente nella persona denominata " A., dicono i giudici del riesame che "appare evidente che alla ricezione delle merci mediante l’esibizione della falsa documentazione fosse interessato anche Y.S.Z., le cui utenze telefoniche ed il cui appellativo " A." (già comparso nell’operazione (OMISSIS) di cui in atti) comparivano non a caso nella lettera di vettura relativa al container (OMISSIS)".

Non è quindi ingiustificata l’ulteriore affermazione secondo cui "il ruolo dello Y. era strettamente correlato alla consegna delle merci, atteso che egli avrebbe dovuto essere contattato all’uscita del gate" come – si dice in altra parte del provvedimento – era scritto nell’appunto sequestrato "all’uscita del gate contattare A. (OMISSIS)".

A fronte di tali affermazioni documentate del Tribunale evidentemente fuor di luogo è la mera messa in dubbio che l’indagato possa identificarsi in " A.".

Ugualmente molto dettagliata, e motivata logicamente, è l’esposizione, nel provvedimento impugnato, dei rapporti intercorrenti tra il P. e la Next Group riconducibile allo Y. S.Z. sì che infruttuoso ed inappropriato in questa sede è lo sforzo del ricorrente di ottenere da questa S.C. una diversa lettura della vicenda.

Fuor di luogo è, infine, lo sforzo del ricorrente di invalidare la contestazione di falso per induzione in atto pubblico sulla base del suggestivo argomento secondo cui la responsabilità del falso sarebbe da ascrivere ai funzionari della dogana che non avrebbero fatto i dovuti controlli. E’ infatti, per tabulas, come lungamente spiega il Tribunale trattando dei capi a), b), n) ed n ter), che (quanto ai capi a) e b)) le indagini sulle attività della Pienne Spedizioni (con relativi sequestri) hanno permesso di acclarare che P. presentò all’Ufficio delle Dogane di Taranto una dichiarazione di importazione a nome e per conto della Blue Company S.r.l. la cui lettera di vettura – relativa al container (OMISSIS) – riportava la già ricordata dicitura "all’uscita del gate contattare A." "nonchè l’autofattura n. (OMISSIS) datata (OMISSIS) emessa dalla Blue Comapny S.r.l. relativa all’estrazione delle merci dal deposito IVA gestito dalla Global by Flight S.r.l. di Taranto". Tali dati, comparati con la documentazione ulteriore sequestrata evidenzia "l’ingiustificata diversità tra il destinatario delle merci dichiarato all’autorità malese e quello dichiarato dal P. all’autorità straniera… mediante una falsificazione della fattura estera esibita dal P.".

Evidente che tale apparato documentale falsificato costituiva la premessa per indurre in inganno l’Ufficio delle Dogane ai fini della libera commercializzazione dei beni evadendone l’Iva.

Parimenti dicasi per le false dichiarazioni doganali di cui ai capi n) e n ter) al cui proposito la ricostruzione accusatoria, come riportata nel provvedimento, è accurata e non giustifica la critica del ricorrente di genericità sì da impedire di identificare l’atto la cui falsificazione è stata indotta anche grazie alla condotta del ricorrente.

Come si accennava in precedenza, per la loro mera assertività, il terzo e quarto motivo sono ai limiti dell’inammissibilità.

Infondata è, infatti, la critica secondo cui mancherebbero i gravi indizi per il reato associativo la cui esistenza, al contrario, viene delineata nel provvedimento impugnato nel corso della attenta ricostruzione dell’intera provvista indiziaria gravante, non solo, sullo Y.S.Z. ma, necessariamente, in capo a tutti gli altri sodali ( S., P., G., ecc.) i cui ruoli vengono descritti attentamente sottolineando, di volta in volta, le cointeressenze anche con l’odierno ricorrente e non mancandosi di ricordare che, proprio di recente, questa S.C. ha ricordato che, ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 416 c.p., l’appartenenza al sodalizio criminoso può essere desunta anche dalla pluralità e ripetitività di condotte integratrici dei reati-fine (sez. 2^, n. 5424/10). In ogni caso, rispondendo ad una specifica censura sul punto svolta dai difensori dello Y.S., il Tribunale ha anche smentito che potesse essere messa in discussione la conoscenza e la frequentazione dell’indagato con lo S. visto che proprio quest’ultimo ha, in sede di interrogatorio, ammesso di conoscere il cittadino cinese.

Del tutto ingiustificate, infine, risultano le critiche del ricorso in punto di esigenze cautelari, sia, perchè, a riguardo, il Tribunale da una motivazione congrua rammentando che lo Y.S. è stato "sottoposto alla misura degli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione (OMISSIS) e sempre per reati simili a quelli oggetto dell’odierno sindacato", sia perchè, con il proprio argomentare in proposito il ricorrente incorre nuovamente nell’erroneo tentativo di ottenere da questa S.C. una rivalutazione fattuale quando, invece, è stato ripetutamente asserito che, anche dopo la novella codicistica, introdotta con la L. n. 46 del 2006 non è mutata la natura del giudizio di Cassazione, che "rimane pur sempre un giudizio di legittimità" e resta, pertanto, esclusa "la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova" (Sez. 2^ 11.1.07, Messina, Rv. 235716).

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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