Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-02-2011, n. 3614 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 552/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Massa, in accoglimento della domanda proposta da S.E. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, accertata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 4/2/2002 al 30-4-2002 (D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 per "esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre. 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002"), dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 4-2-2002 e condannava la società a risarcire il danno nella misura indicata, considerato l’aliunde perceptum.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda.

Il S. si costituiva resistendo al gravame.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 17-2-2006, respingeva l’appello e condannava la società al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Il S. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e dell’art. 1362 c.c. e segg. nonchè vizio di motivazione, in sostanza deduce la legittimità del termine apposto al contratto de quo sostenendo che nella fattispecie erano specificate (e sussistevano) le "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" ai sensi del D.Lgs. citato, art. 1.

Al riguardo la ricorrente rileva che "la citata disposizione normativa non indica alcun criterio specifico, nè di massima, al quale la previsione datoriale della situazione di fatto legittimante l’accensione di rapporti a tempo determinato debba essere subordinata" e deduce che nel caso in esame la sussistenza delle ragioni indicate "si evince dal processo di riallocazione (territoriale e professionale) delle risorse a tempo indeterminato che rappresenta l’esigenza aziendale (sostanzialmente identica su tutto il territorio nazionale) retrostante l’assunzione per cui è causa".

Pertanto, secondo la ricorrente, seppure la legge "non prevede un onere probatorio datoriale ulteriore rispetto a quello contenuto nell’art. 1", nella specie le esigenze organizzative connesse con il processo di mobilità scaturirebbero comunque "direttamente dall’analisi degli accordi richiamati nella lettera di assunzione".

Il motivo risulta inammissibile.

Come è stato affermato da questa Corte (Cass. 1-2-2010 n. 2279) "in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle "specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo", ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (….), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio – temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto; tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso "per relationem" ad altri testi scritti accessibili alle parti" (come accordi collettivi richiamati nello stesso contratto individuale).

In particolare, poi, come è stato precisato da Cass. 27-4-2010 n. 30033. l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 "a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè rimmodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicala ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto".

Orbene osserva il Collegio che la ricorrente, in sostanza, pur sostenendo, comunque, la specificità "per relationem" della causale indicata nel contratto de quo, con riferimento agli accordi citati, in realtà, al di là del generico richiamo alle "esigenze organizzative connesse con il processo di mobilità" in atto, violando palesemente il principio di autosufficienza del ricorso, non riproduce affatto il contenuto dei detti accordi, di guisa che non è dato in alcun modo a questa Corte di apprezzarne la decisività.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1419 c.c. del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e dell’art. 115 c.p.c., la ricorrente in sostanza lamenta che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato permarrebbe (in generale) anche nella vigenza del D.Lgs. n. 368 del 2001, così, in sostanza, applicando gli artt. 4 e 5 dello stesso D.Lgs. al diverso caso di nullità del termine per violazione dell’art. 1, comma 2 del medesimo D.Lgs., per il quale il legislatore non ha previsto la detta conversione.

Il motivo è infondato.

Come è stato affermato da questa Corte, "il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine "per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (principio applicato in fattispecie di primo ed unico contratto a termine)"(v. Cass. 21-5-2008 n. 12985).

In tali sensi, quindi, va respinto il ricorso, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Infine, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del S..

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al S. le spese, liquidate in Euro 25,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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