Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-12-2010) 21-01-2011, n. 1869 Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.M., tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. in data 15 aprile 2010, dal Tribunale di Trapani in composizione monocratica e con la quale le veniva applicata la pena concordata con il Pubblico Ministero in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv c.p. e art. 2, comma 1 bis in relazione al D.L. n. 463 del 1983, art. 1 convertito nella L. 638 del 1983.

Con un unico motivo di ricorso, denunciava la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B) ed E) in relazione all’art. 129 c.p.p., art. 157 c.p. e art. 2, comma 1 bis in rel. al D.L. n. 463 del 1983, art. 1, lamentando la mancata declaratoria del reato per intervenuta prescrizione.

Osservava infatti che, avendo il PM proceduto alla modifica, ai sensi dell’art. 516 c.p.p., del capo di imputazione originariamente indicante la ricorrente come titolare della "ditta Fulgida di Giglio Salvatore & C", indicando la corretta dizione di titolare della "ditta gentile Margherita" ed essendo avvenuta tale modifica solo in data 18 febbraio 2010, doveva ritenersi decorso il termine massimo di prescrizione, essendosi verificato solo in tale data il primo atto interruttivo, trattandosi di fatto nuovo.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

La lamentata omessa valutazione, da parte del giudice di primo grado, dell’eventuale sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. relativamente alla declaratoria di prescrizione del reato è infatti palesemente insussistente.

Questa Corte ha costantemente ritenuto che, nelle ipotesi di applicazione della pena su richiesta della parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., l’accordo dispensa l’accusa dall’onere della prova e la sentenza debba ritenersi sufficientemente motivata mediante la sintetica descrizione del fatto, come deducibile dal capo di imputazione e la valutazione della sua corretta qualificazione giuridica con il richiamo all’art. 129 c.p.p. per escludere la ricorrenza di una delle ipotesi di proscioglimento (Sez. 4^ n. 34494, 17 ottobre 2006. Conf. Sez. 1^ n. 3980,23 novembre 1994).

Si è anche osservato, in altra occasione, che la sentenza di "patteggiamento" può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, solo se dal testo appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 succitato (Sez. 6^ n. 4120, 1 febbraio 2007, Conf. Sez. 3^ n. 2309, 9 ottobre 1999).

Nel caso di specie il Giudice di prime cure ha dato compiutamente atto, nella motivazione, dell’assenza delle condizioni di legge per l’emanazione di una eventuale sentenza di proscioglimento rendendo conto della corretta qualificazione giuridica dei fatti.

Tali considerazioni riguardano, evidentemente, tutte le cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., ivi compresa quella, reclamata dalla ricorrente, di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Ma anche se così non fosse, le argomentazioni poste a sostegno del ricorso non appaiono comunque condivisibili.

Come emerge chiaramente dagli atti, l’intervento correttivo effettuato dal Pubblico Ministero in udienza ha riguardato esclusivamente l’esatta specificazione della ditta individuale della quale l’imputata era legale rappresentante, originariamente indicata in modo diverso, come evidenziato in ricorso.

Tale intervento, lungi dal consentire di qualificare l’imputazione come riferita ad un fatto nuovo, si configura, piuttosto, in una mera rettifica che non ha peraltro arrecato nessuna lesione dei diritti dell’imputata.

Il fatto storico oggetto dell’imputazione è rimasto immutato quanto a condotta, evento ed elemento soggettivo del reato e la ricorrente è stata, fin dall’origine del procedimento, individuata quale persona fisica tenuta al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali oggetto dell’imputazione.

Ne consegue che il termine massimo di prescrizione per il reato contestato non risulta spirato per effetto degli atti interruttivi che hanno spiegato il loro effetto nel corso del procedimento.

Il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – segue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.500,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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