Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-02-2011, n. 3611 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 8 – 9 marzo 2007. la s.p.a. Poste Italiane chiede, con un unico articolato motivo, la cassazione della sentenza depositata il 13 marzo 2006, con la quale la Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato la società, a seguito dell’accertamento della nullità del termine apposto ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 cosi come integrato dall’accordo 25 settembre 1997 "per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi ed in attuazione del progressivo completo equilibrio sul territorio delle risorse umane" – al contratto di lavoro intercorso con N.R. dal 10 dicembre 1997, a riassumere la lavoratrice e a risarcirle il danno, rapportato alle retribuzioni perdute dall’atto di messa in mora.

In proposito, la Corte territoriale ha ritenuto che la società avrebbe dovuto offrire la prova del nesso di causalità tra l’assunzione a termine e il concreto emergere nella sua realtà lavorativa di esigenze riconducibili all’ipotesi astratta prevista dalla norma contrattuale collettiva.

Col ricorso, la società ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e l’omessa motivazione in relazione a combinato disposto degli artt. 414 e 434 c.p.c. relativamente alla eccezione di aliunde perceptum proposta ritualmente dalla società nei precedenti gradi di giudizio;

L’intimata si è ritualmente costituita nel presente giudizio di cassazione con controricorso notificato a mezzo del servizio postale il 21 aprile 2007.

Ambedue le parti hanno depositato una memoria difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Va infatti ricordato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U.. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha operato una sorta di delega in bianco alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063).

Quanto al tipo di contrattazione collettiva autorizzata a tale ampliamento, il citato L. n. 56, art. 23 si esprime in termini di "apposizione di un termine… consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale".

Nel caso in esame, come ricordato dalla ricorrente, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, era stata introdotta nel testo del l’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste ai sensi della L. n. 56 de 1987, art. 23) il caso di "esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane".

Inoltre, in pari data, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi accordi attuativi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998.

Orbene, con numerose sentenze questa Corte suprema (cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, 28 novembre 2008 n. 28450 e 20 marzo 2009 n. 6913), decidendo in ordine a fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, ha ripetutamente confermato, con orientamento ormai consolidato, le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato legittimo il termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fino al 30 aprile 1998 per la causale in parola ed illegittimi quelli successivi, nell’arco temporale di vigenza del citato accordo nazionale del settembre 1997, negando, sulla base della considerazione dell’autonomia delle ipotesi aggiuntive la cui previsione è affidata ai contraenti collettivi indicati, la necessità che tale causale debba essere istituzionalmente contenuta in limiti temporali predeterminati e rilevando che tali limiti erano stati peraltro introdotti dai medesimi contraenti collettivi unicamente con riguardo al periodo successivo al 30 aprile 1998.

Da tale consolidato orientamento non è ragione di discostarsi, anche in ragione dell’esercizio della fondamentale funzione nomofilattica attribuita dal legislatore a questa Corte.

La decisione impugnata, relativa all’accertata illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro della resistente per la causale indicata relativamente al periodo dal 12 ottobre 1997 al 31 gennaio 1998, in quanto stipulato in epoca antecedente la data del 1 maggio 1998, non si è attenuta ai principi e regole enunciati.

Il ricorso è pertanto fondato nel primo motivo, con conseguente assorbimento del secondo.

Quanto alla conseguente cassazione della sentenza, la lavoratrice chiede in via subordinata nel controricorso che essa avvenga con rinvio, sostenendo che sia in primo che in secondo grado aveva dedotto il mancato rispetto, da parte della società, della percentuale del 10% prevista dalla contrattazione collettiva come limite massimo dei contratti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato e che tale deduzione sarebbe stata evidentemente ritenuta assorbita dalla Corte d’appello, in ragione del silenzio al riguardo da essa osservato.

Non potendo al riguardo proporre, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, ricorso incidentale, la N. si limita a riproporre in questa sede tale questione, unitamente a quella (anch’essa proposta nei precedenti gradi di merito) della illegittimità del termine apposto ai successivi contratti di lavoro del 1.6.98 (per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre), del 12.10.98 e del 3 maggio 1999 (per esigenze contingenti ed imprevedibili connesse alla complessa fase di riorganizzazione aziendale) e del 4.7.2000 (ferie nonchè per far fronte a punte di più intensa attività stagionale), per il giudice di rinvio in caso di cassazione della sentenza per accoglimento del primo motivo di ricorso.

La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, la quale esaminerà altresì i temi ricordati nel controricorso, che la Corte territoriale ha ritenuto assorbiti nonchè l’argomento della possibile applicazione dello ius superveniens rappresentato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7 cui alludono le memorie depositate dalle parti.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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