Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-12-2010) 21-01-2011, n. 1877 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9/4/09, il Tribunale di Palermo dichiarava A. C.C. colpevole dei reati di violenza sessuale continuata aggravata, corruzione di minorenni, per avere costretto il proprio figlio, infraquattordicenne, a nome An., a compiere atti sessuali, nonchè per avere costretto, con violenza, il minore, pur esso infraquattordicenne, H.S.A. a subire un atto sessuale e per avere compiuto atti sessuali in presenza dei predetti minori, utilizzando in loro presenza un vibratore nelle parti intime;

induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, reato consumato nei riguardi delle connazionali M.A.A. e L.A., e tentato nei riguardi di I.G.;

condannava la prevenuta alla pena di anni 8 di reclusione, con applicazione delle pene accessorie.

La Corte di Appello di Palermo, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato dalla imputata, con sentenza dell’11/3/2010 ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa della A., con i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, in punto di apodittica conferma del discorso giustificativo adottato dal decidente, in difetto di esaustivo riscontro alle argomentazioni difensive, svolte con l’atto di appello; peraltro la analisi valutativa delle testimonianze assunte, appare, ictu oculi, falsata da una errata interpretazione delle stesse, che se correttamente lette avrebbero indotto il decidente a ben altra conclusione;

– la Corte territoriale ha omesso di specificare in maniera adeguata il rigetto della richiesta di concessione delle attenuanti generiche, fornendo sul punto una motivazione di stile, inadeguata a riscontrare le ragioni specificate dalla difesa in gravame.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi in esso libellati. La argomentazione motivazionale. svolta dal giudice di merito, a sostegno della affermazione di colpevolezza della imputata, si palesa del tutto logica, corretta ed esaustiva.

Con il primo motivo la difesa della ricorrente eccepisce vizio di motivazione in ordine alla valutazione della sussistenza di elementi comprovanti la responsabilità della prevenuta in relazione ai reati ad essa ascritti; peraltro, il giudice di seconde cure si sarebbe limitato a richiamare quanto argomentato dal Tribunale, in difetto di fornire il dovuto riscontro alle doglianze sollevate con l’atto di appello.

Orbene si osserva, che dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la pronuncia in questione, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della prevenuta, la Corte distrettuale non ha richiamato acriticamente il contenuto della sentenza del Tribunale, bensì ha dato pieno riscontro ai motivi di appello, fornendo specifici richiami alle emergenze istruttorie, di cui ha confermato la valenza per ribadire il convincimento, al quale era pervenuto il giudice di prime cure, sulla responsabilità della A. in ordine ai reati a lei contestati.

Peraltro, la censura manifesta un tentativo di rivalutazione della piattaforma probatoria, che non può essere oggetto di riesame estimatorio da parte del giudice di legittimità, in specie, nel caso in cui, come quello oggetto di esame, l’iter logico, sviluppato dal giudice di merito a supporto della decisione, si rivela del tutto ottemperante ai principi di plausibilità, esaustività e correttezza. Quanto al secondo motivo, con cui si contesta l’ingiustificato diniego della concessione delle attenuanti ex art. 62 bis c.p., si rileva che il decidente ha evidenziato, a supporto della detta denegazione, la insussistenza di elementi suscettibili di valutazione positiva, avuto riguardo alla estrema gravità delle condotte criminose addebitate, alla stregua delle quali la pena infima risulta determinata in misura congrua, conforme ai parametri di cui all’art. 133 c.p., oltre che adeguata ai reati commessi.

Questa Corte, in materia, ha avuto modo di affermare che la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale è tenuto a giustificare il corretto uso di tale potere, al fine di dimostrare che non sia trasmodato in arbitrio.

Quindi non è necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri (Cass. 11/12/96, n. 1666; Cass. 28/5/99, Milenkovic).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la A. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la stessa,deve, a norma dell’art. 616 c.p.p., altresì, essere condannata al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00; la condanna, altresì, a rifondere le spese del grado alla parte civile nella misura di Euro 2.000,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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