Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 21-01-2011, n. 2215 Misure cautelari; Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 14.7.10 il Tribunale di Palermo, sezione riesame, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 17.6.10 dal GIP dello stesso Tribunale nei confronti di I. F. per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, in quanto facente parte, insieme con i fratelli F. ed altri, di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Ricorre personalmente l’ I. contro detta ordinanza, di cui chiede l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) gli indizi da cui era attinto il ricorrente erano relativi ad episodi di spaccio marginali, isolati, episodici ed occasionali, limitati ad un breve arco di tempo (essendo concentrati nel solo mese di febbraio 2009), tali da non integrare prova inequivocabile della sua presunta affectio societatis e di un suo stabile ed organico inserimento nel sodalizio criminale, come emergeva da un’attenta interpretazione delle intercettazioni telefoniche (di cui riportava alcuni stralci nel proprio ricorso): da una delle conversazione risultava – anzi – che l’ I. si era mostrato persino restio ad accedere alle richieste dei F. affinchè operasse come uno dei loro pusher; nè il ricorrente aveva mai utilizzato i mezzi dell’organizzazione (auto o telefonini cellulari);

b) erroneamente la gravata ordinanza aveva disatteso la richiesta dell’ I. di annullare la recidiva specifica ed infraquinquennale ravvisata a suo carico come indice del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), nonostante che tale recidiva si riferisse ad un precedente per il quale gli era stato concesso il perdono giudiziale dal Tribunale per i minorenni di Palermo.

1 – Il ricorso è inammissibile.

Il motivo che precede sub a) si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè in esso sostanzialmente si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dal provvedimento impugnato, che con motivazione esauriente, analitica, logica e non contraddittoria ha desunto l’inserimento organico dell’ I. nell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti facenti capo ai F. dal tenore delle conversazioni (avvenute mediante uso di un linguaggio prudente ed allusivo) oggetto di intercettazioni telefoniche, la cui interpretazione – come da costante giurisprudenza di questa Corte Suprema da cui non si ravvisa ragione di discostarsi – resta questione di mero fatto, sottratta al giudizio di legittimità se la valutazione compiuta dai giudici del merito risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr, ad es., Cass. Sez. 6^ n. 17619 dell’8.1.2008, dep. 30.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 15396 dell’11.12.2007, dep. 11.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 35680 del 10.6.2005, dep. 4.10.2005; Cass. Sez. 4^ n. 117 del 28.10.2005, dep. 5.1.2006; Casse. Sez. 5^. 3643 del 14.7.97, dep. 19.9.2007).

Da tali intercettazioni l’ordinanza impugnata ha tratto il convincimento che i rapporti tra i F. e l’ I. erano stabili e che il modus operandi concordato era sempre lo stesso:

F.A. riceveva su una data utenza telefonica le richieste dei "clienti" e, poi, servendosi di altra utenza (intestata alla propria fidanzata) contattava i propri collaboratori (fra cui l’odierno ricorrente) affinchè recapitassero le sostanze stupefacenti richieste.

Correttamente, poi, la stabilità dei rapporti criminosi de quibus è stata ricavata anche dal rilievo che, malgrado il linguaggio allusivo adoperato dal F., l’ I. intendeva subito il senso della comunicazione e si metteva a disposizione, a riprova del fatto che era partecipe di un meccanismo già predisposto e rodato fra gli accoliti del sodalizio criminale.

Nè gli stralci delle conversazioni intercettate riportati in ricorso integrano una denuncia di travisamento della prova potenzialmente rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, costituendo – invece – mera istanza di differente lettura degli atti, il che è ovviamente precluso innanzi a questa S.C..

Risulta, da ultimo, ininfluente, l’assunto secondo cui non sarebbe emerso l’uso, da parte del ricorrente, di mezzi dell’organizzazione come auto o telefonini cellulari, trattandosi di requisito non indispensabile ai fini della configurabilità del delitto in oggetto (ancor più in sede di emissione di una misura cautelare).

2 – Il motivo che precede sub b) è irrilevante in quanto, a prescindere dalla configurabilità o meno della recidiva, resta il rilievo che la pericolosità è presunta anche per il delitto di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Invero, il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modifiche in L. 23 aprile 2009, ha novellato l’art. 275 c.p.p., comma 3, estendendo la presunzione relativa di inadeguatezza delle misure cautelari diverse da quella della custodia carceraria anche al reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, estensione che, avendo ad oggetto una norma processuale, si applica pure ai procedimenti in corso grazie al principio tempus regit actum (come questa S.C. ha già avuto modo di statuire più volte: cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5^ n. 18093 del 24.3.10, dep. 12.5.10).

3 – In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Ex art. 616 c.p.p., consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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