T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 450 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini in provincia di Caserta e zone limitrofe, delegato ex art. 1 O.P.C.M. n. 3791/2009 e successive, con provvedimento del 25 febbraio 2010, ha comunicato alla Società A.G. S.r.l. che non è possibile procedere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, co. 6, d.lgs. 490/1994, all’erogazione degli indennizzi previsti dall’art. 3, co. 1, OPCM n. 3634/2007 in quanto la Prefettura di Caserta, in data 16 febbraio 2010, ha trasmesso l’informativa antimafia del 9 febbraio 2010 da cui si evince che a carico della Società sussistono le cause interdittive di cui all’art. 4 del d.lgs. 490/1994, pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 l. 575/1965.

Di talché, la Società A.G. ed il suo legale rappresentante pro tempore in proprio hanno proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, con riserva di formulare specifiche censure all’esito del deposito degli atti dell’istruttoria svolta dalla Prefettura di Caserta.

A seguito del deposito degli atti istruttori dell’informativa prefettizia, i ricorrenti, estendendo l’impugnativa anche a tali atti, hanno proposto i seguenti motivi aggiunti:

Violazione art. 10 d.P.R. 252/1998 e art. 4 d.lgs. 490/1994. Violazione art. 3 l. 241/1990. Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria.

Nell’informativa prefettizia del 9 febbraio 2010, mancherebbe qualsiasi motivazione sulle ragioni che hanno indotto all’adozione del provvedimento interdittivo, né varrebbero a sanare tale carenza i molteplici rinvii alle note delle diverse forze dell’ordine.

Una valutazione successiva ed autonoma degli elementi raccolti dalle forze dell’ordine non sarebbe stata in alcun modo compiuta dal Prefetto che, peraltro, avrebbe fatto riferimento all’impossibilità di escludere pressioni della criminalità organizzata sull’impresa e non ad un oggettivo e concreto pericolo di infiltrazione mafiosa.

Violazione art. 10 d.P.R. 252/1998 e art. 4 d.lgs. 490/1994. Violazione art. 3 l. 241/1990. Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Eccesso di potere. Violazione circolare Ministero dell’Interno 18.12.1998 n. 559/LEG/240.517.8. Falso presupposto e travisamento dei fatti. Illogicità manifesta.

L’istruttoria svolta sarebbe stata inadeguata e gli elementi raccolti sarebbero inidonei a giustificare una valutazione di concreto pericolo di infiltrazione mafiosa, per cui il provvedimento di interdizione sarebbe illogico.

Le informazioni relative ad una pendenza penale a carico di R.G., nato a Caserta il 10.8.1975, per aver favorito il latitante Michele Barone, non sarebbero significative ai fini dell’attività di prevenzione antimafia in quanto: il citato R.G. già alla data dell’informativa dei Carabinieri non era più convivente con il padre Angelo; il procedimento penale per favoreggiamento ha ad oggetto un fatto verificatosi il 6 marzo 1999; detto procedimento è l’unico a carico di R.G., il quale non ha subito alcuna condanna penale; l’interessato è stato socio, con una quota del 10%, della B.B. S.r.l. e non è mai stato socio della ricorrente né delle altre Società riconducibili alla famiglia G. né avrebbe mai svolto alcun ruolo di amministrazione, di rappresentanza o di direzione delle stesse Società; la B.B. S.r.l. non ha partecipazione nella C.D.R. S.r.l., ma, al contrario, quest’ultima controlla, con una quota di oltre il 50%, la B.B..

Dall’episodio del 1999 non potrebbe ragionevolmente inferirsi la sussistenza anche solo di un rischio di tentativo di infiltrazione mafiosa in quanto il R.G. del 1975 non sarebbe ricollegabile ad alcuna organizzazione criminale e non sarebbe stato né sarebbe in grado di determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa.

Gli altri elementi evincibili dalle informative di Polizia sarebbero del tutto irrilevanti ai fini della configurabilità di un rischio di infilitrazione mafiosa.

La Prefettura, ad ogni buon conto, non avrebbe potuto fondare la propria determinazione su un mero rapporto di parentela.

La valutazione, peraltro, avrebbe dovuto estendersi anche ai molteplici e pubblici elementi favorevoli di radicale chiusura del gruppo G. ad ogni possibile ingerenza della criminalità organizzata.

In merito alle informative interdittive adottate nei confronti delle altre Società appartenenti alla famiglia G..

Le informative sulle Società B.B. e C.D.R. fondano verosimilmente sullo stesso elemento illegittimamente posto a base della informativa in danno della A.G., sicchè sarebbero viziate per le censure già formulate.

Violazione art. 10 d.P.R. 252/1998 e art. 4 d.lgs. 490/1994. Eccesso di potere. Sviamento. Violazione art. 3 l. 241/1990. Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria.

L’estensione dell’interdizione alle persone fisiche dott. R.G. del 1964, Angelo G. del 1945, Giuseppe G. del 1972, R.G. del 1976 e R.G. del 1970 sarebbe illegittima in quanto il provvedimento potrebbe essere diretto esclusivamente nei confronti della Società, ma non dei relativi amministratori.

A seguito del deposito di successiva documentazione, i ricorrenti hanno proposto i seguenti ulteriori motivi aggiunti:

Violazione art. 10 d.P.R. 252/1998 e art. 4 d.lgs. 490/1994. Violazione art. 3 l. 241/1990. Difetto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà. Eccesso di potere. Falso presupposto e travisamento dei fatti. Illogicità manifesta.

Con informativa del 30 ottobre 2007, la Prefettura di Caserta ha accertato che nei confronti della Società ricorrente e dei relativi amministratori non sussistono le cause interdittive di cui all’art. 4 d.lgs. 490/1994 ed all’art. 10 l. 575/1965, sicché sarebbero ancora più evidenti i vizi di istruttoria, di motivazione e di illogicità dell’informativa prefettizia del 9 febbraio 2010.

In presenza di una precedente informativa liberatoria, infatti, una successiva opposta determinazione dovrebbe accompagnarsi ad una adeguata motivazione, che dia conto di quali nuovi e diversi elementi siano stati acquisiti ovvero delle ragioni per cui gli elementi preesistenti dovrebbero essere diversamente valutati, mentre tali valutazioni nel caso di specie non sarebbero state compiute.

Il Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi, con provvedimento del 14 settembre 2010, ha respinto un’ulteriore richiesta di indennizzo ex art. 3, co. 1, dell’OPCM n. 3634/2007, in applicazione dell’informativa antimafia del 9 febbraio 2010.

Con un altro atto di motivi aggiunti, quindi, i ricorrenti hanno esteso l’impugnativa a tale diniego evidenziandone l’illegittimità in via derivata alla stregua dei motivi già dedotti avverso l’informativa antimafia.

L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.

I ricorrenti hanno prodotto ulteriori memorie a sostegno ed illustrazione delle proprie ragioni.

All’udienza pubblica del 1° dicembre 2010, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, sebbene sia pregevolmente articolato e focalizzato su questioni meritevoli di particolare considerazione, è infondato e va di conseguenza respinto.

Il Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini in provincia di Caserta e zone limitrofe, con provvedimento del 25 febbraio 2010, ha comunicato alla Società ricorrente che non è possibile procedere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, co. 6, d.lgs. 490/1994, all’erogazione degli indennizzi previsti dall’art. 3, co. 1, OPCM n. 3634/2007 in quanto la Prefettura di Caserta, in data 16 febbraio 2010, ha trasmesso l’informativa antimafia del 9 febbraio 2010 da cui si evince che a carico della Società sussistono le cause interdittive di cui all’art. 4 del d.lgs. 490/1994, pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 l. 575/1965.

L’art. 4 d.lgs. 490/1994 stabilisce al quarto comma che il Prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti le informazioni concernenti le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate ed al comma sei che, quando, a seguito delle verifiche disposte a norma del quarto comma, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal Prefetto non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.

Tale previsione è ribadita nell’art. 10, co. 2, del DPR 252/1998 – regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia – che, al successivo comma 7, sancisce come le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis e 648 ter del codice penale, o dall’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2 bis, 2 ter, 3 bis e 3 quater della L. 575/1965; c) dagli accertamenti disposti dal Prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno, ovvero richiesti ai Prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia.

Di talché, quando la causa interdittiva consiste nella presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa desunti da provvedimenti o proposte di provvedimenti ai sensi dell’art. 10, co. 7, lett. a) e b), ovvero da accertamenti prefettizi ex art. 10, co. 7, lett. c) del DPR 252/1998, l’attività amministrativa è vincolata nell’adozione dell’atto, ma è discrezionale nella valutazione dei presupposti.

La discrezionalità nella valutazione dei presupposti a base dell’atto, peraltro, è di latitudine maggiore nell’ipotesi di accertamenti prefettizi in quanto le "infiltrazioni" possono essere dedotte anche da parametri non predeterminati normativamente; in tal caso, infatti, rientra nel potere discrezionale del Prefetto ogni valutazione dei fatti e delle circostanze emergenti dall’attività investigativa demandata agli organi di polizia (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 9 luglio 2008, n. 6487).

L’intento del legislatore nella materia de qua è quello di accostare alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell’esclusione dell’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività (ex multis: Cons. St., VI, 24 ottobre 2000, n. 5710).

In particolare, il collegamento con la disciplina delle misure di prevenzione – che, come detto, partecipano della medesima ratio di quelle in esame, intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici – testimonia del fatto che le preclusioni dettate dalle richiamate norme di legge costituiscono una difesa molto avanzata dell’autorità pubblica contro il fenomeno mafioso in quanto gli istituti de quibus si basano su un accertamento di grado inferiore e ben diverso da quello richiesto per l’accertamento della responsabilità penale e l’applicazione delle conseguenti sanzioni.

In altri termini, le informative prefettizie in materia di lotta antimafia possono essere fondate su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e mirano alla prevenzione di infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale, anche a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di reati e dalle rilevanze probatorie tipiche del diritto penale (Cons. St., 25 novembre 2008, n. 5780; Cons. St., VI, 29 febbraio 2008, n. 756).

L’art. 4 d.lgs. 490/1994, pertanto, deve intendersi come costituente una misura di tipo preventivo volta a contrastare l’azione del crimine organizzato in quanto dà rilievo ai fini ostativi della contrattazione degli appalti di opere pubbliche e delle pubbliche erogazioni anche ad elementi che costituiscono solo indizi, che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali, del rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata delle imprese interessate alle erogazioni pubbliche.

2. Con il primo motivo d’impugnativa, i ricorrenti hanno sostenuto, da un lato, che nell’informativa prefettizia del 9 febbraio 2010 mancherebbe qualsiasi motivazione sulle ragioni che hanno indotto all’adozione del provvedimento interdittivo e che non sarebbe stata compiuta alcuna valutazione successiva ed autonoma degli elementi raccolti dalle forze dell’ordine, dall’altro, che il Prefetto avrebbe fatto riferimento all’impossibilità di escludere pressioni della criminalità organizzata sull’impresa e non ad un oggettivo e concreto pericolo di infiltrazione mafiosa.

Le censure non possono essere condivise.

Le informazioni prefettizie ex art. 4 d.lgs. 490/1994 ed art. 10, co. 7, d.P.R. 252/1998 possono essere motivate anche per relationem, con riferimento ai fatti esposti nelle note delle forze dell’ordine richiamate nel provvedimento (ex multis: Cons. St., VI, 25 gennaio 2010; Cons. St., VI, 23 giugno 2008, n. 3155).

Il provvedimento interdittivo, inoltre, dà specificamente conto che, allo stato degli accertamenti, sussistono le cause interdittive di cui all’art. 4 d.lgs. 490/1994 pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 l. 575/1965, per cui ha evidentemente fatto riferimento alla sussistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.

Pertanto, non può assumere alcun rilievo, ai fini della legittimità della valutazione, l’espressione utilizzata dalla Prefettura – secondo cui le informazioni delle forze di polizia "hanno ritenuto di non poter escludere pressioni della criminalità organizzata sulle attività della Ditta in questione", che peraltro va anch’essa interpretata nel senso della sussistenza di un possibile rischio di infiltrazioni mafiose – nella nota del 13 aprile 2010 indirizzata all’Avvocatura Generale dello Stato e depositata in giudizio il 24 aprile 2010.

3. L’informativa prefettizia del 9 febbraio 2010 è stata adottata sulla base dei seguenti atti istruttori:

nota prefettizia del 10.11.2008;

nota della Questura di Caserta del 5.12.2008;

nota del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta del 26.11.2008;

nota del 12.6.2009 del Comando Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Caserta;

nota del 6.5.2009 del G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Napoli;

nota del 2.2.2010 della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli;

relazione redatta il 5.2.2010 dai rappresentanti delle forze dell’ordine incaricate di procedere alle verifiche ai sensi degli artt. 1 e 1 bis d.l. 629/1982 nei confronti della ricorrente;

segnalazione del CED del Dipartimento della P.S. del Ministero dell’Interno del 9.2.2010.

In particolare, il Comando Provinciale di Caserta – Regione Carabinieri Campania, con nota del 26 novembre 2008, nel confermare le informazioni fornite in data 27 luglio 2006, ha soggiunto che a carico di R.G., nato a Caserta il 10.8.1975, figlio convivente di Angelo, presso la Procura di S. Maria Capua Vetere risulta una pendenza penale per favoreggiamento personale per avere favorito il latitante Michele Barone, elemento di spicco del clan camorristico dei "Casalesi", la cui udienza è stata fissata per il giorno 13 gennaio 2009; ha altresì fatto presente che il citato R.G. ricopre la carica di socio nell’ambito della Società B.B. S.r.l. e che quest’ultima ha partecipazione nella Società C.D.R. S.r.l., entrambe colpite da decreto interdittivo antimafia. Sulla base di tali elementi, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta ha ritenuto sussistente il pericolo di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Società A.G..

La Divisione Polizia Anticrime della Questura di Caserta, con nota del 5 dicembre 2008, ha comunicato che, oltre quanto segnalato dal Comando Provinciale Carabinieri di Caserta con nota del 26 novembre 2008, il consigliere Giuseppe G. risulta controllato il 31 ottobre 2008 con Giovanni Zagaria, nato a Napoli il 3 aprile 1978, denunciato il 7 febbraio 2008 dalla Tenenza di Piedimonte Matese per abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti, associazione per delinquere, falsità ideologica commessa dal p. uff. in atti pubblici, truffa.

Dalla nota del 12 giugno 2009 del Nucleo di Polizia Tributaria di Caserta della Guardia di Finanza emerge che il consigliere Angelo G., nato a San Cipriano d’Aversa (Ce) il 31 marzo 1946, ha pregiudizi di polizia per ricettazione e che Giovanni G., nato ad Aversa (Ce) il 1° giugno 1983 (quota nominale di Euro 287.500,00) ha pregiudizi di polizia per favoreggiamento per permanenza di clandestino e violazione alle norme sull’immigrazione.

Il verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia, riunitosi il 5 febbraio 2010, al fine di effettuare accertamenti e verifiche approfondite sul conto della Società ricorrente, ha proposto l’emissione di un provvedimento interdittivo antimafia "anche in considerazione della pendenza di un procedimento penale per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan camorristico dei casalesi", evidenziando peraltro che "anche altre società appartenenti alla famiglia G. sono state raggiunte da provvedimenti interdittivi antimafia".

Il Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, nella nota del 27 luglio 2006, confermata con la nota del 26 novembre 2008, aveva fatto presente a carico di R.G., nato a Caserta il 10 agosto 1975, figlio convivente del consigliere Angelo, risultanze relative ad un’indagine nell’ambito di un procedimento penale perché ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed altro, a svariati controlli della Polizia di Stato in compagnia di altro coimputato nell’ambito dello stesso procedimento penale, alla conclusione delle indagini preliminari nell’ambito di un procedimento penale perché ritenuto responsabile di favoreggiamento personale nei confronti di Michele Barone, affiliato al clan camorristico dei "casalesi", nonché ad un controllo della Polizia di Stato in compagnia, verosimilmente, dello stesso Michele Barone.

Così ricostruiti gli elementi fattuali della fattispecie, il Collegio ritiene opportuno ribadire in via preliminare gli indirizzi in materia di informative prefettizie, di cui agli articoli 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 e 10, comma 7, del d.P.R. n. 252 del 1998, definiti dalla giurisprudenza allo scopo di assicurare il delicato equilibrio tra l’osservanza dei principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza e della libertà dell’iniziativa economica privata e la conduzione della più efficace azione di contrasto della criminalità organizzata.

In particolare, la giurisprudenza ha fatto presente che:

le informative devono fondarsi su elementi di fatto che, in quanto aventi carattere sintomatico ed indiziante, denotino in senso oggettivo il pericolo di collegamenti tra la società o l’impresa e la criminalità organizzata, da valutarsi sulla base di un esame complessivo degli elementi raccolti non essendo sufficiente la verifica di uno solo di essi (Cons. St., V, 27 maggio 2008, n. 2512; Cons. St., IV, 15 novembre 2004, n. 7362);

è richiesto un attendibile "giudizio di possibilità" "secondo la nozione di pericolo" (Cons. St., VI, 25 dicembre 2008, n. 5780), per il quale non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato (Cons. St., V, 23 giugno 2008, n. 3090; Cons. St., VI, 12 novembre 2008, n. 5665), con un accertamento, quindi, di grado inferiore e diverso da quello richiesto per l’individuazione di responsabilità penali (Cons. St., VI, 1 febbraio 2007, n. 413);

il sindacato giurisdizionale è esercitabile solo nei casi di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, nel cui ambito è da riscontrare se la valutazione del Prefetto sia sorretta da uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali (Cons. St., IV, 29 luglio 2008, n. 3273).

La speciale natura "a tutela avanzata" della normativa vigente, emanata per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata, comporta, come detto, che non occorre né la prova dei fatti di reato, né dell’effettiva infiltrazione nell’impresa, né dell’effettivo condizionamento, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione diretto a condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si sia realizzato in concreto, vale a dire che la fattispecie prevista dalla norma deve ritenersi integrata sulla base del solo rischio o della sola possibilità che l’infiltrazione effettivamente si verifichi.

In tale quadro, la valutazione prefettizia, connotata da ampia potestà discrezionale, per la sua stessa natura preventiva non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose e di un condizionamento dell’impresa da parte di queste.

Per giustificare l’adozione di una misura interdittiva antimafia, pertanto, non solo non è necessario pervenire al medesimo grado di certezza dei presupposti della decisione assunta in sede giurisdizionale, ma nemmeno occorre la misura minore di certezza posta a base di una misura di prevenzione essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del pericolo di pregiudizio derivante dalla presenza di fatti sintomatici ed indizianti della sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata (Cons. St. VI, 1° febbraio 2007 n. 413; Cons. St., IV, 15 novembre 2004 n. 7362).

Ne consegue che le informazioni del Prefetto circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa, ai sensi delle riportate disposizioni di cui agli artt. 4 del d.lgs. 490/1994 e 10 del d.P.R. 252/1998, non devono provare l’intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il possibile tentativo di ingerenza.

In altri termini, l’adozione di un’interdittiva antimafia, se deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che denotino il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non presuppone per quei fatti l’accertamento della responsabilità penale, essendo sufficiente che i fatti medesimi presentino carattere sintomatico e indiziante del pericolo in senso oggettivo ovvero della ipotizzabile sussistenza del detto collegamento (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005 n. 7615).

In proposito, è stato infatti chiarito che tale conclusione è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia della intimidazione, della influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite (Cons. St., VI, 16 aprile 2003 n. 1979).

La formulazione generica, più sociologica che giuridica, del "tentativo di infiltrazione mafiosa" giuridicamente rilevante allo scopo di interdire la partecipazione dell’impresa ai pubblici appalti ovvero di interdire il conseguimento di contributi ed erogazioni pubbliche, determina che l’autorità preposta all’accertamento, vale a dire il Prefetto, abbia un ampio margine di accertamento e di apprezzamento, per cui la valutazione prefettizia è sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di vizi di eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti.

Nondimeno, pur nel quadro di valutazioni ampiamente discrezionali, onde evitare il travalicamento in uno "stato di polizia" e per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, è condivisibile l’assunto secondo cui non possono reputarsi sufficienti ai fini indicati fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo altresì l’individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con le predette associazioni (TAR Lazio, Roma, III, 10 febbraio 2010, n. 1938).

L’informativa antimafia, quindi, deve fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente a livello di prova, anche indiretta, siano comunque tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l’id quod plerumque accidit, l’esistenza di elementi che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto con la pubblica amministrazione (Cons. St., VI, 29 febbraio 2008 n. 756).

La valutazione rimessa all’autorità prefettizia dalla normativa di riferimento per quanto attiene alla sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società interessate, per la specifica natura del giudizio formulato, è peraltro connotata dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca e, pertanto, può definirsi tipico esercizio di discrezionalità tecnica, che, se esclude la possibilità per il giudice amministrativo di svolgere un sindacato pieno e assoluto, non impedisce allo stesso di formulare un giudizio di logica e congruità delle informazioni assunte e di poter eventualmente rilevare se ictu oculi i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma (TAR Campania, Napoli, III, 4 aprile 2002 n. 1861).

Pertanto, come già sottolineato, la valutazione rimessa all’autorità prefettizia dalla normativa di riferimento, per la specifica natura del giudizio formulato, è sindacabile dal giudice amministrativo solo se emergano manifesti vizi logici e di congruità con riguardo alle informazioni assunte o alle deduzioni che da esse sono state tratte (TAR Campania, Napoli, III, 19 settembre 2007 n. 7875).

Nella fattispecie in esame il tentativo di infiltrazione mafiosa è stato dedotto, come in particolare emerge dalla riunione del Gruppo Ispettivo Antimafia in data 5 febbraio 2010, "dalla pendenza di un procedimento penale per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan camorristico dei casalesi" nonché dal fatto che "anche altre società appartenenti alla famiglia G. sono state raggiunte da provvedimenti interdittivi antimafia".

Il Collegio rileva in primo luogo che l’esistenza di un "procedimento penale per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan camorristico dei casalesi" ha indubbiamente rilevanza indiziaria in ordine al "rischio" di tentativi di infiltrazione mafiosa.

Né, a prescindere dalla convivenza con il padre, circostanza questa che non assume particolare rilievo ai fini in discorso, può essere dirimente la constatazione che il procedimento penale per favoreggiamento ha ad oggetto un fatto verificatosi il 6 marzo 1999, sia perché, come emerge dalla comunicazione del 27 luglio 2006 del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, l’interessato è stato controllato ancora in data 26 aprile 2002 dalla Polizia di Stato di Caserta in compagnia di Michele Barone, nato a Caserta il 12.9.1974, residente a San Cipriano d’Aversa, pluripregiudicato, affiliato al clan camorristico dei "Casalesi", gravato da precedenti di polizia per associazione mafiosa, estorsione, omicidio doloso, sia per la intrinseca gravità della condotta ascritta che ne determina la oggettiva e persistente rilevanza indiziaria.

Peraltro, la peculiarità del caso di specie è costituita dal fatto che il soggetto a carico del quale sussiste il procedimento penale è R.G., nato a Caserta il 10 agosto 1975, figlio di Angelo, consigliere della Società, laddove il citato R.G. non ricopre cariche all’interno della Società né è socio della stessa.

In proposito, occorre mettere in luce che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, la sussistenza di un rapporto di parentela, coniugio o affinità non è sufficiente da solo a suffragare l’ipotesi della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, dovendosi quest’ultima basarsi anche su altri elementi, sia pure indiziari, tali, nel loro complesso, da fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose.

In sostanza, il fatto che R.G., nato a Caserta il 10 agosto 1975, sia figlio di Angelo, consigliere della Società non potrebbe, in assenza di ulteriori elementi, assumere particolare significatività sotto il profilo della contiguità con ambienti malavitosi e, quindi, del rischio di possibile sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.

Tuttavia, occorre rilevare come nello stesso ricorso sia dato atto che la Società ricorrente fa parte di un Gruppo, inteso in sostanziale e non tecnico/giuridico, di aziende, tra cui sono comprese la B.B. Soc. agricola a r.l. e il C.D.R. Soc. agricola a r.l. anche nei confronti delle quali l’Autorità prefettizia ha adottato il provvedimento interdittivo antimafia per la sussistenza delle cause di cui all’art. 4 d.lgs. 490/1994, pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 l. 575/1965.

Il sig. R.G., nato a Caserta il 10 agosto 1975, secondo quanto possibile evincere dal primo atto di motivi aggiunti, ha posseduto il 10% delle quote della B.B. sino all’11 febbraio 2010.

Pertanto, tenendo conto del fatto che il capitale delle società del Gruppo G. è estremamente frazionato tra i quattro fondatori ed i diciassette discendenti, occorre rilevare che il citato R.G. è stato titolare di una quota molto significativa del capitale sociale della B.B. e che tale status sussisteva anche al momento dell’adozione dell’impugnato provvedimento interdittivo antimafia, in data 9 febbraio 2010.

Ne consegue che. se è vero che il sig. R.G. in discorso non è socio o amministratore della Società ricorrente e che dal solo rapporto di parentela non può ragionevolmente desumersi alcun rischio di tentativo di infiltrazione mafiosa, è altrettanto vero che se, come indicato dai ricorrenti, la Società A.G. fa parte sostanzialmente di un gruppo di aziende in cui è compresa anche la B.B., la circostanza che, al momento dello svolgimento del procedimento e di emanazione del provvedimento interdittivo, l’interessato fosse titolare di una quota consistente del capitale della B.B. non può non ridondare, in termini di rischio di tentativi di infiltrazione mafiosa, anche sulla Società ricorrente in quanto facente parte dello stesso Gruppo.

Le censure relative all’irrilevanza delle informazioni a carico del sig. R.G., nato a Caserta il 10 agosto 1975, pertanto, devono essere disattese.

4. Parimenti, deve essere respinta la doglianza concernente la contraddittorietà del comportamento dell’Autorità Prefettizia di Caserta che, con provvedimento del 30 ottobre 2007, aveva informato che, nei confronti della Società ricorrente, allo stato degli accertamenti, non sussistevano le cause interdittive di cui all’art. 4 d.lgs. 490/1994 e di cui all’art. 10 l. 575/1965.

In primo luogo, va osservato che il Gruppo Ispettivo Antimafia in data 23 ottobre 2007 – dopo avere rilevato che R.G., figlio del consigliere Angelo, è stato controllato più volte in compagnia di personaggi vicini ad ambienti legati alla c.o. casertana, nonché tratto in arresto in data 8.6.2006 dal ROS dei Carabinieri di Roma, per associazione mafiosa ed altro – aveva concluso che tali eventi non risultano, allo stato, sufficientemente idonei al rilascio di un provvedimento interdittivo ai fini antimafia, ma aveva anche ritenuto necessario effettuare la segnalazione ai competenti enti pubblici ai sensi dell’art. 1 septies d.l. 628/1982.

Di talché, occorre in primo luogo rilevare che, avendo ravvisato l’esigenza della segnalazione ex art. 1 septies d.l. 628/1982, c.d. informativa antimafia atipica, l’efficacia interdittiva non era senz’altro esclusa, ma sarebbe potuta scaturire da una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria, tanto che, nella nota indirizzata dal Prefetto all’amministrazione richiedente il 30 ottobre 2007, era espressamente indicato che la comunicazione era effettuata ai sensi del richiamato art.1 septies, in base al quale le informazioni "non hanno di per sé efficacia interdittiva, ma valgono soltanto ad indirizzare le scelte discrezionali dell’Amministrazione".

Tanto premesso, viene soprattutto in rilievo che le forze dell’ordine non avevano all’epoca attribuito la rilevanza oggi attribuita, in modo non manifestamente illogico, alla pendenza di un procedimento penale per favoreggiamento personale di un personaggio di spicco del clan dei casalesi, il che già di per sé vale a differenziare le due fattispecie.

Inoltre, i due procedimenti conclusisi con l’adozione dei due differenti provvedimenti hanno una loro autonomia, per cui l’illegittimità del provvedimento interdittivo del 9 febbraio 2010 potrebbe essere eventualmente determinata dalla manifesta illogicità della valutazione discrezionale compiuta o dal travisamento dei fatti a base dell’atto, ma, in assenza di tali figure sintomatiche dell’eccesso di potere, non può certo essere dedotta da una determinazione di segno diverso assunta alcuni anni prima.

5. L’impugnazione delle informative antimafia emesse nei confronti delle Società B.B. e C.D.R. sono evidentemente inammissibili in quanto proposte da un soggetto giuridico diverso dal destinatario del provvedimento.

6. Con riferimento, infine, alla contestata estensione dell’interdizione agli amministratori della Società, in disparte la considerazione che l’impugnativa è stata proposta dal solo dott. R.G., è sufficiente rilevarne la carenza di interesse in quanto, essendo stata l’informativa richiesta per procedere all’erogazione degli indennizzi previsti dall’art. 3, co. 1, OPCM 3634/2007 in favore della Società A.G., l’estensione deve ritenersi tamquam non essent e dal suo annullamento non potrebbe derivare alcun beneficio per il ricorrente atteso che, comunque, l’interdizione nei confronti della Società, aspirante ad ottenere il beneficio dell’indennizzo, continuerebbe a sussistere.

7. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in Euro 2.000 (duemila/00), sono poste a carico, in parti uguali, dei ricorrenti ed a favore, in parti uguali, della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi in Provincia di Caserta e del Ministero dell’Interno – Prefetto della Provincia di Caserta.

P.Q.M.

Respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna i ricorrenti, in parti uguali, al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 2.000 (duemila/00), a favore, in parti uguali, della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi in Provincia di Caserta e del Ministero dell’Interno – Prefetto della Provincia di Caserta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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