Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 21-01-2011, n. 2216 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 26.4.10 il Tribunale di Torino, sezione riesame, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 10.4.10 dal GIP dello stesso Tribunale nei confronti di P. V. e S.N., alias B.I. (cittadini rumeni), per i delitti p. e p. ex artt. 624, 625, 648 e 648 bis c.p..

Tramite il proprio difensore ricorrevano P.V. e S. N., alias B.I., contro detta ordinanza, di cui chiedevano l’annullamento, unitamente al titolo genetico, per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) violazione dell’art. 143 c.p.p., per omessa traduzione in lingua rumena dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nonostante l’insegnamento delle S.U. di questa S.C., non risultando notificata agli indagati – contrariamente a quanto aveva disposto lo stesso G.I.P. – la traduzione del titolo custodiate, nè essendo sufficiente la presenza dell’interprete nel corso dell’interrogatorio di garanzia;

b) mancata motivazione sui gravi indizi di colpevolezza e sulle esigenze cautelari: il fatto che tali aspetti non fossero stati oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti non esonerava il giudice del riesame dal verificarli d’ufficio; in tal modo si era realizzata una disparità di trattamento rispetto alla copiosa motivazione adottata, invece, in relazione ad altro coindagato (tale Caruso).

1 – Il ricorso è infondato.

Deve respingersi il motivo che precede sub a) perchè in nessun caso un ordine di custodia cautelare può essere invalidato dalla mancata traduzione, mero posterius per sua natura inidoneo a provocare la nullità di un atto anteriore.

Invero, ex art. 185 c.p.p., eventuali nullità si comunicano agli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, ma non possono mai retroagire ai danni di atti che, come l’ordinanza genetica, sono stati regolarmente redatti, secondo quanto prescritto dall’art. 109 c.p.p., a pena di nullità, in lingua italiana.

Dunque, che l’imputato alloglotta abbia diritto alla traduzione dell’ordinanza in altro idioma da lui conosciuto è questione che non può incidere sulla validità dell’ordinanza medesima, ma al più – e non è questo il caso in esame – sugli effetti posteriori, vale a dire sull’attitudine a determinare il decorso dei termini per l’impugnazione, differito al momento in cui il destinatario abbia compreso il contenuto del provvedimento (cfr. ad es. Cass. Sez. 1^ n. 13804 dell’11.3.2008, dep. 2.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 12113 del 4.12.2007, dep. 18.3.2008; Cass. Sez. 4^ n. 6684 del 12.11.2004, dep. 22.2.2005, ed altre).

Altra questione, invece, è quella delle conseguenze della successiva mancata traduzione di un titolo legittimamente (e doverosamente) redatto in lingua italiana, questione che in astratto potrebbe porsi in ordine alla sorte degli atti susseguenti: ma in proposito proprio le S.U. di questa S.C. (cfr. sentenza n. 5052 del 24.9.03, dep. 9.2.04, Zalagaitis, espressamente invocata in ricorso) hanno statuito che, qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero del quale si ignori la capacità di comprendere la lingua italiana, non è sempre dovuta l’immediata traduzione dell’ordinanza custodiale (anche in applicazione dell’art. 94 Disp. Att. c.p.p., comma 1 bis), nel senso che il diritto alla conoscenza del relativo contenuto è soddisfatto dalla nomina, in sede di interrogatorio di garanzia, di un interprete che traduca le contestazioni mosse, rendendo edotto l’indagato delle ragioni che hanno determinato l’emissione del provvedimento nei suoi confronti;

nel caso di specie un interprete ha assistito all’interrogatorio dei ricorrenti, come si evince dallo stesso atto di impugnazione.

Sempre le S.U. hanno specificato che l’intervento dell’interprete in sede di interrogatorio ex art. 294 c.p.p., (al fine di esporre all’indagato, dinanzi al giudice e con la garanzia della presenza del difensore, la contestazione che gli è stata mossa indicandogliene le ragioni, ivi comprese quelle relative alle esigenze cautelari) esonera il giudice dal disporre la traduzione dell’ordinanza genetica.

In breve, le S.U. hanno statuito esattamente il contrario di quanto si legge a pag. 4 del ricorso, laddove si sostiene che la presenza dell’interprete nel corso dell’interrogatorio di garanzia non sarebbe stata sufficiente a permettere agli indagati di comprendere pienamente il contenuto e i motivi della misura emessa nei loro confronti.

A maggior ragione nessuna norma di legge prevede il diritto – preteso dagli odierni indagati – di ottenere la notifica della traduzione del titolo custodiale. Il fatto che essa fosse stata disposta dal GIP costituisce solo un eccesso di zelo ininfluente sulla validità dell’ordinanza genetica e degli atti successivi.

2 – Anche il motivo che precede sub b) va disatteso.

Riguardo alla sussistenza di gravi indizi, il Tribunale ha motivato per relationem richiamando e facendo propri i rilievi in proposito svolti dall’ordinanza genetica, motivazione per relationem perfettamente consentita allorquando – come avvenuto nel caso di specie – svolga una funzione integrativa di un provvedimento già conosciuto o conoscibile dalla parte (cfr. Cass. Sez. 5^ n. 11191 del 12.2.2002, dep. 19.3.2002: nella specie, l’o.c.c., ben conosciuta dagli odierni ricorrenti che, appunto, l’hanno impugnata); si aggiunga che si è in presenza di una doppia pronuncia di merito conforme, sicchè le motivazioni delle due ordinanze vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 5606 del 10.1.2007, dep. 8.2.2007; Cass. Sez. 1^ n. 8868 del 26.6.2000, dep. 8.8.2000, e numerosissime altre).

La motivazione per relationem è preclusa soltanto quando venga utilizzata per sottrarsi all’obbligo di rispondere a specifiche contestazioni svolte in sede di impugnazione, il che non è avvenuto nel caso in oggetto; in altre parole, non può confondersi il carattere interamente devolutivo dell’istanza di riesame con un preteso obbligo del Tribunale di fornire ulteriori argomenti rispetto a quelli condivisi con il GIP circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.

Quanto alle esigenze cautelari, contrariamente a quanto si legge in ricorso risulta che in realtà l’impugnata ordinanza ha adeguatamente motivato attraverso il richiamo al pericolo di recidiva specifica derivante dalla reiterazione delle condotte delittuose, dalla stabilità e professionalità dell’attività criminosa svolta, dai precedenti penali specifici per entrambi e dall’assenza di lecite fonti di reddito.

A fronte di ciò nulla replicano gli odierni ricorrenti, sicchè è appena il caso di ricordare che è inammissibile – per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581, lett. c), – il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

Infine, la pretesa disparità di trattamento circa la più copiosa motivazione spesa dallo stesso Tribunale in relazione ad altro coindagato costituisce doglianza estranea al novero di quelle consentite ex art. 606 c.p.p..

3 – Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

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