T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 452 Finanza regionale; Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 6 febbraio 2006, depositato il successivo 22 febbraio, la società ricorrente chiede che questo Tribunale voglia procedere per "l’accertamento e per la conseguente condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Regione Lazio, in via solidale e/o ciascuna per quanto di ragione, al risarcimento dei danni subiti dalla società odierna ricorrente per effetto dei provvedimenti adottati e/o del comportamento tenuto dalle amministrazioni resistenti, nell’ambito., in occasione e a seguito del procedimento amministrativo relativo all’erogazione dei finanziamenti ai sensi del d.l. 4 novembre 1988 n. 465, conv. nella legge 30 dicembre 1988 n. 556", e pertanto che il Tribunale voglia condannare le predette amministrazioni al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 8.858.620,62, o alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta dal Tribunale, con interessi legali e rivalutazione monetaria.

La ricorrente, proprietaria dell’albergo omonimo sito in Roma, premette che "con il presente atto si propone in forma di ricorso autonomo altro atto, che è in corso di notificazione e che verrà depositato nel giudizio R.G. n. 127690/1994", e quindi espone:

– di avere presentato, in data 11 aprile 1989, domanda ai sensi del DM 31 dicembre 1988, volta al finanziamento di iniziative a carattere regionale per la realizzazione e ristrutturazione di impianti turisticoricettivi. Tale domanda riguarda un investimento ammontante, nel 1989, a quasi 8 miliardi di lire, da coprire, nella misura del 35% con il contributo in conto capitale e nella misura del 35% mediante il finanziamento agevolato previsto dalla normativa (d.l. n. 465/1988);

– che tale domanda non era purtroppo ricompresa tra quelle da finanziare, dal DM Turismo 14 dicembre 1989, e pertanto avverso lo stesso era costretta a proporre ricorso a questo Tribunale (n. 1533/1990 r.g.);

– appreso che nell’ambito del predetto procedimento si erano rese disponibili alcune somme a seguito di rinunzie, decadenze e revoche di finanziamenti – tra quelli già approvati con il citato D.M. 14 dicembre 1989 -, e che le stesse erano state riassegnate con D.M. 25 ottobre 1981, ancora una volta escludendola, la società A.S.C., era costretta a proporre nuovo ricorso contro il citato D.M. (n. 18433/1993 r.g.);

– che presentava ancora una volta domanda di finanziamento ai sensi del’art. 12bis d.l. n. 149/1993, disciplinante la riassegnazione di somme (frutto di taluni fondi recuperati dall’amministrazione) a coloro che, avendo già presentato un progetto ritenuto ammissibile, avessero (come la ricorrente) riproposto domanda nel rispetto di determinate forme e termini;

– che ancora una volta la società A.S.C. non era inclusa tra i beneficiari, di cui al D.P.C.M. 1 aprile 1994, e pertanto si è vista costretta ad impugnare anche questo ulteriore provvedimento (ric. n. 12790/1994 r.g.);

– che questo Tribunale, con sentenza n. 1694/1994, pronunciando sui precedenti ricorsi nn. 1533/1990 e 18433/1993, ha dichiarato irricevibile quest’ultimo (per tardività), e, in accoglimento del primo, ha annullato il D.M. 14 dicembre 1989;

– che il Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza 1 aprile 1996 n. 433, confermava integralmente la sentenza n. 1694/1994 di questo Tribunale;

– proposto ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 1694/1994, questo Tribunale, sez. IIIter, con sentenza 16 novembre 1998 n. 3196, ordinava "all’amministrazione di conformarsi al giudicato e, conseguentemente, procedere al riesame della domanda di finanziamento dell’A.S.C. nel termine di trenta giorni";

– infine, "il progetto dell’A.S.C. è stato esaminato e positivamente valutato e così, tra il 2000 e il 2001, tale società ha ricevuto… a titolo di contributo in conto capitale la somma di Lire 1.923.000.000, oltre al contributo per interessi nella misura complessiva di Lire 1.008.,990.920.

Alla luce della vicenda ora descritta, la ricorrente afferma che "la società A.S.C. aveva diritto sin dal 26 febbraio 1990 (e cioè sin dal momento della pubblicazione del D.M. 14 dicembre 1989, recante l’approvazione dei progetti destinatari di contributo) a percepire il finanziamento richiesto e integralmente ottenuto soltanto nel 2001. Il che, tuttavia, le è stato impedito dalla condotta illegittima e, prima ancora, illecita tenuta nella vicenda dalla P.A.".

Pertanto, ritenendo che "il contributo solo di recente percepito… non è certamente idoneo a ristorarla degli ingenti danni patrimoniali e dai pregiudizi economici subiti per non aver ricevuto e potuto disporre ab origine, ossia dal 1990, quanto le sarebbe spettato", la società ricorrente chiede la condanna delle amministrazioni evocate al risarcimento dei danni, quantificati nella somma sopra indicata di Euro 8.858.620,62, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, specificandosi alle pagg. 1621 le singole voci di danno e l’ammontare da riconoscere quale riparazione per equivalente, e precisamente:

– Euro 1.122.339,34, a titolo di interessi compensativi e di interessi legali sugli stessi;

– Euro 2.490.705,28, a titolo di danno emergente e di interessi legali su tali somme;

– Euro 5.245.576,00, a titolo di lucro cessante.

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza ddl Consiglio dei Ministri ed il Ministero dello sviluppo economico, che hanno preliminarmente eccepito "la prescrizione del diritto della società a chiedere il risarcimento del danno "sin dal momento della pubblicazione del D.M. 14 dicembre 1989", in quanto il presente giudizio risulta proposto oltre il termine quinquennale decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza n. 433/1996 del Consiglio di Stato.

In ogni caso, secondo le amministrazioni resistenti, la domanda "sarebbe comunque prescritta rispetto alla data in cui, con il riconoscimento del contributo, ha avuto termine l’esercizio, che si asserisce illegittimo, del potere amministrativo (il saldo finale risulta, infatti, avvenuto, come emerge dal ricorso, il 6 febbraio 2001)".

Infine, le amministrazioni hanno concluso richiedendo il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza nel merito.

Con memoria conclusiva, depositata il 1 ottobre 2010, la società ricorrente ha, preliminarmente, a sua volta eccepito l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione, stante la sua tardività, conseguente alla tardiva costituzione delle amministrazioni, ed ha comunque concluso per l’infondatezza della medesima, dovendosi il termine di prescrizione quinquennale far decorrere dal 6 febbraio 2001 ("allorchè l’amministrazione ha corrisposto il saldo del finanziamento dovuto"), ed essendo stato il ricorso notificato nei termini, in data 6 febbraio 2006.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

2. Il ricorso deve essere rigettato, stante la fondatezza della eccezione di prescrizione proposta dalle amministrazioni resistenti.

Occorre preliminarmente osservare che l’eccezione di prescrizione formulata dalle amministrazioni resistenti – da intendersi riferita alla domanda introdotta con il presente ricorso nel suo complesso – è ammissibile; e ciò in quanto:

– per un verso, nessuna norma processuale ricollega al superamento del termine (ordinatorio) previsto per la costituzione in giudizio dell’amministrazione la preclusione alla proponibilità dell’eccezione di prescrizione;

– per altro verso, l’eccezione di prescrizione, pur contenuta in una memoria tardivamente depositata (cioè oltre il termine di giorni liberi prescritto rispetto al giorno dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso), non può comunque essere considerata tardiva (unitamente alla memoria che la contiene) laddove la trattazione della causa sia stata poi rinviata ad altra udienza.

3. In tema di decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e quindi della relativa domanda giudiziaria, la giurisprudenza (amministrativa ed ordinaria), prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, affermata la natura extracontrattuale dell’illecito (fin da Cass., sez. lav., 4 novembre 2000 n. 14432 e 21 settembre 2001 n. 11955) e conseguentemente il termine quinquennale della relativa prescrizione, ha avuto modo di definire il dies a quo di decorrenza del detto termine prescrizionale, affermando:

– secondo un orientamento (che può essere definito maggioritario), il dies a quo deve essere individuato nella data di passaggio in giudicato della decisione di annullamento del provvedimento impugnato e ritenuto lesivo e che dunque accerta l’antigiuridicità dell’atto (Cons. Stato, Ad. Plen., 9 febbraio 2006 n. 2; sez. IV, 2 febbraio 2010 n. 785; sez.V, 31 ottobre 2008 n. 5453 sez. VI, 16 settembre 2004 n. 5995; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 16 maggio 2009 n. 1062; TAR Sardegna, sez. I, 28 luglio 2008 n. 1516; TAR Pescara, 2 aprile 2009 n. 222);

– secondo un orientamento del giudice ordinario, maturato allorchè tale giudice sosteneva la proponibilità autonoma della domanda di risarcimento innanzi a sé, il dies a quo deve essere individuato nel momento del prodursi del fatto lesivo, costituendo tuttavia la proposizione del ricorso per l’annullamento del provvedimento ritenuto illegittimo, atto interruttivo del decorso della prescrizione (da ultimo, Cass., Sez. Un., 8 aprile 2008 n. 2440; orientamento cui ha aderito anche Cons. St., sez. VI, 17 ottobre 2008 n. 5042);

– secondo un ulteriore orientamento, il dies a quo deve essere individuato comunque in quello del verificarsi dell’evento di danno (Cons. St., sez. V, 9 giugno 2009 n. 3531);

– infine, secondo altro orientamento, affermata la necessità del previo accertamento dell’antigiuridicità dell’atto, il termine di prescrizione deve essere fatto decorrere dalla sentenza di I grado, ancorchè appellata, stante la provvisoria esecutività di quest’ultima (TAR Basilicata, 5 luglio 2008 n. 366).

In particolare, la già citata decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2006, afferma:

"Le regole da applicare sono le seguenti: a) la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: art. 2935 c.c.; b) se l’interruzione è avvenuta mediante un atto che dà inizio ad un giudizio o con una domanda proposta nel corso di un giudizio, il nuovo periodo di prescrizione non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio:art. 2945, secondo comma, c.c.. Ne segue che condizione necessaria per la domanda di risarcimento è la pronuncia che riconosce l’illegittimità di provvedimenti dalla cui esecuzione sorgono i danni lamentati e che, in caso di atti autoritativi, è pronuncia che spetta al giudice amministrativo (cfr. Ad. pl. n. 4 del 2003, nella parte in cui si aderisce all’indirizzo secondo il quale è pregiudiziale, rispetto alla richiesta di risarcimento, la decisione di annullamento, sì che l’azione di risarcimento ben può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento, sia in via autonoma, ma che è ammissibile "solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento"). Ed è perciò dal passaggio in giudicato della decisione del giudice amministrativo che può avere inizio il decorso del periodo di prescrizione. Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza dell’a.g.o., la quale, per i casi di domande risarcitorie proposte anteriormente all’entrata in vigore delle norme attributive della giurisdizione sul risarcimento al giudice amministrativo, ha stabilito che, "rispetto al diritto al risarcimento del danno derivato dall’esecuzione di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione," la domanda di annullamento di tali atti determina l’interruzione della prescrizione, fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce quel giudizio: cfr. Cass. 14 luglio 2004, n. 13065; n. 9987 del 2004; n. 17940 del 2003; n. 16032 del 2002 e n. 3726 del 2000, nelle quali si accoglie la premessa che, ai fini risarcitori, si esige il previo accertamento della illegittimità dei provvedimenti da parte del giudice competente. Il riferimento fatto dal T.A.R. al solo carattere esecutivo della sentenza di primo grado – sancito nell’art. 33, co. 1, l. 1034 del 1971 – non può, di conseguenza, essere condiviso per ancorare a quel momento il decorso del quinquennio di prescrizione.".

4. E’ del tutto evidente che la tesi che lega la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dell’azione risarcitoria al passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto, è consequenziale alla ritenuta inammissibilità dell’azione risarcitoria "autonoma" (indipendentemente dall’attribuzione di giurisdizione) e quindi alla ritenuta sussistenza della cd. pregiudiziale amministrativa (tesi, come è noto, superata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione: Sezioni Unite, 13 giugno 2006 nn. 13659 e 13660; 16 novembre 2007 n. 23741; 23 dicembre 2008 n. 30254 e da ultimo 2 luglio 2010 n. 15689).

Solo partendo da tali presupposti, infatti, può risultare applicabile alla fattispecie l’art. 2935 c.c. (secondo il quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"), poiché è in tale quadro sistematico che è possibile sostenere che – in difetto di accertamento dell’antigiuridicità dell’atto (che può avvenire solo con l’impugnazione dell’atto stesso entro il termine decadenziale) – l’azione di risarcimento è inammissibile ed è quindi impedito l’esercizio del diritto.

Allo stesso modo, è solo supponendo una stretta inerenza (se non dipendenza) dell’azione risarcitoria dall’azione di annullamento (della tutela risarcitoria dalla tutela ripristinatoria), che possono ritenersi applicabili gli artt. 2943 e 2945 c.c., nel senso che la instaurazione del giudizio di annullamento interrompe la prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Ed anzi, è ravvisabile qualche incoerenza in quella risalente giurisprudenza che ha sostenuto l’interruzione della prescrizione come effetto della instaurazione del giudizio amministrativo di annullamento, pur sostenendo, allo stesso tempo, l’ammissibilità dell’azione autonoma di risarcimento.

Tanto precisato, occorre osservare che la giurisprudenza che individua nella data di passaggio in giudicato della sentenza di annullamento il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale, fonda tale individuazione richiamando a volte l’art. 2935 (e quindi l’impossibilità anteriore di esercizio del diritto), a volte gli artt. 2943/2945 (e cioè il diverso istituto dell’interruzione della prescrizione).

Ma, a ben guardare, proprio la differenza delle norme richiamate determina una ulteriore difformità della giurisprudenza, e cioè se il dies debba essere identificato nel passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla sentenza di I grado, in quanto provvisoriamente esecutiva.

Infatti, se la disposizione evocata è l’art. 2935 c.c., allora diviene difficile sostenere l’impossibilità di esercizio del diritto in presenza di una sentenza di annullamento provvisoriamente esecutiva; mentre, se l’istituto evocato è quello dell’interruzione della prescrizione, allora risulta certamente sostenibile l’individuazione, quale dies a quo, della data di passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, e ciò poiché espressamente dispone in tal senso l’art. 2945,comma 2, c.c..

5. Tali ricostruzioni della giurisprudenza risultano ora superate dal Codice del processo amministrativo, che, recependo le indicazioni giurisprudenziali in ordine alla proponibilità della domanda di risarcimento del danno da atto illegittimo in via autonoma, ha stabilito due possibilità:

a) la domanda "autonoma", da proporsi "entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo" (art. 30, co. 3);

b) la domanda di risarcimento in presenza anche della domanda di annullamento che, se successiva e non congiunta a quest’ultima, "può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza" (art. 30, co. 5).

6. Nella presente controversia, il Tribunale non ritiene di dovere stabilire se il dies a quo deve decorrere dalla data dell’evento produttore di danno ingiusto (data di pubblicazione del D.M. 14 dicembre 1989), stante la esperibilità dell’azione autonoma di risarcimento del danno, ovvero dalla data del passaggio in giudicato della sentenza n. 433/1996 del Consiglio di Stato.

In ambedue le ipotesi, infatti, risulta ampiamente decorso il termine di prescrizione quinquennale del titolo al risarcimento alla data di notificazione del presente ricorso (6 febbraio 2006).

Né a diversa conclusione può giungersi sulla base delle argomentazioni svolte dalla società ricorrente nella memoria depositata il 1 ottobre 2010, secondo la quale non può farsi riferimento, quale dies a quo, al passaggio in giudicato della decisione n. 433/1996 del Consiglio di Stato:

– sia "per quanto statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte… in ordine alla non necessarietà, ai fini della proponibilità della domanda riaarcitoria, della cd. pregiudiziale amministrativa";

– sia per "la peculiarità del caso di specie, in cui alla società ricorrente è stato possibile far valere le proprie ragioni risarcitorie solo a seguito del congiunto operare della attività giurisdizionale e dell’attività amministrativa. Nel senso che, solo all’esito del riesercizio – in sede di ottemperanza – del potere amministrativo, conformativo al dictum del giudice amministrativo, è risultato spettante e riconosciuto all’A.S.C. il bene della vita (ossia il contributo per cui è causa) che la stessa avrebbe avuto diritto di conseguire sin dal 26 febbraio 1990 (data di pubblicazione del D.M. 14 dicembre 1989, annullato)".

Secondo la ricorrente, pertanto, "il termine da cui decorre la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, subiti dalla ricorrente per aver conseguito con molti anni di ritardo quanto invece avrebbe avuto diritto di ottenere sin dal 1990, è quello… del 6 febbraio 2001, allorchè l’amministrazione ha corrisposto il saldo del finanziamento dovuto. D’altro canto, prima di tale data sarebbe stato impossibile per l’A.S.C. avanzare domande risarcitorie, non potendosi stabilire se alla stessa spettasse o meno il bene della vita richiesto".

Le argomentazioni della ricorrente non possono essere condivise.

Quanto al richiamo alla giurisprudenza della Cassazione che esclude la necessità della cd. pregiudiziale amministrativa, occorre osservare immediatamente che, sulla base di detta giurisprudenza e come già esposto in linea generale con la ricostruzione innanzi effettuata, il dies a quo andrebbe necessariamente individuato alla data del prodursi del fatto lesivo, e quindi al 26 febbraio 1990, (senza che ciò giovi, evidentemente, alla società istante).

Tanto premesso, occorre rilevare come la ricorrente:

– per un verso, afferma l’esistenza di un "diritto" (leso) ad ottenere il contributo in data 26 febbraio 1990;

– per altro verso afferma che l’esistenza di tale diritto è configurabile solo il 6 febbraio 2001, non potendosi, prima di tale data, "stabilire se alla stessa spettasse o meno il bene della vita richiesto", poiché solo in tale data "è risultato spettante e riconosciuto all’A.S.C. il bene della vita".

Orbene, se l’interesse al bene della vita è stato leso dalla attività illegittima dell’amministrazione, e quindi dall’atto amministrativo illegittimo da questa adottato (cioè, nel caso di specie, dal D.M. 14 dicembre 1989), allora il dies a quo non può che individuarsi – a seconda delle due prospettate interpretazioni giurisprudenziali – in una delle due date (cioè quella dell’evento lesivo ovvero quella del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento). Ed in ambedue i casi, come si è detto, il termine risulta ampiamente decorso.

Se, invece, l’attribuzione del bene della vita discende dall’adozione del nuovo provvedimento dell’amministrazione, a seguito di un nuovo, autonomo esercizio del potere discrezionale, reso possibile dall’annullamento del primo provvedimento adottato (ritenuto illegittimo), allora è da escludere che, al di là della tutela ripristinatoria offerta con l’annullamento (e con il successivo giudizio di ottemperanza) residuino margini per una (ulteriore) tutela risarcitoria.

In altre parole, non è l’adozione del nuovo provvedimento (a seguito dell’annullamento del primo) che rende "certa" la spettanza del bene della vita già alla data del precedente, annullato provvedimento; infatti:

– o tale bene era già nella legittima posizione pretensiva del soggetto fin dall’origine, ed allora è alla data di adozione del provvedimento (pur discrezionale) che illegittimamente la nega che si verifica l’evento di danno ingiusto;

– o tale bene perviene al ricorrente per effetto dell’autonomo riesercizio del potere discrezionale da parte dell’amministrazione, ma allora non è configurabile – con riferimento al primo provvedimento – un danno ingiusto fonte di obbligazione risarcitoria.

Non è invece possibile:

– da un lato, ai fini della individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, considerare la data di riesercizio del potere amministrativo;

– da altro lato, e contemporaneamente, ai fini della individuazione del fatto causativo di danno, fare riferimento alla data di adozione del primo (illegittimo) provvedimento, rendendo del tutto irrilevante il momento giurisdizionale di accertamento dell’illegittimità dell’atto e quello (costitutivo) di annullamento del medesimo.

D’altra parte, nel caso in esame, anche a volere fare riferimento, ai fini della verifica della prescrizione – come la ricorrente sostiene (e questo Tribunale ha già escluso) – a quel momento particolare rappresentato dall’ "esito del riesercizio – in sede di ottemperanza – del potere amministrativo", occorre che la data di riferimento venga coerentemente individuata, al più tardi, nel 12 aprile 1999 (data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto 19 febbraio 1999, di concessione del finanziamento: v. rel. Ministero delle attività produttive 31 marzo 2006, pag. 2, in atti) e non certo in quella del 6 febbraio 2001, che rappresenta solo la data in cui "l’amministrazione ha corrisposto il saldo di quanto dovuto".

Ed anche a voler far decorrere dal 12 aprile 1999 il termine quinquennale di prescrizione, quest’ultimo risulta già spirato alla data di notificazione del presente ricorso.

7. Giova infine osservare che non si perviene a diversa conclusione esaminando le singole voci riportate nel ricorso introduttivo. Infatti:

a) con riferimento alle singole voci di danno (punto 6.2), le date in riferimento alle quali esse sono quantificate – anche a volere seguire le singole indicazioni della ricorrente – confermano come il termine di prescrizione quinquennale sia già spirato all’atto di notificazione del presente ricorso;

b) con riferimento (punto 6.1) agli interessi compensativi, e agli ulteriori interessi sui primi, occorre anche rilevare come la sussistente prescrizione deve essere considerata ai sensi dell’art. 2948, n. 4 c.c.. Ed inoltre deve rilevarsi come gli ulteriori interessi legali sulla somma rappresentata da interessi, sono calcolati "con decorrenza dai singoli versamenti", e "fino al 21 novembre 2005 (data di predisposizione del presente ricorso)" (v. pag. 17 ric.), laddove l’art. 1283 c.c. prevede che "gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale".

In conclusione, stante l’intervenuta prescrizione, il ricorso deve essere ritenuto infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da A.S.C. s.r.l. (n. 1627/2006 r.g.), lo rigetta.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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