Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-12-2010) 21-01-2011, n. 1867 Motivi di ricorso; Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato la pronuncia di colpevolezza di I.A. in ordine al reato: a) di cui all’art. 61 c.p., n. 11, art. 609 bis c.p., comma 1, art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1) e art. 609 septies c.p., comma 4, n. 1), a lui ascritto per avere costretto, con violenza e minacce, nonchè abusando del rapporto di relazioni domestiche e di parentela, la nipote M.A.R. di undici anni a subire atti sessuali, consistiti in un rapporto anale.

Il giudice di primo grado aveva affermato la colpevolezza dell’imputato in ordine a tale reato, ritenendo pienamente attendibile il narrato della minore, mentre lo aveva assolto da analoga imputazione per un tentativo di violenza sessuale e di violenza privata in danno del cugino della persona offesa, M. S., ritenendo meno attendibili le accuse di quest’ultimo, in quanto potenzialmente dettate da spirito di emulazione o ispirate da suggestioni derivanti dalle pressioni subite in ambito familiare per sapere se anche lui fosse stato vittima di abusi sessuali.

La sentenza impugnata, nel rigettare sia l’appello dell’imputato relativo alla affermazione di colpevolezza, che quello del P.M. avverso la pronuncia di assoluzione, ha sostanzialmente confermato la valutazione del giudice di primo grado in ordine al diverso grado di attendibilità delle dichiarazioni dei predetti minori.

In particolare, con riferimento al delitto di violenza sessuale in danno della M.A.R., la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante l’esito negativo della visita medica cui era stata sottoposta la persona offesa per accertare eventuali tracce dell’abuso subito, in considerazione del tempo trascorso tra la predetta visita e la violenza (circa tre mesi), nonchè inconferenti le censure formulate dal consulente tecnico dell’appellante alla consulenza psicodiagnostica fatta espletare dal P.M. sulla M..

Per l’effetto, la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale per disporre un accertamento peritale sulla minore.

La sentenza ha altresì respinto il motivo di gravame con il quale era stata chiesta la concessione delle attenuanti generiche e della diminuente di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che la denuncia per vizi di motivazione ed errata applicazione di legge.

Motivi della decisione

Con un unico, articolato, mezzo di annullamento il ricorrente denuncia vizi di motivazione ed errata applicazione dei principi di diritto in materia di valutazione della prova.

In particolare si denuncia carenza di motivazione della sentenza in relazione alle censure formulate con i motivi di gravame sui punti:

– delle incongruenze evincibili dal narrato offerto dalla minore M.A.R., nonchè dagli altri soggetti escussi a sommarie informazioni nella fase delle indagini preliminari;

– delle denunciate lacune procedimentali e valutazioni contraddittorie che affliggono l’elaborato del C.T. del P.M., dott.ssa P.;

– delle contrastanti versioni offerte dalle persone informate sui fatti nel ricostruire la "riunione" in casa M. del 19.3.2007;

dell’errata applicazione da parte del G.U.P. dei principi giurisprudenziali in materia di valutazione della prova;

– della omessa indagine sull’attendibilità soggettiva e sulla personalità della minore M.A.R.;

In punto di vizi di motivazione, in particolare, si fa rilevare che la sentenza impugnata, dopo aver affermato che compito della consulenza tecnica psicodiagnostica è di esprimere esclusivamente un parere sulla capacità di testimoniare del minore, mentre la valutazione della sua attendibilità è compito del giudice, ha illogicamente rilevato l’incompletezza della consulenza di parte, per avere il consulente omesso l’esame della coerenza e della costanza della narrazione resa dalla minore.

Nel prosieguo, in sintesi, si riportano le dichiarazione rese dalla M.A.R. prima al Commissariato di P.S., poi al P.M. ed infine in sede di incidente probatorio, per rilevare il carattere lacunoso delle modalità con le quali erano state assunte le sommarie informazioni, senza che fosse stata effettuata la videoregistrazione della prova, nonchè la incoerenza e le incongruenze del narrato della minore, che, nelle tre occasioni in cui era stata sentita, aveva delineato tre versioni diverse dei fatti con riferimento a circostanze di non secondaria importanza.

Si osserva che a fronte delle rilevate incongruenze del narrato della persona offesa la consulente del P.M. non era giunta ad alcuna conclusione scientificamente valida, avendo rilevato che la minore è un soggetto che tenta di compensare un senso di inferiorità e di adattamento sociale inadeguato con un gran lavoro di fantasia per poi affermare che si tratta di personalità non incline alla mistificazione; nel prosieguo, aveva prima affermato che il pensiero della minore è immaturo per poi sostenere che la stessa appare matura ed assennata.

Si deduce che alla luce dei citati rilievi doveva trovare accoglimento la richiesta di perizia sulla persona offesa.

Si riportano, poi, le dichiarazioni rese dai vari soggetti intervenuti nella riunione in casa M. il 19.3.2007 per rilevare che la ricostruzione della serata è stata fatta in maniera diversa da tutti coloro che vennero escussi a sommarie informazioni ed in particolare dai genitori dei minori e dalla stessa A.R..

Conclusivamente si osserva che le dichiarazioni della minore non avevano trovato alcun riscontro obiettivo, stante tra l’altro, l’esito negativo della visita ginecologica; che le stesse non risultavano nè costanti, nè attendibili; che i genitori della minore non avevano notato nulla di strano nell’atteggiamento della figlia nell’immediatezza dei fatti; che la consulenza tecnica sulla minore risultava eseguita in maniera approssimativa e scientificamente non appropriata.

Si deduce, poi, che il G.U.P. ha apoditticamente attribuito valore accusatorio a circostanze insignificanti o addirittura favorevoli al ricorrente e si reiterano le censure di carenza ed illogicità della motivazione della sentenza in relazione ai citati punti trattati nei motivi di gravame.

Il ricorso non è fondato.

E’ opportuno osservare in punto di diritto che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio diretto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.

Si tratta di un principio di diritto reiteratamente affermato da questa Corte ed assolutamente condivisibile (sez. un. 23.11.1995 n. 2110, Facchini, RV 203767 e più di recente ulteriormente ribaditi:

sez. 2^, 5.5.2006 n. 19584, Capri ed altra, RV 233773; sez. 6^, 20.3.2006 n. 14054, Strozzanti, RV 233454).

Tale impostazione, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), disposta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), è stata ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale può aversi vizio di travisamento della prova quando l’errore sia in grado "di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione" e che questo può avvenire solo nei casi in cui "si introduce in motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo", oppure "si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione", (sez. 2^, 23.5.2007 n. 23419, P.G. in proc. Vignaioli, RV 236893;

sez. 1, 15.6.2007 n. 24667, Musumeci, RV 237207).

L’esame del materiale processuale previsto dalla norma non può mai comportare per la Corte di legittimità una nuova valutazione del risultato probatorio e delle sue ricadute in termini di ricostruzione del fatto e delle responsabilità, ma deve limitarsi a verificare che la sentenza impugnata non sia incorsa nel vizio di travisamento della prova.

Orbene, appare evidente dall’esame dell’unico motivo di gravame che la maggior parte delle censure dei ricorrente, anche allorchè si denuncia violazione di legge, si esauriscono nella richiesta di riesame e rivalutazione del materiale probatorio in ordine alla attendibilità della persona offesa dal reato; riesame inammissibile per le anzidetto ragioni.

Peraltro, la sentenza impugnata, la cui motivazione è integrata da quella di primo grado per l’identità della decisione, ha fondato la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa su una motivazione assolutamente esaustiva ed immune da vizi logici, che tiene conto di tutte le risultanze processuali dalle quali è stato conclusivamente dedotto tale giudizio, non contrastato da elementi di segno opposto.

In particolare, oltre alla capacità della minore di comprendere e riferire i fatti e, quindi, di testimoniare, di cui tratta più ampiamente la sentenza di primo grado, la pronuncia della Corte territoriale ha evidenziato che nella specie non sono emersi elementi indicativi dell’esistenza di pregresse ragioni di astio o tensione nell’ambito familiare; nè che la minore fosse portatrice di tali sentimenti ovvero che le sue dichiarazioni possano essere state condizionate da situazioni di tensioni o da pressioni ricevute in ambito familiare.

La sentenza di primo grado ha, poi, valorizzato, in ordine al giudizio di attendibilità della minore, le circostanze casuali che hanno portato allo svelamento dell’abuso; il fatto che la minore ha dimostrato di non avere conoscenze approfondite e precoci di tipo sessuale; l’accertamento, attraverso la somministrazione testologica, che la minore non è assolutamente incline alla mistificazione; gli elementi di riscontro costituiti da indicatori comportamentali, quali l’evitamento dell’abusante da parte della minore, "tanto da essere indotta a rivelare l’accaduto dopo averlo incontrato nuovamente in casa propria".

E’ stata poi evidenziata dai giudici di merito la sostanziale costanza e coerenza del narrato della minore nelle varie sedi in cui è stata esaminata.

La Corte territoriale ha esaminato compiutamente le deduzioni del ricorrente, con le quali si è cercato di mettere in dubbio l’attendibilità della persona offesa, ritenendole relative a circostanze inconferenti, quale la rilevata incertezza in ordine al fatto che l’imputato avesse chiuso o meno la porta della stanza in cui si trovavano i figli.

Quanto alle censure nei confronti della consulenza psicodiagnostica fatta eseguire dal P.M. si è osservato che le stesse sono state formulate estrapolando piccoli frammenti dal complesso della relazione, sicchè tali censure non sono state ritenute idonee a inficiare la coerenza e logicità dell’elaborato peritale.

In particolare, è stato osservato sul punto che l’affermazione della consulente, secondo la quale la minore è incline alla fantasia, non contrastata affatto con il complessivo giudizio di maturità della stessa, essendo ben diversi gli indicatori della propensione alla mistificazione ed alla falsificazione della realtà.

Infine, lo stesso diverso grado di apprezzamento delle dichiarazioni rese dai due piccoli accusatori dell’imputato, con valutazione concorde in entrambi i gradi del giudizio, appare indicativo dello scrupolo con il quale i giudici di merito hanno esaminato le risultanze probatorie per inferirne giudizi di versi.

In conclusione, la sentenza impugnata si palesa immune dai denunciati vizi di motivazione, che, per quanto rilevato, sono prevalentemente fondati su una diversa lettura delle risultanze probatorie.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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