Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-02-2011, n. 3621 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Firenze, con sentenza in data 3.2 – 17.2.2006, confermava la sentenza resa dal Tribunale di Pisa il 6.10.2003, impugnata dalle Poste Italiane, che dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra le Poste Italiane e P.P.S. nel periodo dal 4.2.1998 al 30.4.1998, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, "per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane". Osservava la corte territoriale che, pur nel contesto normativo qualificato dalla previsione della L. n. 56 del 1987, art. 23 restava chiara, comunque, la natura eccezionale dell’apposizione del termine (sia pure in ipotesi individuate dall’autonomia collettiva) a fronte della regola della ordinaria indeterminatezza della durata del contratto di lavoro, e che, in ogni caso, si doveva riconoscere che, una volta che tale autonomia fosse stata esercitata con la previsione di specifiche e delimitate ipotesi, incombesse sul datore di lavoro l’onere di dimostrare le condizioni obiettive che, nel singolo caso, avevano giustificato la clausola del termine; onere , nella fattispecie, non osservato, essendo stato richiamato solo il processo generale di ristrutturazione operato dall’azienda sul territorio nazionale, senza alcuna dimostrazione in ordine alla effettiva necessità delle assunzioni nello specifico contesto produttivo ove il lavoratore era stato assegnato.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con quattro motivi. Resiste con controricorso, illustrato con memoria, P.P.S..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la società ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 1428 c.c. rilevando che la corte territoriale, con l’assumere che le dimissioni presentate dal lavoratore poco prima della scadenza del contratto erano state esclusivamente determinate da una erronea valutazione in ordine alla effettiva situazione lavorativa in cui lo stesso versava, aveva finito col far gravare sull’azienda una libera scelta del dipendente, operando un’opzione interpretativa incompatibile con la configurazione giuridica dell’atto di dimissioni.

Con il secondo motivo la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 56 del 1987, art. 23 deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, configurava una vera e propria "delega in bianco" in favore delle organizzazioni sindacali, le quali, pertanto, potevano legittimare il ricorso al contratto a termine non solo per causali di carattere oggettivo, ma anche meramente soggettivo, sicchè restava precluso al giudice di individuare limiti ulteriori, atti a circoscrivere l’ambito di operatività delle ipotesi di contratto a termine individuate in sede collettiva. Con il terzo motivo la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi c.d. attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessità di stipulare ulteriori contratti a termine.

Con il quarto motivo, infine, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, prospettando omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, per aver mancato di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora da parte del lavoratore e per aver, comunque, omesso di accertare se e in che misura lo stesso avesse svolto attività lavorativa successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro a termine, potendo l’eccezione di aliunde perceptum solo genericamente dedursi dal datore di lavoro.

2. Con riferimento al secondo ed al terzo motivo del ricorso, vanno ribaditi i principi, ormai acquisiti, che la giurisprudenza di legittimità ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001.

Questa Suprema Corte ha, infatti, reiteratamente affermato, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063,v. anche Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato". (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).

In particolare, come questa Corte ha più volte rilevato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608, Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit). Rilevato, quindi, che, in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, hanno reputato che con tali accordi le parti avessero convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998) della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. Questa Corte ha anche osservato che tale interpretazione non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di una più diffusa argomentazione ai fini della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453). Inoltre, è stato rilevato che tale interpretazione si palesa rispettosa del canone ermeneutico dell’art. 1367 cod. civ., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi (in considerazione della loro idoneità ad introdurre termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano previsti ex ante), laddove, diversamente opinando, gli stessi risulterebbero "senza senso" (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866). Infine, corretta è apparsa, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del lavoratore si era già definitivamente perfezionato. Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

3. In base agli esposti criteri interpretativi, ormai consolidati, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti l’interpretazione di norme collettive, deve, quindi, accogliersi il secondo motivo del ricorso, per inerire a contratto stipulato durante il periodo di valida efficacia temporale dell’accordo del 25 settembre 1997, con conseguente assorbimento di ogni ulteriore censura.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto della domanda introduttiva del giudizio.

Tenuto conto della complessità del quadro giurisprudenziale esistente al tempo della proposizione del ricorso, sussistono giusti motivi per compensare le spese della fase di merito, mentre seguono la soccombenza quelle del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da P.P.S. nei confronti delle Poste Italiane; compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’intimato al rimborso in favore delle Poste Italiane di quelle del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 34,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

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