T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 449 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La presente controversia trae origine dal procedimento avviato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, volto ad accertare la presunta scorrettezza delle condotte poste in essere da C. S.p.A. (di seguito, anche "C.") e F. S.p.A. (di seguito, anche "F."), nella loro qualità di professionisti, in relazione alla commercializzazione, presso i punti vendita C., di una carta di credito cobranded denominata "C.card", emessa da F..

Sulla base delle informazioni acquisite, in data 11.12.2008, l’Autorità comunicava l’avvio del procedimento, prospettando che, nella fase promozionale (con particolare riferimento alle pagine del sito web www.coin.it ovvero nell’ambito di messaggi promozionali esposti nei punti vendita C. e contenuti in pieghevoli pubblicitari volti a promuovere l’iniziativa C.card), in violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25, lett. a) del Codice del Consumo, C. e F. avrebbero fornito ai consumatori informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete, ovvero avrebbero omesso informazioni rilevanti in merito:

a) alla duplice natura della carta, a seconda che la stessa venga richiesta ed emessa come mera carta di fidelizzazione, ovvero anche come strumento di pagamento;

b) alla natura "revolving" della carta di pagamento, nonché alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato;

c) alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento;

d) alla identità del soggetto che fornisce i servizi finanziari, nonché alla natura e alle caratteristiche dell’instaurando rapporto con lo stesso.

Nel medesimo provvedimento AGCM specificava che la pratica descritta, oltre a potersi configurare ingannevole ai sensi degli artt. 21, 22 e 23, si rivelava anche aggressiva in quanto idonea ad esercitare un indebito condizionamento suscettibile di limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori.

Contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento l’Autorità deliberava ispezioni, ai sensi dell’art. 27, commi 2 e 3 del Codice del Consumo, presso le sedi F. s.p.a. e di C. s.p.a..

Gli accertamenti ispettivi venivano effettuati in data 17 dicembre 2008 presso le sedi legali delle predette società, nonché presso un punto di vendita C..

In data 16 gennaio 2009 C. trasmetteva all’Autorità un’istanza di assunzione di impegni ai sensi dell’art. 27 CdC. In particolare, proponeva di modificare il contenuto delle pagine del sito istituzionale e del leaflet pieghevole C.card allo scopo di rendere maggiormente chiaro e semplice il linguaggio utilizzato nella promozione al pubblico della C.card nelle sue due versioni.

Sulla base delle ulteriori informazioni acquisite nel corso degli accertamenti ispettivi, in data 18 marzo 2009, veniva comunicata ad entrambe le parti una integrazione oggettiva della comunicazione di avvio del procedimento, con la quale venivano ipotizzate ulteriori violazioni degli artt. 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione a condotte tenute nelle fasi pre – contrattuale e di raccolta delle richieste di emissione della carta da parte dei consumatori.

La violazione dell’articolo 22 del Codice del Consumo veniva ipotizzata in ragione del fatto che ai consumatori che si accingono a richiedere l’emissione della carta non verrebbero fornite informazioni rilevanti, con particolare riguardo alla regolamentazione contrattuale dell’instaurando rapporto, in modo da indurli ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso in relazione alla sottoscrizione della richiesta di carta di credito. L’Autorità rilevava in particolare che, all’atto della richiesta di emissione della carta, "la consegna del modulo contenente il documento di sintesi, le condizioni generali di contratto e il foglio informativo, avviene successivamente alla sottoscrizione della richiesta".

Pertanto, proseguiva l’Autorità "le modalità e la tempistica di consegna della documentazione contrattuale escludono in radice che l’incombente possa svolgere una qualsiasi funzione informativa precontrattuale".

L’Autorità osservava ancora, nel provvedimento di integrazione oggettiva, che vi sarebbe "una possibile incongruenza tra quanto accertato in sede di ispezione e la circostanza che, con la sottoscrizione del modulo di richiesta il consumatore è chiamato a dichiarare di avere ritirato copia dell’Avviso Principali Norme di Trasparenza, del Foglio informativo, del Documento di sintesi, nonché delle Condizioni generali di contratto, là dove, per contro, tale ritiro risulterebbe essere successivo all’avvenuta sottoscrizione. Né sono stati acquisiti riscontri in ordine ad una eventuale attività informativa svolta dal personale addetto alla raccolta delle richieste di emissione".

Quanto alla violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo, essa veniva ipotizzata, in primo luogo, con riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera a), dello stesso Codice.

Le attività di raccolta delle richieste di emissione della carta da parte dei consumatori, infatti, avrebbero potuto integrare gli estremi della pratica commerciale che, attraverso indebito condizionamento, in considerazione dei tempi e del luogo di svolgimento delle attività, limita o risulta idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, inducendolo, o comunque risultando idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Una ulteriore violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo, veniva poi ipotizzata con riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera d), del Codice, avuto riguardo alla clausola, contenuta nel modulo contrattuale utilizzato per la raccolta delle richieste di emissione della carta, relativa al diritto del consumatore "di ottenere copia del testo del contratto idonea per la stipula che include il Documento di sintesi".

In particolare, l’Autorità osservava che le modalità di acquisizione del consenso in relazione alla clausola contenuta nel modulo per la raccolta delle richieste di emissione, relativa al diritto del consumatore di "ottenere copia del testo del contratto idonea per la stipula" potrebbero costituire "un ostacolo non contrattuale" all’esercizio dei diritti contrattuali da parte del consumatore in quanto è previsto che "nel caso in cui non sia indicato nulla, si intenderà che il cliente non si è avvalso del diritto in parola".

Con successivo provvedimento del 6 aprile 2009 prot. n. 26298, l’Autorità comunicava a C. che gli impegni non potevano essere accolti "in quanto relativi a condotte che, ove accertate, potrebbero integrare fattispecie di pratiche commerciali manifestamente scorrette e gravi" per le quali non può trovare applicazione l’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo.

Parte ricorrente depositava le proprie memorie in data 27 aprile 2009 e 23 giugno 2009.

Poiché la pratica commerciale risultava diffusa anche attraverso Internet, in data 26 giugno 2009 veniva richiesto il parere di AGCOM.

Sulla base delle risultanze istruttorie ed in conformità al parere espresso da quest’ultima, l’Autorità deliberava che "la pratica commerciale descritta al punto II del presente provvedimento, posta in essere dalle società C. S.p.A. e F. S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25, lettera a), del Codice del Consumo", inibendone, altresì, l’ulteriore diffusione.

Alla società C. veniva irrogata una sanzione pecuniaria pari ad euro 90.000 mentre a F. veniva inflitta una sanzione di euro 130.000.

Avverso il complesso di siffatte determinazioni, insorge C., deducendo:

I – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3, 18, 19, 20, 21, 22, 24 e 25 lett. a) d.lgs. 26 settembre 2005, n. 206 come modificato dal d.lgs. n. 146/07; artt. 1, 2, 3 l. 7 agosto 1990, n. 241; Direttiva 2005/29/CE. Principi desumibili. ECCESSO DI POTERE IN TUTTE LE SUE FIGURE SINTOMATICHE, IN PARTICOLARE PER TRAVISAMENTO ED ERRONEA RAPPRESENTAZIONE DEI FATTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, MOTIVAZIONE MANIFESTAMENTE CARENTE, ILLOGICA E CONTRADDITORIA.

Parte ricorrente premette che AGCM ha omesso ogni indicazione sulle modifiche da apportare per ovviare alle violazioni, benché essa avesse, sin dalla fase di avvio del procedimento, espressamente manifestato il proprio impegno a rimuovere ogni presunta condotta scorretta.

AGCM, inoltre, non ha accertato alcun danno o pregiudizio per i consumatori.

Il provvedimento finale denoterebbe, comunque, mancanza di chiarezza e linearità nelle conclusioni raggiunte, carenza assoluta di ragioni giuridiche, prove o indizi gravi, precisi e concordanti a sostegno degli illeciti ipotizzati.

C. reputa, inoltre, che il consumatore medio al quale l’Autorità avrebbe dovuto fare riferimento è esclusivamente colui che ha un conto corrente bancario e non può quindi non sapere cosa sia un fido.

Sulle contestazioni sollevate con riguardo alla fase di promozione della C.card.

A. Sulla contestazione sub lett. a) della Comunicazione di avvio. La duplice natura della carta.

1. L’esistenza di due carte.

Le valutazioni conclusive relative alla fase di promozione della C.card non vanno oltre quanto già sostenuto da AGCM nella Comunicazione di avvio, senza nulla aggiungere in logica e diritto, neanche a confutazione delle argomentazioni e della documentazione prodotta da C. nel corso del procedimento.

Dalle stesse risultanze istruttorie emerge che le due carte commercializzate hanno denominazioni distinte, caratteristiche diverse, e sono presentate sul sito in sezioni separate. Sotto tale profilo, pertanto, le conclusioni di AGCM sarebbero carenti, illogiche e contraddittorie.

2. L’obbligo di valutazione di insieme.

L’art. 21 del Codice del Consumo impone l’obbligo di valutazione di insieme della pratica commerciale e non della singola condotta o messaggio parte della pratica stessa.

Il consumatore "medio" non legge le pagine e le interfacce del sito web in modo scollegato, come sembra assumere l’Autorità.

Dal complesso delle informazioni fornite il consumatore non può ragionevolmente essere indotto in errore sulla natura e sulle caratteristiche delle carte.

3. Assenza di profili di aggressività della pratica.

Parte ricorrente rileva che, con riferimento alla promozione delle due carte in esame, non sono stati evidenziati profili di aggressività (ancorché gli stessi abbiano poi formato oggetto di sanzione).

Contesta, inoltre, l’assunto di AGCM (desumibile dall’affermazione secondo cui risulterebbe a priori ingannevole associare l’espressione "vantaggio esclusivo" o "privilegio" ad una carta di credito) secondo cui ad una carta di credito non potrebbero essere associate finalità di fidelizzazione. Ciò in quanto la stessa nozione di credito al consumo implica il concetto di "facilitazione" finanziaria.

4. Sui "vantaggi" e i "privilegi" delle due carte.

I termini in questione sono stati comunque utilizzati con riferimento ai soli servizi di fidelizzazione offerti ai titolari C.card che la C.card carta di pagamento offre al pari della C.card Easy.

La sezione di apertura delle pagine dedicate alla C.card svolge la funzione di presentare l’intera iniziativa C.card e non può quindi risultare astrattamente ingannevole o aggressiva.

5. Le differenza grafiche tra le due carte.

L’ologramma della finanziaria non è presente sull’immagine della C.card easy. Le due carte, inoltre, presentano una banda trasversale di colore diverso.

Parte ricorrente ritiene, in conclusione, di avere fornito, nella fase promozionale, tutte le informazioni rilevanti al fine di distinguere la carta fedeltà dalla carta di pagamento.

B. Sulla contestazione sub lett. b) della Comunicazione di avvio: la caratteristica di rimborso con modalità revolving.

L’Autorità ha stigmatizzato, in primo luogo, il mancato utilizzo del termine revolving, che qualora adoperato da C., "avrebbe consentito ai consumatori al corrente del relativo significato di percepire con immediatezza i caratteri principali delle modalità di rimborso in considerazione".

1. Il significato di revolving.

Tale giudizio, a bene vedere, non è stato riferito al consumatore medio, bensì al consumatore, più sofisticato, a conoscenza del termine "revolving". L’Autorità, pertanto, ha violato il canone di valutazione codificato nel Codice del Consumo.

Deve, inoltre, considerarsi corretta e in buona fede la scelta di C. di non utilizzare tale termine nei mezzi di promozione al pubblico della C.card, in quanto ben conscia del fatto che il termine tecnico in questione è usato in senso più appropriato nella documentazione predisposta da F. e che C. mette a disposizione del pubblico nei propri punti vendita, a supporto dell’attività di informazione che i dipendenti C. svolgono in fase "precontrattuale".

2. La scelta corretta di C. del termine "fido" quale termine generalmente conosciuto.

Erroneamente l’Autorità ha ritenuto che detto termine non sia padroneggiato dal consumatore medio. Parte ricorrente stigmatizza inoltre la circostanza che in casi analoghi (ad es. PS/1821, Agos), abbia usato proprio il termine in questione al fine di descrivere il tipo di finanziamento in esame. L’Autorità non ha comunque spiegato la differenza tra questo comune strumento di credito ed una "linea di credito ad uso rotativo".

Non sarebbe inoltre logico pretendere da C. che, in fase promozionale, siano fornite al consumatore anche informazioni utili a calcolare il "quantum della rata che si impegnerà a pagare" per l’acquisto di beni che in quel momento non ha ancora neanche visionato.

Ad ogni buon conto, l’Autorità non avrebbe motivato sul perché il consumatore medio potrebbe essere tratto in inganno dall’uso del termine "fido" con riguardo al quantum della rata da pagarsi in caso di "pagamento con rimborsi mensili" laddove, nelle stesse risultanze istruttorie, viene indicato che C. fa riferimento a "rate pari al 5% del tuo fido e con un tasso dell’1,3%" riportandosi in nota il TAN e il TAEG annui.". L’Autorità non contesta, quindi, la veridicità delle informazioni fornite, ma solo l’inadeguatezza del termine fido, senza considerare tutte le altre informazioni e circostanze del caso.

5. Quali informazioni rilevanti sarebbero omesse nel sito web e nei pieghevoli?

E’ illogico e contraddittorio quanto sostiene AGCM in merito ad una "non esaustiva" informazione, soprattutto con riguardo al quantum di una rata puramente eventuale e indeterminabile.

C. Sulla contestazione sub lett. c) della Comunicazione di avvio: le modalità di utilizzo della carta di pagamento.

1. L’invito a presentare la C.card alle casse è corretto.

Il messaggio "presenta sempre la tua C.card alle casse" è riprodotto in due distinte sottosezioni del sito che sono per definizione e ogni altro aspetto differenziate tra loro

2. L’invito non è unico ma è solo riportato con il medesimo lessico in due diverse pagine che spiegano le modalità di utilizzo delle due versioni di C.card.

Parte ricorrente ritiene, inoltre, di non essere tenuta a fornire al consumatore puntuali informazioni circa la possibilità di esibire la carta di credito alla cassa, precisando che intende pagare con uno strumento diverso. Si tratterebbe di una precisazione superflua e non rilevante, mentre è illogica e contraddittoria la conseguenza che AGCM trae da tale dedotta omissione ingannevole e cioè che il consumatore medio sia indotto a ritenere che la partecipazione ai programmi di fidelizzazione è vincolata all’uso della carta nella sua funzione di strumento di pagamento.

L’invito è inoltre riferito ai soli servizi di fidelizzazione e, comunque, la reale portata del messaggio è facilmente comprensibile per il consumatore ragionevolmente attento ed avveduto se solo egli considerasse il complesso dei messaggi che formano la comunicazione commerciale in contestazione.

3. C. non ha interesse a spingere l’utilizzo della carta di pagamento a scapito della carta fedeltà.

C., inoltre, avrebbe dimostrato che i titolari di C.card carta di pagamento sono perfettamente consci della possibilità di utilizzare la carta solo per usufruire dei servizi fedeltà. L’informazione fornita, nel suo complesso e non "decontestualizzata", non manca di alcun elemento rilevante che, se fosse stato noto, avrebbe indotto il consumatore a rinunciare all’acquisto di un bene.

Al contrario, ove C. specificasse, nell’invito, che gli acquisti possono essere sempre pagati in contante, assegno, o con altra carta di credito, pur usufruendo dei vantaggi commerciali riservati ai titolari, con ogni probabilità, ragionevolmente, il consumatore verrebbe invogliato maggiormente all’acquisto, a sicuro vantaggio di C..

In sintesi, non c’è alcuna argomento logico o indizio, nel caso di specie, che dica che la mancata precisazione della possibilità di "non dovere pagare" gli acquisti con la C.card sia idonea a produrre un effetto pregiudizievole per i consumatori.

4. C’è carenza assoluta di decettività quale elemento naturale (oggettivo) della pratica scorretta.

In conclusione non è dato comprendere quale è la portata concretamente decettiva o "fuorviante" di tale invito di C..

D. Sulla contestazione sub lett. d) della Comunicazione di avvio: l’identità del soggetto finanziatore.

L’espressione "previa approvazione della finanziaria" non può che fare riferimento, secondo C., ad un soggetto terzo rispetto ad essa.

Ad ogni buon conto il logo di F. e il nome della società finanziaria compaiono sui moduli contrattuali disponibili presso i punti vendita C..

II – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3, 18, 19, 20, 21, 22, 24 e 25 lett. a) d.lgs. 26 settembre 2005, n. 206 come modificato dal d.lgs. n. 146/07; artt. 1, 2, 3 l. 7 agosto 1990, n. 241; Direttiva 2005/29/CE. Principi desumibili. ECCESSO DI POTERE IN TUTTE LE SUE FIGURE SINTOMATICHE, IN PARTICOLARE PER TRAVISAMENTO ED ERRONEA RAPPRESENTAZIONE DEI FATTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, MOTIVAZIONE MANIFESTAMENTE CARENTE, ILLOGICA E CONTRADDITORIA.

– Sulle contestazioni sollevate in sede di estensione oggettiva del procedimento.

F. è l’unico soggetto a cui potrebbe imputarsi l’eventuale inadeguatezza delle informazioni finanziarie e tecniche presente sui moduli contrattuali.

II.1. Le informazioni fornite dai dipendenti C. in fase precontrattuale.

I termini e le condizioni contrattuali nonché le modalità tecniche di funzionamento della C.card carta di pagamento, ivi compresa la caratteristiche revolving, sono diffusamente descritti nel "Documento di sintesi contratto C.card Condizioni Economiche" che è predisposto integralmente da F..

Tale modulo contrattuale in bianco (comprensivo degli allegati) è disponibile in tutti i punti vendita C. e, su richiesta degli interessati, viene mostrato, spiegato e consegnato al consumatore dagli addetti dell’Ufficio amministrativo dei punti vendita C..

Dalle stesse risultanze istruttorie emerge, inoltre, che durante l’ispezione AGCM presso il punto vendita C. il dipendente ha fornito "puntuali risposte" alle "precise domande" dei funzionari dell’Autorità.

II.2. Nessun dubbio sul significato della clausola relativa al ritiro di copia della documentazione contrattuale all’atto della richiesta C.card carta di pagamento.

La documentazione contrattuale in bianco è disponibile presso i punti vendita C. e viene consegnata a coloro che chiedono informazioni sulla C.card carta di pagamento senza procedere necessariamente con la richiesta della carta.

E’ solo nella vera e propria fase di emissione che i richiedenti ricevono la loro copia della documentazione "contestualmente alla sottoscrizione" della proposta contrattuale.

L’Autorità, secondo parte ricorrente, trae argomenti relativi ad una pretesa carenza informativa nella fase precontrattuale, dalla clausola, contrattuale, relativa al ritiro di copia della documentazione contrattuale.

II.3. La consegna di copia del contratto idonea per la stipula (c.d. "in bianco").

La prima clausola è bene distinta da quella relativa al "diritto di ottenere copia del contratto idonea per la stipula". Essa è, infatti, posta a salvaguardia del richiedente e della società finanziaria con riguardo alla conoscenza in ogni tempo delle condizioni contrattuali.

La seconda clausola riguarda invece l’informazione preventiva del consumatore e rappresenta un ulteriore atto di diligenza del professionista. Ovviamente, però, questi non può obbligare ogni potenziale cliente a ricever copia "in bianco" del contratto prima della sua sottoscrizione.

Ciò che il professionista è tenuto a fare, anche in base alle norme di settore, è mettere a disposizione nel punto vendita la modulistica contenente tutte le informazioni del caso.

II.4 E’ da escludersi anche l’indebito condizionamento di tale clausola.

Se il richiedente, come può accadere, non abbia richiesto, prima della stipula, una copia in bianco, il professionista non è tenuto ad annotare tale scelta con una "barra" sul modulo contrattuale.

L’Autorità arriva a presumere che, in tal modo, l’addetto alla raccolta delle proposte contrattuali non sia tenuto a richiamare espressamente il consumatore sul contento della clausola.

Ad ogni buon conto la clausola in parola è contenuta in una sezione del modulo in cui il richiedente è chiamato a leggere e sottoscrivere altre clausole, tra cui la dichiarazione di cui all’art. 1341 e 1342 c.c.. Poiché il richiedente è chiamato a leggere e sottoscrivere, per precisi obblighi di legge, altre clausole ivi presenti, deve correttamente presumersi che lo stesso richiedente legga anche la clausola in parola e che provveda a non barrare la caselle per aver scelto consapevolmente di non esercitare quel suo diritto.

II.5. Quid iuris sull’asimmetria informativa?

Tale asimmetria è un elemento connaturale al rapporto impresa – consumatore ed AGCM doveva andare oltre tale generica considerazione per accertare una qualsiasi violazione del CdC.

II.6 Sull’indebito condizionamento in relazione ai tempi e ai luoghi di sottoscrizione della richiesta.

Una così generica accusa manca di indicare quali siano "i tempi e i luoghi" più consoni per la sottoscrizione di una carta di pagamento utilizzabile solo per gli acquisti nei punti vendita di un unico professionista (C.).

III – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE (artt. 3, 24, 41, e 97 della Costituzione, artt. 1, 2, 3, 7 e 10 della l. 7 agosto 1990, n. 241; artt. 6 e 16 del Regolamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sulle procedure istruttorie, delibera AGCM del 15 novembre 2007, n. 17589. Principi desumibili). ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, ERRORE E TRAVISAMENTO DELLE RISULTANZE ISTRUTTORIE. OMESSA VALUTAZIONE DI ELEMENTI DECISIVI DI GIUDIZIO. ILLOGICITÀ. IRRAZIONALITÀ E CONTRADDITTORIETÀ MANIFESTE.

III.1) La genericità delle contestazioni nella comunicazione di avvio.

All’atto di comunicare a C. l’avvio del procedimento, e per tutto il tempo dell’istruttoria, AGCM non si è curata di indicare alla società quali specifiche informazioni di natura promozionale, oggetto di contestazione, erano ritenute espressione di una pratica commerciale scorretta.

Fino alla comunicazione del provvedimento finale, sono state dunque celati fatti e condotte rilevanti ai fini della difesa.

III.2 L’omessa comunicazione delle risultanze istruttorie quale oggetto imprescindibile della contestazione di specie.

L’Autorità ha omesso la comunicazione delle risultanze istruttorie.

Essa, sebbene non prevista dal Regolamento sulle procedure istruttorie, andava invece adottata in relazione alla complessità della fattispecie.

III.3. Sull’integrazione oggettiva della Comunicazione di avvio.

L’art. 6 del Regolamento non contempla tale potere. AGCM avrebbe dovuto aprire un’altra istruttoria.

III. 4. L’omessa valutazione delle risultanze istruttorie.

Su un totale di n. 122.852 carte di pagamento attive nel 2008, C. ha ricevuto, nel medesimo anno, solamente 33 lamentele da parte di titolari (0,027%).

Anche negli illeciti di "pericolo" non si può non tenere conto dei precedenti, qualora disponibili.

Inoltre, su un totale di 2.704 carte di pagamento emesso nel 2008, solo n. 1.293 sono state utilizzate come carte di pagamento, mentre più del 50% sono state utilizzate solo per usufruire dei vantaggi commerciali associati alla carta, o non sono state affatto utilizzate.

Lo scarso numero delle richieste annuali porta anche ad escludere l’esistenza di una pratica aggressiva, e comunque di una indebita pressione esercitata da C. nei confronti dei consumatori.

III.5 L’onere della prova.

L’Autorità ha omesso di valutare, ai sensi dell’art. 27, comma 5, del Codice del Consumo, le allegazioni fattuali che dimostrano che C. non poteva ragionevolmente prevedere l’impatto della pratica commerciale sui consumatori.

IV – VIOLAZIONE DI LEGGE, artt. 3, 18, 19, 20, 21, 22, 24 e 25 lett.a) d.lgs. 26 settembre 2005, n. 206 come modificato dal d.lgs. n. 146/07 e artt. 3 e l. 24.11.1981, n. 689 (ELEMENTO SOGGETTIVO DELL’ILLECITO). ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO ED ERRONEA RAPPRESENTAZIONE DEI FATTI. CARENZA E DIFETTO DI MOTIVAZIONE. ILLOCIGITÀ, IRRAZIONALITÀ E CONTRADDITTORIETÀ MANIFESTE.

Manca, sin dall’avvio del procedimento, una demarcazione netta della diligenza professionale richiesta a C. e della diligenza professionale richiesta invece a F..

C. non può rispondere, né direttamente, né per culpa in vigilando, del contenuto dei moduli contrattuali C.card che sono predisposti e confezionati unicamente da F..

V- SUL RIGETTO DEGLI IMPEGNI PRESENTATI DA COIN: VIOLAZIONE DI LEGGE CON RIFERIMENTO ART. 27 DEL D.LGS. 26 SETTEMBRE 2005, N. 206 ED ALL’ART. 8 DEL REGOLAMENTO. ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITÀ, IRRAZIONALITÀ, CONTRADDITTORIETÀ MANIFESTE.

L’Autorità non ha offerto alcuna indicazione positiva circa i contenuti che dovrebbero caratterizzare il comportamento della società per soddisfare le richieste dell’Autorità.

Il rigetto degli impegni si fonda, poi, su una valutazione di manifesta scorrettezza e gravità della pratica. C. ritiene perciò contraddittorio il fatto che non sia stata contestualmente disposta una misura cautelare.

VI – SULLA QUANTIFICAZIONE DELLA SANZIONE: VIOLAZIONE DI LEGGE CON RIFERIMENTO ALL’ART. 11 DELLA L. N. 689 DEL 1981. ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITÀ, IRRAZIONALITÀ, CONTRADITTORIETÀ MANIFESTE.

L’Autorità non ha adeguatamente valutato la gravità della violazione, avuto riguardo all’assenza di pregiudizio per i consumatori e all’attivazione di C. per impedire conseguenze dannose.

Non ha, inoltre, considerato la subvalenza dell’operato di C. con riguardo a condizioni contrattuali predisposte unicamente da F..

Si costituiva, per resistere, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nonché la società F. (in questo caso, chiedendo, invece, l’accoglimento del ricorso).

C. e AGCM hanno depositato memorie e ampia documentazione.

I ricorsi sono stati assunti in decisione alla pubblica udienza del 1° dicembre 2010.

Motivi della decisione

1. La presente controversia trae origine dall’istruttoria condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, al fine di accertare la presunta scorrettezza della condotte poste in essere da C. S.p.A. (di seguito, anche "C.") e F. S.p.A. (di seguito, anche "F."), nella loro qualità di professionisti, in relazione alla commercializzazione, presso i punti vendita C., di una carta di credito c.d. cobranded denominata "C.card", emessa da F..

L’attenzione dell’Autorità si è inizialmente incentrata su condotte che "si collocano nella fase promozionale della carta di credito, con particolare riferimento alla divulgazione di messaggi effettuata attraverso la pubblicazione delle pagine del sito web "www.coin.it", nonché attraverso la diffusione, presso i punti vendita C., di un pieghevole pubblicitario volto a promuovere l’iniziativa "C.card".

Nello specifico, l’ipotesi formulata in sede di avvio è che ai consumatori siano fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete, ovvero siano omesse informazioni rilevanti in merito:

a) alla duplice natura della carta, a seconda che la stessa venga richiesta ed emessa come mera carta di fidelizzazione, ovvero anche come strumento di pagamento;

b) alla natura "revolving" della carta di pagamento, nonché alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato;

c) alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento;

d) alla identità del soggetto che fornisce i servizi finanziari, nonché alla natura e alle caratteristiche dell’instaurando rapporto con lo stesso.

Nelle "Valutazioni conclusive", relativamente alla contestazione sub a), l’Autorità ha evidenziato che "le risultanze istruttorie hanno confermato la sussistenza di informative inadeguate e di omissioni informative in ordine alle differenze esistenti tra le due carte distribuite da C.."

Relativamente alla contestazione sub b) della Comunicazione di avvio secondo l’Autorità "le espressioni contenute tanto nelle pagine web quanto nel pieghevole non sono idonee ad informare adeguatamente il consumatore medio sulla natura di quello che viene definito "Pagamento con rimborsi mensili".

L’Autorità ha poi analizzato un distinto, ulteriore profilo "relativo alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento (sub punto c) nella comunicazione di avvio del procedimento). In tal senso rileva la mancanza di puntuali informazioni in ordine alla possibilità riconosciuta al consumatore di esibire la carta di credito alla cassa, precisando che intende però pagare con strumento diverso (contante, assegno, altra carta di credito, ecc.).".

Infine "La mancata indicazione della Società fornitrice dei servizi finanziari associati alla carta di credito (contestazione sub punto d) nella comunicazione di avvio del procedimento) non può certamente essere sanata dalla presenza nel messaggio del relativo numero telefonico, né della casella di posta elettronica cui indirizzare eventuali richieste di "informazioni finanziarie".

Tale carenza informativa, "unita alla denominazione della carta, è idonea ad indurre il consumatore medio in errore circa il soggetto finanziatore. Il titolare della carta, in specie, può essere indotto a ritenere che il servizio di dilazione del pagamento sia prestato dalla stessa C., mentre la contezza in ordine all’identità della finanziaria e, ancor prima, in relazione alla natura del soggetto che interviene nella transazione e nella esecuzione dello stipulando contratto, ha una specifica rilevanza ai fini di una scelta consapevole e informata da parte del consumatore.".

1.1. Hanno poi formato oggetto di analisi le condotte contestate in sede di estensione oggettiva della comunicazione di avvio del procedimento.

In particolare, pur prendendo atto di quanto sostenuto dalla difesa di C. in punto di modalità di raccolta e invio alla finanziaria della proposta contrattuale per via telematica, l’Autorità ha riscontrato "il permanere del contrasto tra le risultanze istruttorie e la clausola presente nel modulo cartaceo usato per la raccolta manuale delle richieste di emissione della carta, ai sensi della quale il richiedente è chiamato a dichiarare di aver ritirato copia dell’Avviso "Principali Norme di Trasparenza’, del Foglio Informativo, del Documento di Sintesi nonché delle Condizioni Generali di Contratto".

Ha poi stigmatizzato anche la clausola relativa "al diritto di ottenere copia del contratto idonea per la stipula, la quale prevede che il sottoscrittore barri, a seconda dei casi, la casella corrispondente alla dichiarazione di avvenuto o non avvenuto esercizio" ritenendo che la formulazione del modulo sia idonea ad ostacolare l’esercizio di un diritto riconosciuto al consumatore, "nella parte in cui è detto (tra parentesi) che "nel caso non sia indicato nulla, s’intenderà che il Cliente non si è avvalso del diritto in parola". Secondo l’Autorità, tale ultima previsione consente all’addetto alla raccolta delle proposte contrattuali di non richiamare espressamente l’attenzione del sottoscrittore sul contenuto della clausola, "come sarebbe invece necessario in caso di mancanza di espressa presunzione di non esercizio collegata alla mancata dichiarazione, ponendo così i presupposti per una indebita compressione di un diritto attribuito al sottoscrittore dall’ordinamento. Ne discende che tale peculiare modalità di formulazione della clausola integra gli estremi di una violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo".

Più in generale, secondo l’Autorità, la condotta tenuta da C. nella fase di acquisizione del consenso risulta integrare un’ipotesi di violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo, con specifico riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera a) dello stesso testo normativo.

Sul piano dell’elemento soggettivo dell’illecito, l’Autorità ha posto quindi in luce "la piena consapevolezza del professionista in ordine alla natura finanziaria del prodotto proposto ai propri clienti, nonché, con specifico riferimento al materiale promozionale, la circostanza riferita da F. e non smentita da C., che lo stesso risulta essere stato predisposto da quest’ultima e, comunque, è stato diffuso ad opera della stessa Società (sul suo sito internet, ovvero all’interno dei suoi punti vendita).".

Rispetto al settore di riferimento, infine, "la valutazione della completezza e chiarezza delle informazioni fornite alla clientela deve comunque essere condotta con particolare rigore, in considerazione dell’asimmetria informativa tra operatori economici e consumatori derivante dalla complessità della materia e dalla scarsa conoscenza del pubblico rispetto a servizi cui non si ricorre con frequenza.".

1.2. E’ utile anche, sintetizzare il quadro normativo e regolamentare di riferimento.

Come noto, infatti, la normativa, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della Direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle "Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno", alla quale, il legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando, nell’agosto del 2007, due distinti decreti legislativi (nn. 145 e 146), rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.

Il d.lgs. n. 146/2007 è intervenuto direttamente sul Codice del Consumo, sostituendo gli artt. 1827 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ed introducendo una generale normativa sulle "pratiche commerciali scorrette".

Il Codice del Consumo abbandona il precedente, specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa per abbracciare una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, "ivi compresa la pubblicità", posta in essere da un professionista "prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto" (artt. 18 e 19 del Codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimangono, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

Il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE, ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.

Per tale ragione, del resto, il d.lgs. n. 146/2007, ha, contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

Ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (come modificato dall’appena citato d.lga. 2 agosto 2007 n. 146), "per le finalità considerate dal Titolo III" (Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali), si intende per:

– "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

– "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

– "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori": qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

– "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Il successivo art. 19 puntualizza, poi, che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che "una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e" diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori"; mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali:

– ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23

– aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.

In particolare, ai sensi dell’art. 22 "è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Secondo l’art. 24 "È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Gli articoli 23 e 26, descrivono, infine, le pratiche che sono considerate in ogni caso ingannevoli e/o aggressive.

2. Ciò posto, è possibile complessivamente apprezzare la consistenza delle censure dedotte, principiando, per ragion di ordine logico, da quelle di carattere procedimentale.

2.1. Parte ricorrente ha in primo luogo stigmatizzato la circostanza che, nelle "Valutazioni conclusive", l’Autorità non abbia confutato in modo puntuale i rilievi fattuali, nonché logico – giuridici, contenuti nelle memorie difensive.

2.1.1. Il Collegio ricorda che, secondo un consolidato principio pretorio, comune all’iter decisionale delle pubbliche amministrazioni (ivi comprese le Autorità indipendenti), l’obbligo di esame delle memorie e dei documenti difensivi, ex art. 10, l. n. 241 del 1990, non impone una analitica confutazione in merito ad ogni argomento utilizzato dalle parti stesse, essendo sufficiente un percorso motivazionale che "renda nella sostanza percepibile la ragione del non adeguamento alle traiettorie difensive e ne attesti la relativa consapevolezza" (Cons. St., sez. VI, 16 marzo 2006, n. 1397; TAR Lazio, Roma, sez. I, 2 agosto 2010 n. 29503; cfr. anche la giurisprudenza comunitaria in materia di procedimenti antitrust, secondo cui le prerogative della difesa non richiedono che la Commissione ribatta a tutti i motivi delle imprese interessate, essendo invece sufficiente che, sotto il profilo sostanziale venga adeguatamente motivata la tesi accolta in contrapposizione alle posizioni delle parti – TPG, sentenza 11 marzo 1999, causa T 141 – 94. Thyssen Stahl AG).

Nel caso di specie, pertanto, la circostanza che le "ipotesi" formulate in sede di avvio, abbiano poi formato oggetto, tal quali, della tesi esposta nelle "valutazioni conclusive" dell’Autorità, non è, di per sé, indice sintomatico di alcuno sviamento, dovendo piuttosto vagliarsi, in questa sede, se lo scrutinio condotto dalla stessa condotto, alla luce del materiale probatorio acquisito e delle argomentazioni delle parti (riversate, peraltro, anche in sede ricorsuale), risulti logico e coerente, nonché conforme al quadro normativo primario.

2.2. In vari passaggi del ricorso (in particolare, nelle "Premesse" e nel capo V, con cui viene censurata la decisione di rigetto degli impegni proposti nel corso del procedimento) parte ricorrente si duole poi del fatto che l’Autorità non si sia sforzata di delineare, in positivo, le specifiche modalità alle quali la società avrebbe dovuto attenersi al fine di ovviare ai profili di ingannevolezza e/o aggressività riscontrati nelle pratiche oggetto di esame.

E’ agevole rilevare però un simile compito è del tutto estraneo alle attribuzioni dell’Autorità, la quale è invece chiamata a verificare, nel caso concreto, l’adeguatezza della condotta commerciale allo standard di diligenza professionale delineato dal Codice del Consumo, e, all’esito di tale valutazione, ove negativa, ad "inibirne" la continuazione, oltre che ad eliminarne gli effetti (art. 27, comma 2, CdC).

Ad ogni buon conto, il Collegio reputa che, dai rilievi svolti dall’Autorità (estremamente analitici), parte ricorrente potesse facilmente desumere, volgendoli "in positivo", quali aspetti della promozione, come pure della procedura relativa all’attivazione delle carte commercializzate, andassero modificati, al fine di ovviare ai profili di ingannevolezza e/o aggressività riscontrati.

Con tali rilievi, inoltre, l’Autorità ha pienamente assolto il proprio onere collaborativo, il quale, "pena lo scolorare dei tratti che distinguono i rispettivi ruoli, non può trasmodare in una sostituzione nelle opzioni imprenditoriali circa l’individuazione delle soluzioni più efficaci e convenienti" (Cons. St., sez. sez. VI, 25 febbraio 2003, n. 1054).

2.3. C. assume poi violato il proprio diritto di difesa, in ragione del fatto che le condotte scorrette, così come analizzate e accertate nel provvedimento finale, non avrebbero formato oggetto di specifica contestazione.

La società si è sostanzialmente richiamata alla scansione tipica dei procedimenti in materia di tutela della concorrenza (intese e abusi di posizione dominante), in cui, prima dell’adozione del provvedimento finale, è prevista la c.d. Comunicazione delle Risultanze Istruttorie alle imprese.

Al riguardo va in primo luogo osservato (come già più volte evidenziato dalla Sezione, cfr. le sentenze n. 5807/2009 e n. 8396/2009), che siffatto adempimento è tipico dei procedimenti antitrust, in quanto caratterizzati da una particolare complessità dei relativi accertamenti istruttori.

E’ indubbio però che, rispetto ai procedimenti intesi a reprimere la pubblicità ingannevole e comparativa, anche quelli in materia di pratiche scorrette richiedano, oggi, un maggiore e più articolato impegno istruttorio.

Infatti, salvo i casi di condotte "tipizzate" (elencate agli artt. 23 e 26 del Codice del Consumo), incombe all’Autorità di individuare con sufficiente precisione le condotte ritenute ingannevoli e/o aggressive.

In tal senso, il riferimento all’ "oggetto del procedimento", contenuto nell’art. 6 del Regolamento sulle procedure istruttorie adottato in data 15 novembre 2007, non può esaurirsi nel mero richiamo delle norme di cui si ipotizza la violazione.

Ciò premesso, rimane tuttavia prerogativa dell’Autorità quella di prospettare un ampio spettro d’indagine, atteso che, un maggior grado di dettaglio è logicamente esigibile solo nella fase conclusiva del procedimento "che costituisce l’esito della fase istruttoria, mentre non sempre può caratterizzare la fase di avvio, nella quale, invece, deve essere con precisione identificato il solo messaggio, o i profili dello stesso, oggetto d" indagine al fine di mettere in grado l’operatore pubblicitario di potere proficuamente partecipare all’istruttoria" (TAR Lazio, sez. I^, 12 maggio 2008, n. 3880; id., 13 aprile 2006, n. 2737).

Nel caso di specie, nella comunicazione di avvio del procedimento veniva chiaramente precisato dall’Autorità che ai consumatori sarebbero state fornite informazioni "non rispondenti al vero o incomplete, ovvero sarebbero state omesse informazioni rilevanti in merito" ai quattro profili della promozione commerciale dell’iniziativa denominata "C.card" già in precedenza evidenziati, e che "la pratica commerciale descritta potrebbe integrare la violazione degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 lett. a) del Codice del consumo (…)".

Nella successiva contestazione integrativa analoghi rilievi venivano svolti in ordine alle condotte tenute nella fase precontrattuale ed identificate nella prassi seguita nei confronti dei "consumatori che si accingono a richiedere l’emissione della carta" ai quali "non verrebbero fornite informazioni rilevanti, con particolare riguardo alla regolamentazione contrattuale dell’instaurando rapporto, in modo da indurli ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso in relazione alla sottoscrizione della richiesta di carta di credito".

Veniva altresì specificamente contestata la violazione della disposizione di cui all’articolo 25, lettera a), del Codice in relazione ai "tempi" e al "luogo di svolgimento delle attività" di raccolta delle richieste di emissione.

Con riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera d), del Codice, l’Autorità comunicava infine che avrebbe formato oggetto di accertamento anche la specifica clausola "contenuta nel modulo contrattuale utilizzato per la raccolta delle richieste di emissione della carta, relativa al diritto del consumatore "di ottenere copia del testo del contratto idonea per la stipula che include il Documento di sintesi’".

E’ altresì possibile constatare che C. è intervenuta nel procedimento con articolate deduzioni difensive, sintetizzate nel provvedimento impugnato (nonché riprodotte con il presente ricorso), le quali attestano la intelligibilità della originaria comunicazione di avvio del procedimento e della sua successiva estensione.

Appare anche utile ricordare che, secondo quanto recentemente ribadito dalla Cassazione civile (sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935), il principio del contraddittorio, in sede amministrativa, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato.

E’ sufficiente, poi, che il fatto addebitato "sia stato individuato in tutte le circostanze concrete che valgono a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale" avendo, l’autorità procedente, l’obbligo di porre a base della contestazione medesima, "il nucleo del fatto contestato, inteso nella sua fenomenologia obiettiva e subiettiva e non anche nella definizione giuridica ivi conferitagli".

Ne consegue che, stante la mancata completa equiparazione tra il procedimento amministrativo e quello giurisdizionale, la comunicazione degli apprezzamenti tecnico – giuridici dell’Autorità procedente, non costituisce una declinazione necessaria del principio di partecipazione procedimentale.

2.4. Neppure sussiste, a parere del Collegio, la pretesa violazione dell’art. 6 del Regolamento sulle Procedure istruttorie. E’ evidente, infatti, che – sebbene la disposizione in esame non disciplini espressamente, l’ "integrazione oggettiva" della comunicazione di avvio di un procedimento già aperto – siffatta estensione è logicamente implicata dall’osservanza del principio della partecipazione procedimentale al quale la disposizione stessa è ispirata.

Ad ogni buon conto, poiché gli addebiti oggetto della comunicazione integrativa riguardano ulteriori fasi della medesima pratica commerciale, reputa il Collegio che la decisione di concentrare i relativi procedimenti non abbia concretamente compromesso le garanzie procedimentali, sia in quanto, come già evidenziato, gli addebiti sono stati nettamente distinti e specificamente contestati, sia in quanto, a ben vedere, l’unicità del procedimento ha, semmai, agevolato la linea di difesa di C., la quale, come meglio esposto in punto di fatto, ha più volte invocato la necessità di una "valutazione di insieme" ai fini della corretta decodifica del messaggio promozionale e/o della condotta commerciale, da parte del consumatore "medio".

3. Nel merito, principiando dalle valutazioni svolte dall’Autorità in ordine alla condotte tenute da C. nella fase promozionale dell’iniziativa denominata C.card, reputa il Collegio che il ricorso, sia, in parte, meritevole di accoglimento, nei termini che verranno di seguito precisati.

3.1. Ai fini di una più compiuta comprensione dei fatti di causa, è necessario riportare il contenuto del messaggio diffuso dalla società, in particolare attraverso il sito web www.coin.it nella sezione dedicata alla C.card.

Secondo quanto sintetizzato nel provvedimento impugnato "Nella pagina di apertura di tale sezione (nella versione on line all’epoca dell’acquisizione), C.card è presentata quale mezzo per accedere ad una serie di "vantaggi esclusivi", individuati in: "occasioni speciali, servizi gratuiti, pagamenti personalizzati, sconti". Di seguito è presente un paragrafo intitolato "C.card", ove è riportata la frase "Tante attenzioni e vantaggi esclusivi solo per te" e un secondo paragrafo, graficamente del tutto analogo al precedente, "C.card – Carta di pagamento", contenente la frase "Tutto il piacere dello shopping". E’ poi presente un invito così formulato: "Ricordati inoltre di presentare sempre la tua C.card alle casse quando fai shopping, solo così potrai godere di tutti i privilegi esclusivi dedicati ai Titolari". Nella stessa pagina d’apertura, sulla sinistra, sono presenti alcuni collegamenti ipertestuali che consentono l’accesso ad altre pagine dedicate a C.card. In particolare, cliccando sul sintagma "come funziona" appaiono (nella versione on line all’epoca dell’acquisizione) due link individuati rispettivamente dai termini "C.card" e "C.card carta di pagamento". Cliccando sul primo si accede ad una pagina nella quale è presente una immagine di grandi dimensioni che riproduce un fac simile di C.card nel quale è visibile il rettangolo destinato ad accogliere l’ologramma della finanziaria. Al di sotto, è ripetuta più volte l’associazione tra la carta e i "vantaggi esclusivi" e sono presenti le seguenti istruzioni per richiedere la C.card: "Basta sottoscrivere l’apposito modulo presso i negozi coin, che aderiscono all’iniziativa, e versare una quota di soli 5 euro". E’ poi presente un paragrafo nel quale compare per la prima ed unica (nella pagina) volta la denominazione "C.card Easy", con l’invito a mostrare "sempre la tua coincard Easy per poter usufruire di tutti i privilegi di sempre e delle ultime novità, riservate solo a te". Un successivo paragrafo titolato "PRESENTA SEMPRE LA TUA C. ALLE CASSE!" ove si legge una prima frase: "Ti premia subito: quando fai shopping, presenta sempre la tua coincard alle casse, solo così potrai godere di tutti i privilegi dedicati in esclusiva ai titolari", e una seconda: "Ti premia sempre: presentandola alle casse, puoi accumulare i tuoi acquisti per raggiungere le soglie C.Più e C.Oro e usufruire di ulteriori sconti". Nella sezione accessibile attraverso il link "C.card carta di pagamento" è visibile una immagine del tutto identica a quella riportata nella sezione "C.card". La parte linguistica è composta da un primo paragrafo dal titolo "Tutti i vantaggi di coincard più la libertà di pagamento!", ove si afferma che "C.card carta di pagamento (…) ti permette di godere di tutti i privilegi C.card e in più di fare shopping in tutta serenità, scegliendo la modalità di pagamento che preferisci". Nel secondo paragrafo si dice che il titolare può utilizzare la carta "nei Negozi C. d’Italia (…) scegliendo, di volta in volta (…) tra fantastiche opportunità di pagamento: A saldo; con comodi rimborsi mensili o addirittura a tasso 0". A tali modalità sono poi dedicate altre sottosezioni della pagina, nelle quali, a proposito del "Pagamento con rimborsi mensili" si dice che il pagamento di quanto acquistato avverrà "sempre tanto al mese, con rate piccole piccole, pari al 5% del tuo fido e con un tasso mensile del 1, 37%", riportandosi, in nota, il TAN e il TAEG annui. Quanto al pagamento a tasso zero, è detto: "Se fai shopping per almeno 150 euro in unico scontrino puoi pagare in 3 mesi; per acquisti superiori ai 300 euro in 6 mesi; per acquisti superiori a 500 euro, in 10 mesi, sempre a tasso 0". Di seguito è presente un paragrafo con le modalità per richiedere la carta, nel quale quest’ultima è individuata come "C.card" – senza alcuna specificazione – e, analogamente, di seguito è detto che è possibile richiedere "C.card anche per i tuoi familiari". In chiusura di pagina, è riportato il paragrafo "PRESENTA SEMPRE LA TUA C. ALLE CASSE!", nel quale si legge un messaggio del tutto identico a quello presente nella pagina "C.card". Nella sezione denominata "FAQ", il professionista fa correntemente riferimento alla C.card carta di credito definendola non più "C.card carta di pagamento", bensì "C.card" tout court, usando, invece la denominazione "C.card Easy" per individuare la versione carta di fidelizzazione.

Nel pieghevole in atti (…) sono presenti informazioni analoghe a quelle riportate nelle pagine web sopra descritte. Anche in tale caso, il primo messaggio che raggiunge il lettore, aprendo il leaflet, è un messaggio che associa alla titolarità di "C.card" la possibilità di accedere ad una serie di "vantaggi esclusivi", tra i quali figurano sconti – riservati ai titolari, ovvero ai titolari che raggiungano determinate soglie di spesa annue – nonché servizi specifici, quali parcheggio agevolato, modifiche sartoriali dei capi acquistati, consegna a domicilio, ecc.. Procedendo nell’apertura del documento, compaiono quattro pagine nelle quali sono riprodotte le sezioni del sito dedicate rispettivamente a "C.card" e a "C.card Carta di Pagamento" con, in chiusura, l’invito: "Presenta sempre la tua C.card alle casse".

Né le descritte pagine web, né il pieghevole, specificano l’identità del soggetto che fornisce i servizi finanziari associati alla titolarità della "C.card carta di pagamento"".

3.2. Secondo l’Autorità, la sezione del sito www.C..it dedicata alla C.card, "contiene informazioni idonee ad indurre in errore il consumatore medio in ordine alla stessa esistenza di due diverse tipologie di carta, nonché in ordine alle differenze intercorrenti tra le stesse, e allo stesso tempo omette di fornire informazioni rilevanti. Rileva, in tal senso, la stessa adozione di una unica denominazione "C.card" per identificare la sezione nella quale il professionista intende fornire informazioni relative ad entrambe le tipologie di carta. D’altro canto, la denominazione unica attribuita alla sezione del sito, rispecchia l’utilizzo della stessa denominazione "C.card" ora per individuare la carta di credito, ora per individuare la carta di fidelizzazione. Nella pagina di apertura, infatti, il termine "C.card" è utilizzato per individuare in maniera indifferenziata entrambe le versioni: ciò è attestato dal fatto che nella descrizione dei contenuti alcuni servizi certamente riconducibili alla funzione di fidelizzazione ("occasioni speciali, servizi gratuiti") figurano accanto alla indicazione "pagamenti personalizzati", evidentemente ottenibili solo attraverso le funzioni finanziarie associate alla carta di credito. Ma un deficit di chiarezza caratterizza anche le sottosezioni dedicate alle due diverse versioni della carta. La sottosezione dedicata alla Fidelity Card, infatti, è accessibile mediante collegamento ipertestuale costituito dal fonema "C.card", mentre la pagina dedicata alla carta di credito risulta individuata dal sintagma "C.card carta di pagamento". Nella sottosezione dedicata alla prima, però, oltre ad essere presente l’immagine di una carta caratterizzata dall’area destinata ad accogliere l’ologramma della finanziaria (evidentemente riservato alla sola carta di credito), la carta è individuata talvolta come "C.card", talaltra, come "C.card Easy", mentre la carta di credito, nella relativa sottosezione, è individuata ora come "C.card carta di pagamento", ora come "C.card" ("C.card, richiederla è veramente facile", "puoi richiedere gratuitamente C.card per i tuoi familiari")".

L’Autorità prosegue evidenziando che "sotto il profilo contenutistico, poi, l’informazione rinvenibile nella sottosezione di apertura delle pagine dedicate a C.card, riconduce ad unità le caratteristiche delle due funzioni associate (o associabili) alla carta, nell’ambito di un messaggio che tende ad esaltare i concetti di "vantaggio esclusivo" e di "privilegio", che sarebbero assicurati dalla titolarità della carta. Tale presentazione, probabilmente consona alle caratteristiche della Fidelity Card, risulta invece ingannevole se rapportata ad una carta di credito, la quale garantisce al titolare – in conformità con quanto previsto dal contratto stipulato con l’intermediario – di poter fruire di determinati servizi di natura finanziaria, ma certamente non di vantaggi né di privilegi.".

Relativamente al pieghevole, l’Autorità ha evidenziato che "come esso presenti in larghissima parte gli stessi testi e le stesse immagini utilizzati per la realizzazione del sito (…). Le medesime considerazioni sopra svolte in relazione all’ingannevolezza delle indicazioni contenute nelle pagine web, pertanto, possono essere riferite anche al leaflet.".

3.3. Reputa il Collegio che le valutazioni dell’Autorità, in ordine al complessivo deficit di chiarezza informativa circa i tratti distintivi delle due carte commercializzate, siano esenti dalle critiche sviluppate da C..

La società ha in particolare sostenuto che un consumatore medio svolge una "valutazione di insieme" delle informazioni riportate nelle varie sezioni del sito web (ovvero nel pieghevole) e che, pertanto, sulla base di tale complessiva visione, mai potrebbe determinarsi l’effetto confusorio stigmatizzato dall’Autorità, tra carta di credito e semplice carta di fidelizzazione.

3.3.1. Ricorda il Collegio che, effettivamente, costituisce ormai consolidato orientamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, quello secondo cui le affermazioni riportate in una pagina web vadano decodificate con riferimento al contenuto dell’intero sito, salvaguardando, dunque, la tendenziale unicità del messaggio.

L’Autorità ha però contemporaneamente osservato che le informazioni di fondamentale importanza per i consumatori, ai fini della valutazione della convenienza dell’offerta, debbano comunque essere rese loro disponibili fin dal primo contatto pubblicitario (cfr., ad esempio, tra i precedenti più risalenti, i procedimenti PI3527 Tirrenia Tariffe Ponte del 13.12.2001 e PI 3268 Poste Italiane – Posta Celere del 31.5.2001).

Vale a dire che sebbene, in linea di principio, l’elaborazione di pagine web si presti, più agevolmente rispetto ad altri mezzi di comunicazione, ad un’informazione completa ed esauriente, l’analisi della correttezza della comunicazione commerciale va, anche in tali ipotesi, effettuata caso per caso, attraverso un’attenta analisi della struttura del sito, non potendosi escludere che, accanto a consumatori particolarmente smaliziati, in grado di accedere ad ogni informazione ivi presente, ve ne siano altri che, invece, si fermeranno al primo livello, senza sapere effettuare ulteriori approfondimenti.

Appare emblematico, al riguardo, il caso in esame, in cui non solo la pagina iniziale reca un’indicazione di per sé fuorviante, attesa l’unicità di denominazione relativa ad un’offerta, caratterizzata, invece, da due distinte tipologie di prodotto, ma anche le sezioni "dedicate" perpetuano (in particolare attraverso l’insistito riferimento ai "privilegi" e ai "vantaggi esclusivi" dedicati ai titolari), tale deficit informativo.

La consultazione di tali "sottosezioni", ovvero le (invero minime) differenze grafiche tra le due carte, appaiono peraltro inidonee, a parere del Collegio, a depotenziare l’autonoma valenza decettiva del claim principale (nelle sue diverse declinazioni) attraverso il quale la C.card è sostanzialmente presentata come un’iniziativa unica, nella quale risultano associate sia la funzione di fidelizzazione che quella di pagamento.

Tale omissione informativa fa, in definitiva, aggio su qualsivoglia chiarimento circa la reale consistenza delle offerte, ancorché resa accessibile attraverso la consultazione, più o meno articolata, di link ipertestuali.

Al riguardo, è consolidato orientamento della Sezione, già formatosi in tema di pubblicità ingannevole, quello secondo cui il legislatore ha inteso salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore sin dal primo contatto pubblicitario, imponendo dunque al professionista un particolare onere di chiarezza nella propria comunicazione di impresa.

L’ingannevolezza del messaggio non è pertanto esclusa dalla possibilità che il consumatore sia posto in condizione, prima della stipula del contratto, di conoscere in dettaglio tutti gli aspetti che lo caratterizzano, in quanto la verifica condotta dall’Autorità riguarda il messaggio pubblicitario in sé, e, pertanto, la sua idoneità a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che l’operatore renda disponibili a "contatto" già avvenuto, e quindi, ad effetto promozionale ormai prodotto.

Relativamente, poi, alla tecnica del rinvio ad un link ipertestuale, la stessa, a parere del Collegio, risulta idonea ad escludere la decettività del messaggio solo ove risultino chiaramente percepibili, sin dalla prima pagina del sito web (o, comunque, sin dal primo livello di navigazione) le caratteristiche essenziali dell’offerta.

Va ancora soggiunto, al riguardo, che l’Autorità non ha inteso conculcare l’organizzazione di impresa di C., ovvero escludere la possibilità che anche ad una carta di pagamento possa essere associata una funzione di fidelizzazione, quanto stigmatizzare la complessiva ambiguità nella presentazione di una iniziativa commerciale inerente a due servizi assai differenti tra loro (anche in relazione al tipo di impegno richiesto al consumatore).

In proposito, vi è una netta divergenza tra il modello del "consumatore medio" quale individuato dall’Autorità e quale, invece, assunto da C. quale punto di riferimento della propria comunicazione commerciale.

3.3.2. Il modello del c.d. "consumatore medio", ragionevolmente attento ed avveduto, si ritrae dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di pubblicità ingannevole, (cfr., per tutte, la sentenza del 13 gennaio 2000, causa C220/98, Estée Lauder).

Tale modello è stato successivamente recepito dall’ordinamento comunitario ed esteso, dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, a tutta la gamma delle condotte dalla stessa considerate.

Esso appare sostanzialmente ispirato dal principio di proporzionalità in quanto idoneo ad operare un effettivo bilanciamento tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale.

L’individuazione di siffatto modello non può conseguire ad una valutazione condotta in termini meramente statistici o empirici, dovendo invece essere presi in considerazione fattori di ordine sociale, culturale ed economico, fra i quali, in particolare, va analizzato il contesto economico e di mercato nell’ambito del quale il consumatore si trova ad agire.

Nel ricorso, pare invero suggerirsi l’idea che, essendo ormai il credito al consumo esperienza estremamente diffusa tra il pubblico, si sia correlativamente erosa l’asimmetria informativa in tale ambito notoriamente esistente, con ciò trascurandosi, però, che il settore in esame si caratterizza, in realtà, per l’offerta di prodotti sempre più raffinati e complessi, oltre ad interessare una larghissima platea di potenziali consumatori, all’interno della quale non è ragionevolmente predicabile un elevato e diffuso grado di informazione (cfr. TAR Lazio, sez. I^, sentenza 19 maggio 2010, n. 12277).

Il richiamo al modello del consumatore medio, ove posto in rapporto alla peculiarità del settore in esame, non esclude perciò che adeguata tutela debba essere assicurata anche ai consumatori meno smaliziati, in quanto presumibilmente, sono proprio costoro gli utenti "medi" dei servizi oggetto della pratica.

Al riguardo, appare poi assai pertinente il rilievo della difesa erariale, secondo cui, in realtà, il target di riferimento della carte (di mera fidelizzazione, ovvero anche di pagamento), commercializzate attraverso le strutture di vendita del tipo in esame, sono in realtà proprio i consumatori alla ricerca di beni di consumo, e non già di prodotti finanziari, in relazione ai quali, pertanto, non può ragionevolmente predicarsi un grado di conoscenza idoneo a discernere le caratteristiche delle diverse offerte pubblicizzate.

4. Relativamente alla contestazione sub b) della comunicazione di avvio del procedimento, le risultanze istruttorie hanno messo in luce che i servizi finanziari offerti al titolare della carta di credito "si sostanziano nella possibilità di utilizzare la carta quale strumento di pagamento dei beni acquistati presso i punti vendita C., salvo procedere al rimborso delle somme anticipate dalla finanziaria, secondo diverse modalità la cui scelta è rimessa al cliente". Le modalità di rimborso opzionabili sono le seguenti: a) modalità a saldo, consistente nel pagamento mediante accredito dilazionato al 15 del mese successivo a quello degli acquisti; b) modalità a tasso zero consistente nella possibilità di dilazionare il pagamento in 3, 6 o 10 rate a seconda dell’importo; c) modalità revolving, ossia mediante pagamento di rate mensili di importo minimo concordato e con interessi su base mensile. Il titolare della carta è chiamato ad esprimere, in sede di richiesta di emissione della carta, la preferenza per una tra le sopra riportate modalità di rimborso, salva la possibilità di scegliere quella preferita di volta in volta, in occasione dei singoli utilizzi della carta. L’Autorità ha in particolare riscontrato che "con la compilazione del modulo contrattuale in uso presso i punti vendita C. per la richiesta della carta, il consumatore richiede l’apertura di una linea di credito", sulla quale gravano tutti gli utilizzi della carta, quale che sia la modalità di rimborso prescelta. Più nel dettaglio, fermo che la linea di credito "viene di volta in volta ricostituita all’atto e per un importo pari a quello rimborsato", con specifico riferimento alla modalità "revolving", per essa "viene applicato un sistema di ammortamento c.d. alla francese il quale prevede che ciascuna rata sia imputata a capitale e a interessi e che il rapporto tra l’uno e gli altri vari per ogni rata. Il piano di ammortamento è soggetto, inoltre, a variare di mese in mese in relazione agli utilizzi della carta in modalità revolving, nonché in relazione alla possibilità che il titolare effettui versamenti di importo superiore a quello della rata concordata. Solo la quota capitale ricostituisce la disponibilità di spesa di cui alla linea di credito" Dagli accertamenti istruttori è altresì emerso come sulla linea di credito aperta contestualmente alla emissione della carta di credito – e sulla quale insistono gli utilizzi di quest’ultima – sia possibile operare con modalità che prescindono dall’uso della carta: "ad esempio, su richiesta del consumatore ovvero a seguito di una offerta commerciale della finanziaria, possono essere concessi prestiti a valere sulla linea di credito, i cui importi possono essere accreditati mediante bonifico sul conto corrente bancario del titolare".

4.1. Nelle "Valutazioni conclusive", l’Autorità ha ritenuto che le espressioni contenute tanto nelle pagine web quanto nel pieghevole non siano idonee ad informare adeguatamente il consumatore medio sulla natura di quello che viene definito "Pagamento con rimborsi mensili".

In particolare, viene rilevata la mancata utilizzazione del termine "revolving". L’Autorità ritiene infatti che "tale qualificazione, se usata, avrebbe consentito ai consumatori al corrente del relativo significato di percepire con immediatezza i caratteri principali della modalità di rimborso in considerazione. Per contro, la mancata utilizzazione può indurre gli stessi soggetti a ritenere di trovarsi di fronte a caratteristiche diverse da quelle note. Più in generale, il riferimento al concetto di "fido" contenuto nel messaggio, appare del tutto insufficiente e inadeguato. A tale proposito si osserva che tale concetto non appare rientrare tra le nozioni correntemente padroneggiate dal consumatore medio".

In particolare "l’aver relegato il riferimento al "fido" nell’ambito dell’informazione sulle modalità di determinazione delle rate, risulta inidoneo sia a richiamare adeguatamente l’attenzione del consumatore sulla circostanza che la concessione della carta di credito implica l’apertura di una linea di credito, sia ai fini di una esaustiva informazione sul quantum della rata che lo stesso andrà ad impegnarsi a pagare. A proposito della mancata informazione in ordine all’apertura di una linea di credito, essa rileva anche in rapporto alla circostanza, accertata in istruttoria, secondo la quale la linea di credito è suscettibile di utilizzazioni diverse rispetto al pagamento con la carta di credito presso i soli punti vendita C.. Un’adeguata informazione sul punto, infatti, varrebbe a rendere edotto il consumatore di ulteriori e più ampie opportunità di utilizzo dello strumento finanziario in considerazione.

Manca, inoltre, qualsiasi precisazione in ordine al fatto che il pagamento delle singole rate ricostituisce il fido, nonché la precisazione che tale effetto viene prodotto solo per un importo pari alla quota capitale della singola rata".

4.2. Il Collegio reputa fondati i rilievi di C. circa la correttezza della scelta di omettere l’utilizzo del termine "revolving" nella fase di promozione della carta di pagamento.

Osserva, in particolare, che, in fattispecie del tutto analoghe a quella in esame (ad esempio, PS/2760, Carta Auchan – Accord), oggetto di analisi nella già cit. sentenza n. 12277/2010), ha sostanzialmente escluso che siffatto termine possa avere carattere autoesplicativo (essa stessa traducendolo con l’espressione "rimborso con rate mensili").

Appare dunque singolare che, nel caso oggi in rilievo, l’Autorità stigmatizzi la mancata utilizzazione di un termine che non forma certo oggetto del patrimonio di conoscenze del consumatore medio (modello al quale, come più volte ricordato, ha riguardo l’art. 20 del Codice del Consumo),

Vero è invece che l’espressione "pagamento con rimborsi mensili" ovvero "fido" siano, dallo stesso, più agevolmente percepibili

Ciò posto, reputa tuttavia il Collegio che, come evidenziato dall’Autorità, C. abbia omesso, nella fase promozionale, di fornire una informazione completa circa la modalità di funzionamento della linea di credito rotativa, nonché sul quantum della rata che il consumatore andrà ad impegnarsi a pagare, a tanto non essendo sufficienti né l’esemplificazione contenuta nel sito web e nel pieghevole, né le informazioni contenute nella documentazione contrattuale disponibile presso i punti vendita C..

Al riguardo, si rinvia alla consolidata giurisprudenza della Sezione, già richiamata, secondo cui l’illecito consumeristico in esame è un illecito di pericolo, e, pertanto, la condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle più volte riportate disposizioni del Codice del Consumo, "non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole (per le ragioni dei consumatori), quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva (per le scelte che questi ultimi, altrimenti, sono legittimati a porre in essere fuori da condizionamenti e/o orientamenti decettivi) che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito (non già di danno) ma di mero pericolo" in quanto intrinsecamente idonea a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (sentenza n. 3722 dell’8 aprile 2009).

La normativa in materia non ha, infatti, la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa a salvaguardarne, in primo luogo, la libertà di autodeterminazione, e, pertanto, a prevenire indirettamente distorsioni del funzionamento del mercato concorrenziale, sin da una fase ampiamente prodromica rispetto all’effettiva instaurazione del rapporto negoziale.

Con particolare riguardo all’incidenza economica del prezzo di beni e servizi, secondo la, ormai consolidata giurisprudenza della Sezione (cfr., ad. esempio, la sentenza n. 8396 dell’8.9.2009), se, in linea di massima, è "l’omissione di alcuno degli elementi da cui dipende il prezzo del servizio pubblicizzato che può indurre in errore il consumatore e rendere ingannevole il messaggio con riguardo a tale profilo, anche le sole modalità di presentazione del prezzo possono sortire tale effetto e quindi porsi in contrasto con l’ampia previsione della norma richiamata, in particolare quando il messaggio pubblicitario enfatizza non il prezzo finale ed effettivo, ma un prezzo base a cui si aggiungono ulteriori costi ed oneri, e il prezzo finale ed effettivo non risulta di chiara e immediata percezione da parte del consumatore, per la macchinosità del calcolo o per la non agevole percezione delle relative informazioni.".

E’ infatti noto che gli slogan pubblicitari vengono letti velocemente, e che, sulla base di tale comune nozione di psicologia, i pubblicitari modellano le proprie strategie di comunicazione.

Inoltre, "non è l’articolazione del prezzo o della tariffa, che è connaturata alla natura del bene o del servizio offerto e che obbedisce ad una autonoma scelta imprenditoriale, a rendere ingannevole il messaggio pubblicitario, ma la scelta di enfatizzare un prezzo base che non corrisponde al prezzo finale ed effettivo, e che può indurre in errore il consumatore quando non si accompagni a modalità di presentazione del messaggio complessivo che consentano una precisa e immediata percezione del prezzo finale ed effettivo" (così TAR Lazio, I, 16 gennaio 2008, n. 276; id., 16 gennaio 2008, n. 277; id., 21 gennaio 2002, n. 633).

Anche nel caso in esame, appare dunque ragionevole nonché conforme alle attuali disposizioni in materia di pratiche commerciali sleali, la determinazione dell’Autorità di ritenere ingannevoli iniziative promozionali che rendano difficoltoso al consumatore percepire la reale convenienza economica dell’offerta, ovvero l’incidenza della spesa che egli dovrà effettivamente affrontare.

5. Con riferimento alla condotta sub c) della comunicazione di avvio, relativo all’informativa carente e/o inadeguata circa le modalità di utilizzo della carta di pagamento, l’Autorità ha in particolare osservato che "Non è infatti di immediata evidenza la possibilità di mantenere scisse le due funzioni, di talché il consumatore medio ben potrebbe essere indotto a ritenere che la partecipazione ai programmi di fidelizzazione è subordinata e vincolata all’uso della carta nella sua funzione di strumento di pagamento. E’ poi qualificabile come informazione ingannevole l’invito, riprodotto senza alcuna differenziazione in calce sia alla sottosezione (tanto del sito web che del pieghevole) dedicata alla Fidelity Card, sia alla sottosezione dedicata alla carta di pagamento, a presentare "sempre la tua C.card alle casse". In specie, nella sottosezione dedicata alla carta di pagamento, tale invito è inserito in un contesto che ha ad oggetto esclusivo la funzione di pagamento. relativo alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento (sub punto c) nella comunicazione di avvio del procedimento). In tal senso rileva la mancanza di puntuali informazioni in ordine alla possibilità riconosciuta al consumatore di esibire la carta di credito alla cassa, precisando che intende però pagare con strumento diverso (contante, assegno, altra carta di credito, ecc.). Non è infatti di immediata evidenza la possibilità di mantenere scisse le due funzioni, di talché il consumatore medio ben potrebbe essere indotto a ritenere che la partecipazione ai programmi di fidelizzazione è subordinata e vincolata all’uso della carta nella sua funzione di strumento di pagamento.".

5.1. Anche in questo caso, appaiono condivisibili i rilievi dell’Autorità circa il deficit informativo in cui C. è incorsa, segnatamente con riguardo alla possibilità di mantenere scisse le due funzioni associate nella carta di pagamento.

Al riguardo, è sufficiente rinviare a quanto in precedenza argomentato relativamente all’impossibilità di ricostruire, da parte del consumatore medio, un’informazione di insieme, pertinente al "contesto" nel quale è stata resa, così come invece pretende parte ricorrente.

Inoltre, non appaiono persuasive le argomentazioni secondo cui C. non avrebbe omesso alcuna informazione rilevante, e che, comunque, la società non avrebbe interesse a "spingere" l’utilizzo della carta di pagamento a scapito della carta fedeltà.

Essa sembra dimenticare, infatti, che la commercializzazione delle carte emesse da F. costituisce l’oggetto di uno specifico accordo di partnership tra le due società, soddisfacendo ad un tempo l’interesse di tutti i soggetti coinvolti nella organizzazione e realizzazione dell’iniziativa, nell’ambito della quale, deve aggiungersi, la messa a disposizione della rete distributiva di C. costituisce il punto focale, in considerazione della notoria forza di attrazione che simili strutture esercitano sul pubblico dei consumatori.

6. Relativamente alla mancata indicazione del soggetto finanziatore, ed in particolare all’alterità di tale soggetto rispetto a C., non occorre, invero, spendere molte parole per comprendere il rilievo assunto da tale informazione, ove si consideri che, come rettamente messo in luce dalla difesa erariale, il target di riferimento dell’iniziativa promozionale in esame non è il consumatore specificamente interessato all’erogazione di servizi finanziari, bensì l’indifferenziata platea di soggetti che viene attratta dalla molteplicità e varietà dei beni (materiali) commercializzati attraverso la capillare rete di vendita di cui la ricorrente dispone.

A tale carenza informativa, non può ovviamente sopperire né la generica indicazione circa la necessità, ai fini dell’attivazione della carta di pagamento, dell’ "approvazione della finanziaria", né, per quanto in precedenza ampiamente argomentato, la vera e propria documentazione contrattuale resa disponibile solo nei punti vendita.

7. Con specifico riferimento agli addebiti relativi alla fase pre – contrattuale di raccolta delle richieste di emissione della carta di pagamento, C. ha in primo luogo sostenuto che la redazione dei moduli necessari a tal fine, ricade nell’esclusiva responsabilità di F., quale soggetto operante nel campo dell’intermediazione finanziaria.

Al riguardo, appare opportuno richiamare la definizione offerta dal Codice del Consumo, secondo cui per "professionista" si intende "qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista" e per "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori" qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La definizione adottata dal legislatore è dunque estremamente ampia, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività d’impresa "finalizzata" alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o di un servizio.

In tal senso, rileva perciò anche l’attività di un operatore "intermedio", in quanto idonea ad incidere sulla libertà di scelta e di autodeterminazione del consumatore.

A ciò si aggiunga che, secondo quanto già rilevato dalla Sezione (cfr. le sentenze, nn. 10464/08, 10465/08, e 10468/08 del 20.11.2008; 15 giugno 2009, n. 5920, Fatturazione per chiamate satellitari; 15 giugno 2009, n. 5628, Sms messaggi in segreteria), anche nell’ambito dell’illecito c.d. consumeristico è possibile configurare, "alla luce tanto dei principi generali di diritto punitivo, quanto in particolare, dell’art. 5 della l. 24 novembre 1981, n. 689, un’ipotesi di concorso di persone nell’illecito amministrativo", ben potendo l’imputazione di responsabilità reggersi giuridicamente "allorché risulti, in concreto, che tale soggetto abbia in realtà con il suo contegno contribuito a porre in essere la condotta sanzionata". Nel caso di specie, l’Autorità ha rilevato che "C.card è una carta di credito cobranded, frutto di una iniziativa congiunta realizzata da C. S.p.A. e F. S.p.A. in forza di un accordo stipulato tra le stesse Società il 3 giugno 1997 e successivamente più volte modificato e aggiornato". E’ altresì emerso che tale carta "è una carta c.d. "privativa", intendendosi con tale termine identificare le carte utilizzabili solo nei punti vendita aderenti ad una medesima organizzazione commerciale, e che la stessa carta consente di partecipare a programmi di fidelizzazione ideati e realizzati da C., che prevedono la prestazione, a favore del titolare, di alcuni servizi dedicati, agevolazioni, sconti, ecc..".

Ha poi sottolineato "la piena consapevolezza del professionista in ordine alla natura finanziaria del prodotto proposto ai propri clienti, nonché, con specifico riferimento al materiale promozionale, la circostanza riferita da F. e non smentita da C., che lo stesso risulta essere stato predisposto da quest’ultima e, comunque, è stato diffuso ad opera della stessa Società (sul suo sito internet, ovvero all’interno dei suoi punti vendita).".

Ora, appare al Collegio evidente che, essendo la commercializzazione delle carte emesse da F. l’oggetto di uno specifico accordo di partnership tra le due società, ciascuna di esse, nel rispettivo settore di attività, abbia in apportato un pari contributo causale alla realizzazione dell’illecito.

Ad ogni buon conto, nella valutazione del grado di diligenza professionale richiesto ai due operatori, ai fini della quantificazione della sanzione, l’Autorità ha adeguatamente differenziato la posizione di C., proprio in considerazione del fatto che essa non è attiva nel settore dei servizi finanziari, così come, viceversa, ha ravvisato una forma di responsabilità, c.d. editoriale, nel comportamento di F. che non ha operato alcun controllo sul materiale promozionale predisposto e diffuso dal partner.

7.1. Relativamente alla fase pre – contrattuale in esame, l’Autorità, valorizzando quanto dichiarato dalla stessa C. "a detta della quale i modelli contrattuali sono a disposizione del potenziale cliente e vengono consegnati a chi ne faccia richiesta", ha dedotto, al contrario, che "l’Avviso "Principali Norme di Trasparenza", il Foglio Informativo, il Documento di Sintesi e le Condizioni Generali di Contratto, non vengono consegnati sistematicamente (nei casi di raccolta manuale delle richieste di emissione) prima della sottoscrizione a tutti i potenziali clienti, ma solo a quelli che ne facciano richiesta, essendo prevista per gli altri, sempre secondo quanto affermato da C., la consegna "contestualmente alla sottoscrizione della proposta contrattuale" (…) Ciò nondimeno, tutti i sottoscrittori del modulo cartaceo sono tenuti a dichiarare (…) "di aver ritirato" copia di tali documenti."

In disparte ogni valutazione sulla applicabilità al caso di specie della normativa di settore – la quale, stando a quanto affermato nel provvedimento, prevede, in caso di offerta fuori sede, non già il semplice obbligo di "mettere a disposizione", bensì di "consegnare al cliente, prima della conclusione del contratto, l’avviso contenente le "principali norme di trasparenza" e il foglio informativo" – l’Autorità ha messo in rilievo, quale profilo critico specifico sotto il profilo della correttezza del protocollo di acquisizione del consenso, che "si dà per acquisito, al punto di farne oggetto di una espressa dichiarazione contrattuale, che vi sia stata una attività informativa da parte del professionista che, al contrario e per espresso riconoscimento della parte, all’atto dell’apposizione della firma, ancora non è stata svolta o può non essere stata svolta (…).".

7.1.1. Il Collegio osserva che le difese di parte ricorrente, al riguardo, operano la stessa sovrapposizione, stigmatizzata dall’Autorità, tra la fase meramente promozionale dell’iniziativa oggetto di esame e il segmento immediatamente preliminare alla stipula del contratto.

A tal fine, non è invero sufficiente, come sembra ritenere C., che la documentazione contrattuale sia "messa a disposizione" di ogni potenziale cliente ma è necessario – indipendentemente dall’esistenza di una specifica disciplina di settore (all’epoca rappresentata dalla delibera CICR del 4.3.2003, successivamente dal Provvedimento della Banca d’Italia del 29.7.2009, oggi dalla disciplina di cui al d.lgs.141/2010 e dalla modifiche dallo stesso apportate al t.u. bancario, d.lgs. n. 385 del 1993, nella parte relativa al credito al consumo, con significativo riguardo proprio agli obblighi di carattere precontrattuale) – che, prima della effettiva conclusione del contratto, vengano consegnate al cliente le informazioni necessarie al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione del contratto di finanziamento.

L’Autorità, nel caso in esame, ha in particolare censurato la specifica clausola del modulo di richiesta in cui il consumatore è chiamato ad attestare che siffatta attività informativa da parte del professionista vi è effettivamente stata, mentre al contrario, come confermato anche in sede di ricorso, detta attività "ancora non è stata svolta o può non essere stata svolta".

Va ancora soggiunto che il deficit informativo riscontrato nelle procedure di acquisizione del consenso, non risulta colmato né dalle istruzioni fornite agli operatori presenti nei punti vendita né dalla consegna della documentazione contrattuale all’atto della vera e propria stipula.

Da un lato, le indagini svolte dall’Autorità hanno messo in luce che tali istruzioni "risultano incentrate sui profili strettamente operativi, senza che in esse figuri alcun riferimento alla necessità che il richiedente l’emissione della carta sia preventivamente edotto in ordine agli aspetti finanziari del prodotto e alle implicazioni giuridiche della sottoscrizione della domanda di emissione". Dall’altro, la consegna della documentazione contrattuale all’atto della stipula non consente di avere alcuna certezza circa l’effettiva consapevolezza acquisita dal consumatore prima dell’assunzione del vincolo contrattuale.

Per quanto occorrer possa, relativamente all’argomentazione secondo cui le informazioni richieste dall’Autorità non sono previste dalla disciplina di settore, si osserva quanto segue.

In primo luogo, come già più volte evidenziato dalla Sezione, non vi è dubbio alcuno sul fatto che l’Autorità competente, esplicitamente individuata dallo Stato italiano "per l’applicazione del regolamento 2006/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori, nei limiti delle disposizioni di legge" (art. 27, comma 1, del Codice del Consumo), sia l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

E’ bene anche precisare che, ai fini del regolamento in esame, per "norme sulla protezione degli interessi dei consumatori" si intendono le direttive "elencate nell’allegato e recepite nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri" (art. 3, comma 1, lett. a).

Tra di esse figura l’intera direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, recepita dall’Italia con i più volte citati decreti legislativi nn. 145 e 146/2007.

Attraverso l’attività di contrasto alla pratiche commerciali sleali, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato tutela in maniera diretta la libertà di autodeterminazione dei consumatori e, indirettamente, l’interesse pubblico alla realizzazione di un mercato pienamente efficiente e concorrenziale.

Nel caso di specie, parte ricorrente si è richiamata al complesso di norme, contenute nel d.lgs. n. 385 del 1993, che disciplinano il credito al consumo, con particolare riguardo agli obblighi di trasparenza che gravano sugli intermediari finanziari, nonché ai controlli esercitati, in materia, dalla Banca d’Italia.

Tali disposizioni debbono tuttavia essere raccordate alla specifica finalità dell’attività di vigilanza affidata alle autorità creditizie, che è principalmente quella di garantire la "sana e prudente gestione dei soggetti vigilati", la "stabilità complessiva" nonché l’efficienza e la competitività del sistema finanziario, unitamente all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia (art. 5, comma 1, Tub).

L’interesse pubblico primario affidato all’Autorità di settore riguarda dunque la conformazione del mercato del credito (in particolare attraverso i poteri di vigilanza, di regolazione, o anche solo di moral suasion) ai suindicati obiettivi di stabilità, di competitività e di efficienza.

E’, pertanto, alla luce di tale essenziale funzione che debbono essere interpretate le norme in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali, poste a tutela degli utenti finali nonché quelle, eventualmente elaborate dalle Autorità creditizie, a completamento di siffatta disciplina.

L’Autorità di settore delinea, ex ante, il "quadro" degli obblighi specificamente gravanti sugli operatori vigilati, ma non possiede, a parere del Collegio, alcuna competenza in ordine alla definizione del modello di "professionista diligente", ricavabile dal Codice del Consumo, ed applicato di volta in volta, nella fattispecie concrete, dall’Autorità antitrust.

E’ bene anche ricordare che le due Autorità, antitrust e di settore, sebbene perseguano entrambe, in via diretta o servente rispetto alla cura dell’interesse pubblico primario di cui sono titolari, la tutela del consumatore, lo fanno attraverso strumenti del tutto diversi.

Di talché alcuna sovrapposizione può realmente esservi, se non nell’ipotesi in cui l’intervento dell’Autorità antitrust non si limiti a sanzionare, in concreto, una pratica sleale, ma finisca con l’introdurre, surrettiziamente, misure di tipo regolatorio rientranti nelle prerogative dell’Autorità di settore.

In sostanza, le due Autorità sono fisiologicamente destinate ad operare in maniera complementare, posto che se – come già più volte rilevato dalla Sezione – l’esistenza di un quadro regolatorio evidenzia l’elevato grado di professionalità richiesto alle imprese operanti nel settore, tale disciplina, tuttavia, non esaurisce ogni possibile regola di comportamento esigibile dalle imprese medesime a tutela della libertà di scelta e di autodeterminazione del consumatore.

Anche il procedimento in esame, come ormai i numerosi altri esaminati dalla Sezione (cfr., in particolare, le sentenze nn. 5625, 5627, 5628 e 5629 del 15 giugno 2009, nonché n. 6446 del luglio 2009, caso PS24/Fatturazione per chiamate satellitari; n. 8399 dell’8 settembre 2009, caso PSI1874/Enel/Energia/Bolletta gas; n. 8400 dell’8 settembre 2009, caso PSI/Prezzi bloccati elettricità), è dunque un esempio di come il nuovo quadro di tutela offerto dal Codice del Consumo venga ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale (attivabili dai singoli), dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione.

Le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità stessa di tutela perseguita dal Codice del Consumo, purché, ovviamente, siffatte condotte siano dagli stessi concretamente esigibili, in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale, secondo la logica alla base del modello, pur esso di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio.

Nel caso in esame, è ad esempio evidente che, pur non essendo incorsa in specifiche violazioni della normativa di settore, le società F. e C. non hanno, con sufficiente grado di diligenza, tutelato il consumatore medio, per avere omesso di adottare non già complicati accorgimenti, quanto di seguire elementari regole di prudenza e di chiarezza nelle procedure di acquisizione della clientela nonché nella fase di promozione dei servizi di rispettivo interesse.

Per converso, la circostanza che l’Autorità di settore non avesse, all’epoca dell’istruttoria svolta da AGCM, dettato specifiche prescrizioni relativamente alla forma di credito al consumo in esame (ad oggi, significativamente incrementate dalla stessa normativa primaria di cui al d.lgs. 141/2010, in precedenza menzionato), non denota, a parere del Collegio, l’insufficienza di tali regole, quanto la necessità di un intervento "parallelo" e complementare dell’Autorità antitrust, convergente, come già chiarito, nel medesimo obiettivo finale di tutela del consumatore.

In particolare, nel rilevare l’ambiguità e la scarsa chiarezza del materiale promozionale e della documentazione predisposta al fine dell’attivazione della carta di credito, nonché l’assenza di una sistematica attività informativa preliminare alla stipulazione del contratto, essa non ha inteso sostituirsi all’Autorità di settore, ma ha esercitato una competenza sua propria, di valutazione della complessiva correttezza del comportamento del professionista sul mercato, sulla base degli obblighi di "protezione" delineati dal d.lgs. n. 206/2005.

7.2. L’Autorità ha poi esteso l’indagine all’ulteriore clausola con cui il consumatore è chiamato ad attestare l’esercizio del "diritto di ottenere copia del contratto idonea per la stipula", ritenendo che la formulazione del modulo sia idonea ad ostacolare l’esercizio di tale diritto "nella parte in cui è detto (tra parentesi) che "nel caso non sia indicato nulla, s’intenderà che il Cliente non si è avvalso del diritto in parola".

Secondo l’Autorità, tale ultima previsione consente all’addetto alla raccolta delle proposte contrattuali di non richiamare espressamente l’attenzione del sottoscrittore sul contenuto della clausola, "come sarebbe invece necessario in caso di mancanza di espressa presunzione di non esercizio collegata alla mancata dichiarazione, ponendo così i presupposti per una indebita compressione di un diritto attribuito al sottoscrittore dall’ordinamento. Ne discende che tale peculiare modalità di formulazione della clausola integra gli estremi di una violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo".

7.2.1. Il Collegio osserva che, stante la già rilevata assenza di ogni certezza circa la corretta istruzione degli addetti presenti nei punti vendita C. e deputati alla raccolta delle richieste di emissione, la formulazione del modulo in precedenza descritto, possa facilmente elidere l’attenzione del consumatore in ordine alla possibilità di usufruire di una forma di informazione preventiva (il diritto ad ottenere una copia del contratto "in bianco"), che costituisce parte integrante di un obbligo, sia pure, come si asserisce in ricorso, liberamente assunto da C. quale "ulteriore atto di diligenza del professionista.".

Al riguardo, non sembra inutile ricordare che le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai "professionisti" l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili dalla disciplina di settore, ove esistente, in parte dalla stessa esperienza propria del settore di attività, in quanto conforme alla finalità di tutela perseguita dal Codice.

Nel caso di specie C. ha assunto l’obbligo di rendere disponibile al consumatore, prima della sottoscrizione, una copia in bianco del contratto, senza tuttavia contestualmente predisporre accorgimenti idonei ad assicurare l’effettivo esercizio di siffatta prerogativa.

Devono pertanto condividersi le valutazioni dell’Autorità che nella fattispecie, ha ravvisato il profilo di aggressività cui all’art. 25, lett. d) del Codice del Consumo ("Nel determinare se una pratica commerciale comporta, ai fini del presente capo, molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi (…) d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista").

7.3. Il ricorso merita, invece, accoglimento nella parte in cui C. lamenta che, senza adeguata motivazione, l’Autorità abbia ritenuto che la condotta complessiva tenuta nella fase precontrattuale costituisca "una pratica commerciale che, in considerazione della natura della condotta, e del luogo e dei tempi che caratterizzano la fase di conclusione del contratto, comporta un indebito condizionamento idoneo a limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.".

Secondo l’Autorità "devono essere valutati i tempi ed il luogo in cui la pratica è stata posta in essere. In tal senso assume specifica rilevanza il fatto che la proposta contrattuale viene perfezionata nel punto vendita di un soggetto attivo in un settore totalmente diverso da quello finanziario e nel quale il consumatore si reca normalmente per finalità che nulla hanno a che vedere con l’acquisto di prodotti e/o servizi di natura finanziaria. Sotto diverso ma collegato profilo, occorre poi considerare le peculiarità del contesto ambientale che, in considerazione dell’ampiezza e dell’affollamento dei centri commerciali e della sollecitudine con cui, di norma, si conducono gli acquisti, può indurre il consumatore a non soffermarsi nella lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere ulteriori informazioni necessarie a chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio.

Ne consegue, pertanto, che la proposta di sottoscrizione della C.card carta di pagamento, nonché la sottoscrizione della proposta di contratto sfruttano l’effetto cosiddetto "sorpresa" sul consumatore, il quale viene agganciato in un momento in cui le sue decisioni commerciali erano rivolte verso beni di consumo diversi rispetto ai servizi finanziari ed in un esercizio commerciale non adibito alla vendita di tale specifica categoria di prodotti.".

Orbene, pare al Collegio che siffatte argomentazioni non si sottraggano al censurato carattere di genericità, e, a ben vedere, si risolvano nella configurazione quale illecito consumeristico della stessa attività di commercializzazione delle carte c.d. "co – branded" nel peculiare contesto ambientale rappresentato dai centri commerciali, laddove, invece, l’Autorità è chiamata a verificare in concreto, la rispondenza della condotte dei professionisti al parametro di diligenza delineato dal Codice, non solo alla stregua della disciplina di settore, ma anche dell’esperienza propria del settore di attività.

Pertanto – pur risultando condivisibile l’argomento secondo cui, nel contesto ambientale descritto e data l’asimmetria informativa che tuttora caratterizza il sofisticato settore dei servizi finanziari, è richiesto ai professionisti un parametro di diligenza particolarmente rigoroso – non può per ciò solo addivenirsi ad una valutazione di "aggressività" che prescinda dalla puntuale verifica delle "caratteristiche e circostanze del caso" concreto (art. 24 CdC).

8. Risultano invece infondati i, sia pure puntuali rilievi, con cui C. tenta di dimostrare che la pratica ha avuto un impatto di scarsa significatività e che, pertanto, non risulterebbe idonea "a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico" dei consumatori.

Premesso quanto in precedenza argomentato, circa la struttura dell’illecito di pericolo in esame, va in questa sede soggiunto che i dati allegati da C. riguardano esclusivamente le "segnalazioni" ovvero lamentele dei consumatori o delle loro associazioni, e cioè una fascia di utenti particolarmente avveduta (o comunque avvezza a fare valere i propri diritti), non necessariamente coincidente, quindi, con il modello del "consumatore medio", rilevante nella fattispecie ed in precedenza delineato.

Per quanto occorrere possa, si ricorda che gli effetti della condotta, si pongono al di fuori della struttura degli illeciti consumeristici sanzionati dal Codice del Consumo, potendo semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori: da tale circostanza essendo con ogni evidenza dato desumere la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di diligenza cha la normativa di riferimento ha posto quale essenziale referente di valutabilità della condotta.

Nel caso di specie, ai fini della quantificazione della sanzione base, pur non essendo stato dato particolare risalto ai dati allegati da C., non risulta nemmeno che gli stessi siano stati pretermessi, e che, pertanto, lo scarso impatto della pratica non sia stato opportunamente bilanciato con gli altri fattori di ponderazione elencati dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981.

8.1. Risulta, infine, inconferente il rilievo secondo cui C. avrebbe provato, ai sensi dell’art. 27, comma 5, del Codice, di non potere "ragionevolmente prevedere l’impatto della pratica commerciale sui consumatori, ai sensi dell’articolo 20, comma 3.".

Non risulta, infatti che, nel caso di specie, abbia formato oggetto di contestazione e/o di sanzione, l’incidenza della pratica su categorie di soggetti particolarmente vulnerabili "a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità".

9. C. ha quindi censurato, sia pure con sintetiche argomentazioni, anche la delibera di rigetto degli impegni.

Premesso che, al riguardo, risulta del tutto inconferente l’omessa adozione di provvedimenti cautelari (essendo diversa la valutazione relativa alla manifesta scorrettezza di un comportamento, peraltro solo ipotizzata, da quella relativa all’ "urgenza di provvedere"), basti qui ricordare che l’istituto degli impegni, quale disciplinato dall’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo, appare modellato su quello della c.d. "decisione con impegni", introdotto, nell’ambito della tutela della concorrenza, dall’art. 9 del Regolamento CE n. 1/2003, e, analogamente a quest’ultimo, comporta una valutazione ampiamente discrezionale da parte dell’Autorità, tenuto conto del fatto che l’accettazione degli impegni non produce quell’effetto di chiarimento della regola giuridica che deriva, invece, dalle decisioni di infrazione.

Anche in materia di pratiche commerciali scorrette, l’Autorità è quindi chiamata a valutare non solo l’idoneità delle misure correttive proposte ma anche, come avvenuto nel caso di specie, la sussistenza di un rilevante interesse pubblico all’accertamento dell’eventuale infrazione, e quindi, prima ancora, la stessa opportunità di preferire una procedura "negoziata" a quella di infrazione.

La regola è, dunque, quella dell’accertamento dell’infrazione, laddove l’accettazione degli impegni è evenienza rispetto alla quale la discrezionalità dell’Autorità è massima, in quanto impinge nelle scelte, alla stessa esclusivamente rimesse, circa le proprie priorità di intervento.

Al riguardo, la Sezione ha già evidenziato (cfr., da ultimo, la sentenza n. 8394 dell’8 settembre 2009, nonché n. 2974 del 24 febbraio 2010) che la peculiarità e complessità del caso concreto, ovvero la necessità di stabilire dei principi con riguardo ad una fattispecie inedita, o ad un mutato assetto di mercato, ovvero ancora, l’interesse dell’amministrazione ad irrogare un’ammenda, attesa la funzione deterrente e di monito per gli operatori rivestita da quest’ultima, giustifica di per sé il rigetto degli impegni, attese le finalità di interesse pubblico connesse all’accertamento dell’eventuale infrazione.

A ciò si aggiunga che, esclusa la sussistenza, ovvero la prevalenza di siffatto interesse, parallelamente a quanto accade in materia di tutela della concorrenza, le misure correttive proposte debbono comunque "pertinenti" rispetto all’oggetto del procedimento e quindi funzionali all’elisione dei profili di ingannevolezza oggetto di accertamento.

Alla luce delle coordinate interpretative testé delineate, è quindi possibile correttamente apprezzare, nella fattispecie, il significato della decisione di rigetto degli impegni, evidentemente ispirata dalla necessità di intervenire incisivamente in un settore che forma ormai oggetto, come ricordato, anche di precise indicazioni operative delle competenti Autorità di regolazione.

9. In ordine alla quantificazione della sanzione, è stata valutata, in primo luogo, la dimensione economica dei professionisti.

L’Autorità evidenzia, in particolare che "C. è una società, posta a capo dell’omonimo gruppo, che gestisce una rete di punti vendita in proprietà o affiliati di primario rilievo nel settore della distribuzione specializzata. F. è una società appartenente al Gruppo Société Générale, attiva sul mercato del credito al consumo, caratterizzata da un’ampia offerta di prodotti e da una capillare presenza sul territorio. Trattandosi di società che godono di credibilità e notorietà presso il pubblico, la pratica commerciale scorretta dalle stesse posta in essere può ragionevolmente ritenersi di maggiore portata offensiva.

La gravità delle violazioni deve, altresì, essere ricondotta alla stessa tipologia di omissioni informative riscontrate in ragione del settore nel quale sono state poste in essere. In tale settore, infatti, l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni diffuse è particolarmente stringente, anche in ragione della già rilevata asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, derivante dalla complessità della materia e dalla scarsa conoscenza del pubblico rispetto a servizi cui non si ricorre con particolare frequenza. Rileva, inoltre, il fatto che la pratica sia connotata anche da elementi di aggressività, nella parte in cui può configurarsi una indebita compressione rispetto al possibile esercizio di un diritto da parte del consumatore, ovvero sotto il profilo dell’indebito condizionamento rispetto alla decisione di sottoscrivere la proposta contrattuale relativa alla emissione della carta."

Sotto il profilo della contrarietà alla diligenza professionale, è stata rimarcata, in particolare "la posizione di F., atteso che la società, da tempo attiva nel settore dei servizi di cui trattasi, è maggiormente consapevole della natura essenziale delle informazioni relative alla modalità revolving della carta di credito e della linea di fido sottostante. In tale ottica, pur tenendosi conto della diversa incidenza delle parti rispetto alla realizzazione delle diverse condotte che si sono individuate come costitutive della pratica commerciale scorretta, rileva però la circostanza che, secondo quanto emerso in esito alle attività istruttorie, la società non abbia effettuato alcuna verifica sui contenuti dei messaggi promozionali diffusi da C., né si sia attivata per evidenziare, ovvero rimuovere lacune o profili di illiceità degli stessi.".

In ragione della gravità e della durata, delle violazioni, la sanzione base da irrogare a C. è stata determinata in 115.000 euro, mentre la sanzione pecuniaria da irrogare a F. è stata fissata in 130.000 euro.

Con specifico riguardo alla posizione di C., peraltro, l’Autorità ha espressamente considerato la circostanza che "la parte, in un’ottica di eliminazione, ovvero riduzione delle conseguenze delle condotte oggetto di valutazione, ha ritenuto di dare attuazione agli impegni presentati, nonostante il loro rigetto disposto ad opera dell’Autorità (…)".

Ha inoltre considerato il fatto che la Società ha riportato, nell’esercizio di bilancio 2008, una perdita di esercizio. Ha quindi concretamente inflitto a C. una sanzione pecuniaria di euro 90.000.

9.1. Relativamente al diverso grado di diligenza professionale richiesto ai professionisti coinvolti nella pratica, nonché circa l’affermazione di parte ricorrente secondo cui essa non potrebbe esplicare alcun controllo sui moduli contrattuali predisposti da F., ovvero integrare il materiale promozionale con informazioni che neanche F. riporta sul proprio sito web, si rinvia a quanto argomentato al paragrafo 7 della presente decisione.

Relativamente alla pretesa assenza di pregiudizio per i consumatori, si rinvia alle considerazioni svolte al paragrafo 8.

10. Per quanto in precedenza argomentato, il ricorso merita, in parte, accoglimento.

In particolare, come già chiarito al par. 4, deve essere ridimensionata la gravità della condotta di cui alla lett. b) della comunicazione di avvio, mentre, deve essere espunto il profilo di aggressività di cui all’art. 25, lett. a) del Codice del Consumo, complessivamente attribuito alle condotte della fase pre – contrattuale, contestate successivamente (par. 7, punto 3, della presente decisione).

Il Collegio ritiene, in applicazione dell’art. 23, l. n. 689/1981, nonché dell’art. 134, co. 1, lett. c), c.p.a., di poter procedere direttamente alla riquantificazione della sanzione.

In particolare, ove si tenga conto del fatto che l’Autorità ha dato preminente rilievo all’ "indebito condizionamento rispetto alla decisione di sottoscrivere la proposta contrattuale relativa alla emissione della carta", ma che, come già evidenziato, siffatto profilo di aggressività non può rinvenirsi nel mero contesto ambientale di sottoscrizione, reputa congruo un abbattimento della sanzione pari al 50%, con conseguente rideterminazione della stessa nella misura di euro 45.000.

Le spese in considerazione della reciproca soccombenza e della complessità delle questioni vanno interamente compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie in parte e, per l’effetto, ridetermina la sanzione in euro 45.000,00 (quarantacinquemila/00).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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