T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 21 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’impugnativa in epigrafe si dirige avverso il provvedimento in data 24.5.10 del comune di Martinsicuro, con cui è stato parzialmente autoannullato il permesso di costruire n. 65/2005 del 20 ottobre 2005 rilasciato alla società G. (odierna ricorrente), per la realizzazione di fabbricati afferenti al complesso direzionalecommerciale in Villa Rosa. Il provvedimento di secondo grado -che riguarda vari edifici del plesso commerciale de quo, alcuni già realizzati, altri in corso di costruzione ed altri ancora non realizzati- risulta motivato dal fatto che il titolo edilizio a suo tempo rilasciato avrebbe illegittimamente assentito una superficie utile massima (pari a 20.263,88 mq.) di ben 7.959,38 mq. superiore al limite consentito dalle pianificazioni vigenti, pari a 12.304,5 mq.. Quanto sopra, a causa di "…una incongruenza nel calcolo della superficie utile nella misura in cui la superficie utile è stata sostanzialmente assimilata alla superficie occupata dal solo piano terra e non alla sommatoria delle superfici utili di tutti i piani; diversamente la Superficie Utile sarebbe stata assentibile per la quantità massima ammissibile risultante dall’applicazione dell’indice Ut 3.000 mq per ettaro prescritto dall’art. 35 delle NTA del PRG, che disciplina il dimensionamento del Piano attuativo per la zona omogenea di intervento".

L’impugnata misura di autotutela -che scaturisce da recenti iniziative giudiziarie sul complesso commerciale che hanno portato ad un sequestro preventivo dei manufatti da parte del Tribunale di Teramo- viene motivata dall’esigenza di tutelare in loco l’ordinato assetto edilizio, mediante l’eliminazione delle "perturbazioni che l’intervento ha determinato in ordine alla normativa di PRG posta a base della zona".

Le ragioni a sostegno del ricorso possono così riassumersi:

il provvedimento impugnato avrebbe erroneamente preso come parametro di riferimento le previsioni del PRG e del piano particolareggiato di cui alla delibera consiliare 19/2000, ignorando invece la sopravvenuta variante al piano particolareggiato (adottata con delibera consiliare 36 del 7.5.03 ed approvata con delibera consiliare 80 del 6.10.2003), che non è stata oggetto di autotutela e che consentirebbe i più favorevoli parametri urbanisticoedilizi previsti nel titolo edilizio parzialmente annullato, mediante l’utilizzo della facoltà dei piani particolareggiati di derogare al PRG in virtù degli artt. 18 e segg. della LR 18/1983;

in ogni caso sarebbe stato violato il legittimo affidamento ingenerato nella società ricorrente (che avrebbe medio tempore eseguito tutte le opere di urbanizzazione e la quasi totalità dei fabbricati) attraverso un’autotutela tardiva e priva di sostanziale motivazione, intervenuta a distanza di cinque anni senza la dovuta ponderazione degli interessi in gioco, in palese violazione dell’art. 21 nonies legge 241/90;

i ritardi avrebbero peraltro riguardato lo stesso procedimento di secondo grado, visto che il termine massimo di gg. 45 per la conclusione dello stesso (stabilito nella nota di avvio in data 25.8.09) sarebbe stato ampiamente disatteso.

Viene altresì allegata istanza risarcitoria.

Si è costituito in giudizio il comune di Martinsicuro che ha controdedotto con memoria, mentre alla pubblica udienza del 17.12.10 la causa è stata riservata a sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato nei sensi di seguito illustrati.

Quanto alla presupposta questione relativa alla sussistenza o meno del vizio di legittimità posto a base dell’impugnata autotutela civica, va in primo luogo ben chiarito come non sia in discussione fra le parti in causa il fatto che la superficie utile consentita con il titolo edilizio 65/05 risulti di quasi 8.000 mq superiore rispetto ai limiti fissati dall’articolo 35 delle NTA del PRG e dal conforme piano particolareggiato di iniziativa privata approvato con delibera consiliare 72/2000 per la realizzazione del complesso direzionalecommerciale.

Secondo le argomentazioni della ricorrente, tuttavia, con la successiva delibera consiliare 80 del 2003 "… ci troviamo di fronte all’approvazione da parte del Comune di una variante urbanistica che ha permesso di raddoppiare la superficie utile dell’intervento edilizio in questione e, quindi, ad una modifica dell’originario piano particolareggiato" (sic, memoria del 9.11.10), così che -sempre secondo la delineata tesi- la normativa di riferimento non dovrebbe più ravvisarsi nelle ormai superate previsioni del PRG e del piano particolareggiato del 2000, bensì nelle nuove e più favorevoli regole urbanisticoedilizie introdotte con la citata variante: quanto sopra, in asserita conformità all’articolo 20 comma 8 della L.R. 18/83 che espressamente consente di modificare con piano particolareggiato i parametri edilizi del PRG.

Osserva ex adverso il collegio che la variante invocata dalla ricorrente ha in realtà riguardato la realizzazione di una strada di collegamento con la conseguente e dichiarata modifica della viabilità, senza che tale delibera avesse inteso modificare l’articolo 35 delle NTA quanto a parametri edilizi e/o indici di edificabilità (questi ultimi -al contrario dei ccdd. "parametri"- peraltro esclusi da ogni possibile ius variandi del piano particolareggiato).

D’altra parte, l’eccezionale possibilità di alterare le previsioni di PRG mediante semplice strumento attuativo (beninteso nei soli casi consentiti dal comma 8 dell’art. 20 della LR 18/83), viene subordinata dall’art. 21 della medesima legge regionale ad una congrua motivazione sulle ragioni delle nuove scelte, evidenziando quindi la necessità che l’opzione derogatoria sia non solo chiaramente esternata, ma anche adeguatamente motivata. Nel caso di specie manca invece finanche una esplicita declaratoria in tal senso, ed anzi i lavori preparatori delle due delibere di adozione ed approvazione della variante in questione concludono in modo univoco per una portata meramente "viabilistica" della variante stessa, come diffusamente comprovato dal patrono civico con documentate considerazioni rimaste sul punto prive di confutazione.

Nel delineato contesto, risulta del tutto inconfigurabile poter argomentare lo ius variandi invocato dalla ricorrente solo in ragione di una allegata relazione di progettisti che, attraverso l’introduzione di un elemento parametrico atipico e fuorviante (la superficie lorda di pavimento di progetto, nei sensi diffusamente puntualizzati dal comune anche nel corso del procedimento di secondo grado) ha finito per determinare un’artificiosa ipertrofia delle potenzialità edificatorie, illegittimamente recepita dal permesso 65/2005, senza che neanche gli stessi progettisti autori dell’equivoco abbiano mai dichiarato di derogare alle previsioni dell’art. 35 delle NTA (rispetto alle quali anzi essi stessi garantivano la sostanziale conformità, cfr. punto 3 della tavola 13 predisposta dal proponente, ove vengono sintetizzati i riferimenti normativourbanistici con espresso richiamo al citato art. 35).

Va pertanto disattesa la tesi della ricorrente secondo cui il titolo edilizio 65/2005 sarebbe stato conforme alla lex specialis urbanistica così come modificata dalla variante di PP del 2003. Ne consegue l’obbiettiva illegittimità del predetto permesso sia con le NTA del PRG, sia con il piano particolareggiato del 2000.

Una volta constatata la sussistenza del vizio di legittimità posto a base della impugnata misura di autotutela, va parimenti respinto anche il secondo più articolato gruppo di censure, con il quale la ricorrente ha lamentato l’asserita violazione dell’art. 21 nonies legge 241/90 per mancata considerazione dei consolidati ed incolpevoli affidamenti che la ricorrente avrebbe maturato, nel corso del quinquennio di vigenza del provvedimento edilizio nella sua originaria consistenza abilitativa.

Sul punto ritiene il collegio di operare un preliminare chiarimento.

Non si ignora la giurisprudenza maggioritaria secondo cui anche l’autoannullamento del permesso di costruire resta assoggettato ai noti principi generali dello ius poenitendi della PA, ora tipizzati nel citato articolo 21 nonies legge 241/90 (cfr. tar Veneto sentenza 5241/10, Consiglio di Stato decisione 8529/10, tar Campania -NA- sez. VII n. 6238/07).

Va tuttavia anche considerata la norma speciale che regola la soggetta materia, vale a dire l’art. 38 del DPR 380/2001 che testualmente così recita al suo primo comma: "In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa".

Dal combinato disposto delle due norme (art. 21 nonies legge 241/90 ed art. 38 TU 380/2001) emerge dunque che a seguito della riscontrata illegittimità del titolo edilizio, la PA procedente deve operare due distinte e progressive ponderazioni comparate dei contrapposti interessi in gioco:

una di primo livello afferisce direttamente alla normativa generale sul procedimento, condizionando la caducazione dell’atto illegittimo; nel caso di scelta affermativa, una seconda e definitiva fase di valutazione riguarda invece più da vicino le concrete modulazioni di ricaduta del deliberato annullamento sulla sfera giuridica del destinatario, in attuazione del citato articolo 38 del TU sull’edilizia.

In buona sostanza, l’annullamento dell’atto non postula di per sé in via automatica il ripristino di quanto medio tempore costruito, visto che una volta determinatasi a ravvisare gli estremi dell’autotutela decisoria, l’amministrazione è poi chiamata a modulare (con lo stesso o con altro distinto provvedimento) le misure operative che ne conseguono, senza un sistematico ricorso all’integrale autotutela esecutiva (che rappresenta invece solo una delle opzioni previste dal citato art. 38 del TU 380/01, il cui presupposto -giova ribadirlo- è proprio l’ormai deliberato annullamento del titolo edilizio).

Nel delineato contesto, rimane peraltro inteso che il vaglio di primo livello sull "an" della caducazione attizia (una volta ovviamente acclarato il vizio di legittimità del provvedimento da annullare) debba considerare prevalentemente l’interesse pubblico attuale alla eliminazione del vizio stesso, ad esempio mediante la verifica di concreta offensività degli equilibri ediliziourbanistici della zona (in mancanza della quale resterebbe salvo l’originario programma costruttivo, anche in relazione alle opere in corso ovvero a quelle ancora da realizzare); sarà invece valorizzata soprattutto all’interno della seconda fase la posizione del titolare del permesso ormai annullato in ordine a quanto già medio tempore realizzato, deliberandosi in quella sede la misura più appropriata, ove del caso anche conservativa, compatibilmente con una proporzionata mediazione della contrapposta esigenza pubblicistica, tendenzialmente mirata al ripristino dello stato dei luoghi.

Sulla base delle esposte premesse -passando all’esame del caso in vertenza- resta agevole considerare che il provvedimento oggetto di impugnativa si è limitato ad operare un annullamento parziale del permesso di costruire, senza (ancora) nulla disporre in ordine alle conseguenze dell’annullamento stesso sulle opere già eseguite; in buona sostanza la PA civica ha percorso solo il primo step procedimentale, deliberando di dare rilevanza caducatoria al vizio di legittimità che ha determinato una superficie edificabile di quasi 8.000 mq in eccesso rispetto al consentito; all’autotutela decisoria non è però ancora seguita la fase deliberativa prevista specificamente dall’art. 38 del TU 380/01, all’interno della quale dovrà trovare spazio un’accurata considerazione (anche) dell’interesse privato al mantenimento delle opere già realizzate in costanza della parte autorizzativa interessata dal ripensamento, senza che peraltro (ed è appena il caso di precisarlo) tale ponderazione possa recare pregiudizio alcuno alle misure giudiziarie parziali e/o definitive connesse alle indagini penali in corso sul complesso in questione.

Ne consegue che le diffuse ed insistite considerazioni della ricorrente circa il suo preteso (e tradito) affidamento ingenerato dal lungo arco temporale intercorso fra l’adozione del titolo ed il suo annullamento risultano non pertinenti nella presente sede, e comunque presuppongono una misura demolitoria estranea ai contenuti ordinatori dell’atto impugnato; come più volte in precedenza detto, le motivate valutazioni sull’affidamento potranno invece trovare spazio -nel rispetto delle citate indagini dell’AGO- nel diverso procedimento con cui il comune, ai sensi del citato art. 38 TU 380/01, è chiamato a ponderare le conseguenze operative della disposta autotutela (sanzioni pecuniarie, rimozione dei vizi, rimessione in pristino relativa ad una parte ovvero a tutta l’eccedenza illegittima e conseguenti misure restitutorie connesse agli oneri ed alle spese di urbanizzazione già corrisposti in danaro e/o a scomputo); quanto sopra, per l’appunto, attraverso un provvedimento conclusivo che la società interessata potrà ove del caso compulsare mediante l’azione sul silenzio rifiuto ex artt. 31 e 117 del CPA, fermo restando che in attesa di tale provvedimento non sussiste alcun obbligo di demolizione delle opere in eccesso già realizzate. In quella sede procedimentale potrà altresì darsi riscontro alle domande di sanatoria e/o di variante già proposte dalla società, il cui lamentato omesso riscontro non può certamente essere oggetto di vaglio nella presente sede, sia perché il relativo sindacato giudiziario attiene al diverso rito processuale del silenziorifiuto, sia perché comunque le decisioni sulla rilevanza caducatoria dell’illegittimità del permesso assumono connotati prioritari rispetto alla eventuale rimozione dei vizi, che l’articolo 38 TUEELL delinea solo ad annullamento già avvenuto.

In conformità ai paradigmi valutativi in precedenza illustrati, va invece ravvisata la legittimità della fase deliberativa di primo livello formalizzata con l’atto impugnatoad effetti caducatori nonché inibitori del programma edilizio ancora da realizzare- risultando motivatamente ponderato il rilevante interesse pubblico alla caducazione parziale (quantomeno giuridica, con salvezza delle successive fasi deliberative) di un titolo edilizio sovradimensionato di quasi il doppio rispetto al consentito, con le ben intuibili ricadute sull’ordinato assetto edilizio della zona.

In conclusione, il ricorso e l’allegata istanza risarcitoria vanno respinti, con salvezza delle ulteriori determinazioni dell’amministrazione ex art. 38 TU 380/01.

Sussistono ragioni per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo (Sezione Prima) respinge il ricorso in epigrafe e l’allegata istanza risarcitoria, con salvezza delle ulteriori determinazioni della PA intimata nei sensi di cui in motivazione;

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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