Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 18-01-2011, n. 1069 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

L’odierno ricorrente è inquisito per avere posto in essere attività – aggravata dal metodo mafioso – di minaccia per impedire l’esercizio di voto (capo 34) e scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso (capo 35).

Il ricorrente era stato raggiunto, per tali accuse, da una ordinanza di custodia in carcere che il Tribunale per il Riesame ha, con il provvedimento qui impugnato, confermato solo con riferimento all’incolpazione sub 34).

Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge (art. 606 c.p.p., lett. b) e c) nella valutazione del bagaglio indiziario e, segnatamente, in relazione alla esistenza di aggravanti che – come nella specie – determinano anche il tipo di misura da applicare.

Tale è l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 che il Tribunale ha ritenuto applicabile anche al non sodale, non organicamente inserito nell’interno dell’associazione ma che abbia agito con metodo mafioso o dato il contributo al raggiungimento dei fini dell’associazione stessa.

Secondo il ricorrente, il vizio che inficia il provvedimento impugnato va individuato nel fatto di individuare il metodo mafioso con ragionamento "a posteriori", vale a dire, basandosi sul risultato conseguito di avere – cioè – raccolto le schede elettorali abusivamente riempite.

In realtà, nulla si dice sul come un soggetto del tutto incensurato e privo di qualsivoglia segnalazione di polizia possa dirsi legato concretamente al contesto mafioso ipotizzato.

La gravità della decisione impugnata si coglie riflettendo sul fatto che l’aver ritenuto l’aggravante in discussione ha finito per incidere sul tipo di misura cautelare da adottare;

2) manifesta mancanza ed illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) avuto riguardo alla valutazione della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari.

Secondo il ricorrente, lo stesso vizio inficia il ragionamento in tema di esigenze cautelari.

Ed infatti, l’ordinanza impugnata elude completamente ogni verifica sulla esistenza di elementi che avvalorino l’esistenza di una capacità di controllo, da parte della cosca Arena, sugli immigrati calabresi residenti in Germania e, soprattutto, non spiega perchè il G., soggetto incensurato, avrebbe avuto queste capacità di intervento.

Contraddittoria ed illogica, poi, sarebbe la motivazione del Tribunale quando interpreta l’espressione "verve calabrese" univocamente e necessariamente nel senso di capacità di intimidazione.

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.

Al di là della denominazione formale di "violazione di legge" che il ricorrente attribuisce al vizio che inficerebbe il provvedimento impugnato, i contenuti delle censure mettono chiaramente in evidenza che ciò che si discute è la motivazione della ordinanza del Tribunale per il Riesame di cui non si condividono i contenuti e le conclusioni cui essa perviene.

Tutto ciò, però, induce a considerare i motivi di ricorso in una ben diversa ottica, ed infatti, solo la "mancanza di motivazione" da luogo ad una violazione di legge e che giustifica l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Diversamente, non essendo questo il caso in esame, ogni questione afferente la motivazione (sotto i vari profili della illogicità manifesta, contraddittorietà o travisamento) possono denunciarsi, nel giudizio di legittimità, soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 stesso codice, lett. e) (S.U., 28.1.04, Bevilacqua, Rv. 226710).

A tale stregua, pertanto, entrambi i motivi di ricorso in esame, devono essere considerati alla luce dei parametri che guidano il vaglio della motivazione da parte del giudice di legittimità, vale a dire, quelli della verifica che il giudicante abbia adottato la propria decisione considerando tutte le emergenze in atti e fondandosi su una "lettura" delle stesse che non sia manifestamente contraria alla logica.

In tale ottica, però, non vi è dubbio che le critiche che il ricorrente muove alla ordinanza impugnata palesano tutta la loro inconsistenza dal momento che, essenzialmente, esse si risolvono in una messa in discussione del fatto che il giudicante abbia dato conto delle ragioni per le quali – pur essendo il G., persona incensurata – sia stato possibile, ugualmente, riconoscere a suo carico una aggravante come quella di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7.

L’argomento, pur suggestivo, secondo cui i giudici avrebbero desunto la circostanza in parola "a posteriori" – e, cioè, basandosi sul risultato ottenuto (di collazionare le schede elettorali falsificate presso la comunità di italiani residenti in una certa zona della Germania) – è smentito dalla chiarissima ricostruzione, da parte del Tribunale, del bagaglio indiziario rappresentato, cioè da intercettazioni telefoniche dalle quali emerge senza ombra di dubbio che, su precisa organizzazione " M.G., D.G.N. P., Ma.Ro., G.A. e l’avv. C. P., si recarono in Calabria ( Ma. ed altri con un aereo privato appositamente noleggiato, C. e M. in auto) in territorio di Isola di Capo rizzato ove incontrarono P. F…. soggetto collegato alla cosca Arena; qui ottengono l’appoggio per sostenere la candidatura del D.G. nelle liste circoscrizione estero".

Sulla scorta di tali premesse non è certo casuale – ma, al contrario, espressivo di una preordinazione della quale G. è partecipe consapevole – il fatto che "Il Ma. viene inviato unitamente a G.G. (individuato dal P.) in Germania, ove sono state reperite presso gli immigrati calabresi residenti in Germania (nei distretti di Stoccarda e Francoforte) le schede elettorali in bianco inviate egli elettori residenti all’estero; le schede sono state consegnate e quindi compilate dai sodali i quali vi hanno inserito il nominativo di D.G. che sarà poi effettivamente eletto".

Già alla luce dei passaggi che precedono, dunque, appare evidente come la decisione del Tribunale per il Riesame – lungi dal presentare vizi di logica – scandisca ordinatamente il succedersi degli eventi sulla base di dati obiettivi (qui non controversi) giungendo, poi, in dettaglio, ad evidenziare il ruolo significativo del G. capace, all’occorrenza – nel corso del citato viaggio – di "prendere in pugno" la situazione anche a fronte delle incertezze mostrate dal suo compagno Ma.: "telefonata del 3.4.08 ore 12.16, R.i.t.

1644/07 tra Ma. e D.G. nella quale Ma. riferiva a D.G. che, insieme a G.G. "siamo entrati nel quartiere turco, l’abbiamo attraversato…non sai che cosa vuoi dire… siamo entrati in una casa di disperati italiani… col cane che abbaiava, la ragazzina che cacava…..e ci hanno dato una ventina di voti… in questa casa io non ho voluto mettere piede dentro, ho aspettato fuori, il sor G.G. è entrato…perchè mi faceva talmente schifo … è entrato il sor G.G., con la sua …diciamo verve calabrese…si è preso i voti e se ne semo andati…ti confermo, er G.G. qui è il capo della direzione germanica".

La indiscutibile chiarezza ed eloquenza di siffatti dati processuali viene, quindi, commentata dal collegio per il riesame in maniera incisiva e coerente quando ricorda che "la norma contestata non richiede necessariamente la violenza o la minaccia esplicita, prevedendo espressamente qualunque mezzo illecito atto a diminuire la libertà degli elettori con cui si eserciti pressione per costringerti, tra l’altro, a votare un determinato candidato".

Nè può ravvisarsi alcuna cesura logica nel fatto che il Tribunale – dopo avere ricordato altre frasi della conversazione telefonica intercettata nelle quali si sottolinea il fatto che gli elettori della provincia di Stoccarda "stanno a scende dappertutto…..cioè ti volevo dire..qui… amo cementato proprio…ce potemo costruì il Colosseo qui" – osserva che "ritenere che ciò sarebbe reso possibile dalla sola provenienza del G. dalla stessa terra di origine degli elettori è affermazione che contrasta con ogni più elementare dato logico".

Non rileva, infatti, che – come sostiene il ricorrente – l’espressione "verve calabrese" si presti a differenti interpretazioni perchè, una volta che il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della propria analisi probatoria, l’esame del giudice di legittimità non può andare oltre il controllo della chiave interpretativa essendo preclusa (sez. n 11.1.07, Messina, Rv. 235716) "la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova".

A bene vedere, perciò, la motivazione del Tribunale rappresenta una ossatura insuperabile per giustificare la contestazione dell’aggravante e con essa, quella presunzione di legge che, anche sul piano cautelare, legittima la misura più grave.

Alla presente declaratoria di inammissibilità, seguono, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00 e la comunicazione, ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, alle autorità penitenziarie.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 c.p.p. e ss. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000,00 Euro;

Visto l’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter ordina che a cura della cancelleria, sia trasmessa copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario competente per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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