T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 448 Concorrenza sleale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La presente controversia trae origine dal procedimento avviato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, volto ad accertare la presunta scorrettezza delle condotte poste in essere da C. S.p.A. (di seguito, anche "C.") e F. S.p.A. (di seguito, anche "F."), nella loro qualità di professionisti, in relazione alla commercializzazione, presso i punti vendita C., di una carta di credito cobranded denominata "C.card", emessa da F..

Sulla base delle informazioni acquisite, in data 11.12.2008, l’Autorità comunicava l’avvio del procedimento, prospettando che, nella fase promozionale (con particolare riferimento alle pagine del sito web www.C..it ovvero nell’ambito di messaggi promozionali esposti nei punti vendita C. e contenuti in pieghevoli pubblicitari volti a promuovere l’iniziativa C.card), in violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25, lett. a) del Codice del Consumo, C. e F. avrebbero fornito ai consumatori informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete, ovvero avrebbero omesso informazioni rilevanti in merito:

a) alla duplice natura della carta, a seconda che la stessa venga richiesta ed emessa come mera carta di fidelizzazione, ovvero anche come strumento di pagamento;

b) alla natura "revolving" della carta di pagamento, nonché alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato;

c) alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento;

d) alla identità del soggetto che fornisce i servizi finanziari, nonché alla natura e alle caratteristiche dell’instaurando rapporto con lo stesso.

Nel medesimo provvedimento AGCM specificava che la pratica descritta, oltre a potersi configurare ingannevole ai sensi degli artt. 21, 22 e 23, si rivelava anche aggressiva in quanto idonea ad esercitare un indebito condizionamento suscettibile di limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori.

Contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento l’Autorità deliberava ispezioni, ai sensi dell’art. 27, commi 2 e 3 del Codice del Consumo, presso le sedi F. s.p.a. e di C. s.p.a..

Gli accertamenti ispettivi venivano effettuati in data 17 dicembre 2008 presso le sedi legali delle predette società, nonché presso un punto di vendita C..

Sulla base delle ulteriori informazioni acquisite nel corso degli accertamenti ispettivi, in data 18 marzo 2009, veniva comunicata ad entrambe le parti una integrazione oggettiva della comunicazione di avvio del procedimento, con la quale venivano ipotizzate ulteriori violazioni degli artt. 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione a condotte tenute nelle fasi pre – contrattuale e di raccolta delle richieste di emissione della carta da parte dei consumatori.

La violazione dell’articolo 22 del Codice del Consumo veniva ipotizzata in ragione del fatto che ai consumatori che si accingono a richiedere l’emissione della carta non verrebbero fornite informazioni rilevanti, con particolare riguardo alla regolamentazione contrattuale dell’instaurando rapporto, in modo da indurli ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso in relazione alla sottoscrizione della richiesta di carta di credito. L’Autorità rilevava in particolare che, all’atto della richiesta di emissione della carta, "la consegna del modulo contenente il documento di sintesi, le condizioni generali di contratto e il foglio informativo, avviene successivamente alla sottoscrizione della richiesta".

Pertanto, proseguiva l’Autorità "le modalità e la tempistica di consegna della documentazione contrattuale escludono in radice che l’incombente possa svolgere una qualsiasi funzione informativa precontrattuale".

L’Autorità osservava ancora, nel provvedimento di integrazione oggettiva, che vi sarebbe "una possibile incongruenza tra quanto accertato in sede di ispezione e la circostanza che, con la sottoscrizione del modulo di richiesta il consumatore è chiamato a dichiarare di avere ritirato copia dell’Avviso Principali Norme di Trasparenza, del Foglio informativo, del Documento di sintesi, nonché delle Condizioni generali di contratto, là dove, per contro, tale ritiro risulterebbe essere successivo all’avvenuta sottoscrizione. Né sono stati acquisiti riscontri in ordine ad una eventuale attività informativa svolta dal personale addetto alla raccolta delle richieste di emissione".

Quanto alla violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo, essa veniva ipotizzata, in primo luogo, con riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera a), dello stesso Codice.

Le attività di raccolta delle richieste di emissione della carta da parte dei consumatori, infatti, avrebbero potuto integrare gli estremi della pratica commerciale che, attraverso indebito condizionamento, in considerazione dei tempi e del luogo di svolgimento delle attività, limita o risulta idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, inducendolo, o comunque risultando idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Una ulteriore violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo, veniva poi ipotizzata con riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera d), del Codice, avuto riguardo alla clausola, contenuta nel modulo contrattuale utilizzato per la raccolta delle richieste di emissione della carta, relativa al diritto del consumatore "di ottenere copia del testo del contratto idonea per la stipula che include il Documento di sintesi".

In particolare, l’Autorità osservava che le modalità di acquisizione del consenso in relazione alla clausola contenuta nel modulo per la raccolta delle richieste di emissione, relativa al diritto del consumatore di "ottenere copia del testo del contratto idonea per la stipula" potrebbero costituire "un ostacolo non contrattuale" all’esercizio dei diritti contrattuali da parte del consumatore in quanto è previsto che "nel caso in cui non sia indicato nulla, si intenderà che il cliente non si è avvalso del diritto in parola".

Parte ricorrente depositava memorie difensive in data 2 febbraio 2009, 14 aprile 2009 e 24 giugno 2009.

Poiché la pratica commerciale risultava diffusa anche attraverso Internet, in data 26 giugno 2009 veniva richiesto il parere di AGCOM.

Sulla base delle risultanze istruttorie ed in conformità al parere espresso da quest’ultima, l’Autorità deliberava che "la pratica commerciale descritta al punto II del presente provvedimento, posta in essere dalle società C. S.p.A. e F. S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25, lettera a), del Codice del Consumo", inibendone, altresì, l’ulteriore diffusione.

Alla società C. veniva irrogata una sanzione pecuniaria pari ad euro 90.000 mentre a F. veniva inflitta una sanzione di euro 130.000.

Avverso il complesso di siffatte determinazioni insorge F. deducendo:

1. In via preliminare:

1.a. Illegittimità per difetto di legittimazione passiva di F. nel procedimento amministrativo.

Le condotte delineate nella comunicazione di avvio attengono a comportamenti tenuti dalla sola C.. Le attività di acquisizione della clientela, così come le attività promozionali, sono state svolte esclusivamente da C..

2. Nel merito.

2.a. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. 6.9.2005, n. 206. Violazione e falsa applicazione del d.lga. n. 385 del 1993, testo unico in materia bancaria e creditizia, e dell’art. 5 della delibera CICR del 4.3.2003. Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà. Manifesta irragionevolezza e perplessità.

Parte ricorrente evidenzia che, all’epoca per cui è causa, non sussisteva un obbligo, specificamente sancito dalla disciplina di settore, che comportasse la necessità, per il professionista, di consegnare la documentazione contrattuale ed informativa al cliente prima della sottoscrizione del contratto.

Sicuramente, non esisteva un obbligo di consegnare tale informativa a tutti i consumatori indipendentemente da una loro effettiva richiesta.

Il Testo unico in materia bancaria e le disposizioni della Banca d’Italia ("Istruzioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi finanziari del 25.7.2003"), impongono soltanto la messa a disposizione della clientela, presso i punti vendita, dell’ "Avviso" contenente le principali norme di trasparenza, del foglio informativo, della copia completa dello schema di contratto e del documento di sintesi.

Analogamente, l’art. 5 della delibera CICR del 4.3.2003 prevede la consegna della documentazione esclusivamente al cliente che ne abbia fatto richiesta.

E’ sempre la normativa di settore, infine, a stabilire, relativamente all’effettiva consegna delle informative precontrattuali, che l’intermediario acquisisca in calce allo schema di contratto un’apposita attestazione nella quale il cliente dichiara se intende avvalersi o meno di tale diritto.

Ad ogni buon conto, parte ricorrente riversa ogni addebito sulla società C. e sulle direttive impartite agli addetti alla compilazione dei moduli.

Quanto al preteso condizionamento del consumatore, dovuto alle circostanze spazio – temporali tipiche dell’attivazione delle carte c.d. co – branded, parte ricorrente evidenzia, ancora, che è l’istituto del credito al consumo in sé a prevedere la stipulazione dei contratti direttamente nel punto vendita.

2) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 25 del d.lgs. 6.9.2005, n. 206. Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà. Manifesta irragionevolezze e perplessità.

Parte ricorrente reputa che il "consumatore medio" rispetto al quale l’Autorità avrebbe dovuto valutare la correttezza della pratica, sia un consumatore aduso all’utilizzo degli strumenti finanziari, se non altro per il fatto che l’attivazione della carta di pagamento presuppone la titolarità di un conto corrente bancario.

3) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 27, commi 9 e 13, d.lgs. n. 206/2005) – Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 11 e 16 l. n. 689 del 1981) – Eccesso di potere per difetto di istruttoria – Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto – Violazione di legge per difetto di motivazione – Illogicità.

L’Autorità non avrebbe fornito alcun elemento motivazionale in ordine alla gravità della violazione e alla personalità dell’agente. Non avrebbe comunque, operato adeguate differenziazioni tra le condotte ascrivibili a C. e quelle, invece, esclusivamente riconducibili a F..

Parte ricorrente insiste, infine, per la condanna dell’amministrazione alla restituzione di tutte le somme nel frattempo pagate in esecuzione degli atti illegittimi.

Si è costituita, per resistere, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, depositando memoria.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 1° dicembre 2010.

Motivi della decisione

1. La presente controversia trae origine dall’istruttoria condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, al fine di accertare la presunta scorrettezza della condotte poste in essere da C. S.p.A. (di seguito, anche "C.") e F. S.p.A. (di seguito, anche "F."), nella loro qualità di professionisti, in relazione alla commercializzazione, presso i punti vendita C., di una carta di credito c.d. cobranded denominata "C.card", emessa da F..

L’attenzione dell’Autorità si è inizialmente incentrata su condotte che "si collocano nella fase promozionale della carta di credito, con particolare riferimento alla divulgazione di messaggi effettuata attraverso la pubblicazione delle pagine del sito web "www.C..it", nonché attraverso la diffusione, presso i punti vendita C., di un pieghevole pubblicitario volto a promuovere l’iniziativa "C.card".

Nello specifico, l’ipotesi formulata in sede di avvio è che ai consumatori siano fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete, ovvero siano omesse informazioni rilevanti in merito:

a) alla duplice natura della carta, a seconda che la stessa venga richiesta ed emessa come mera carta di fidelizzazione, ovvero anche come strumento di pagamento;

b) alla natura "revolving" della carta di pagamento, nonché alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato;

c) alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento;

d) alla identità del soggetto che fornisce i servizi finanziari, nonché alla natura e alle caratteristiche dell’instaurando rapporto con lo stesso.

Nelle "Valutazioni conclusive", relativamente alla contestazione sub a), l’Autorità ha evidenziato che "le risultanze istruttorie hanno confermato la sussistenza di informative inadeguate e di omissioni informative in ordine alle differenze esistenti tra le due carte distribuite da C.."

Relativamente alla contestazione sub b) della Comunicazione di avvio secondo l’Autorità "le espressioni contenute tanto nelle pagine web quanto nel pieghevole non sono idonee ad informare adeguatamente il consumatore medio sulla natura di quello che viene definito "Pagamento con rimborsi mensili".

L’Autorità ha poi analizzato un distinto, ulteriore profilo "relativo alle modalità di utilizzo della carta di pagamento, in riferimento all’ipotesi che il consumatore intenda fruire dei soli programmi di fidelizzazione, ma non dei servizi di pagamento (sub punto c) nella comunicazione di avvio del procedimento). In tal senso rileva la mancanza di puntuali informazioni in ordine alla possibilità riconosciuta al consumatore di esibire la carta di credito alla cassa, precisando che intende però pagare con strumento diverso (contante, assegno, altra carta di credito, ecc.).".

Infine "la mancata indicazione della Società fornitrice dei servizi finanziari associati alla carta di credito (contestazione sub punto d) nella comunicazione di avvio del procedimento) non può certamente essere sanata dalla presenza nel messaggio del relativo numero telefonico, né della casella di posta elettronica cui indirizzare eventuali richieste di "informazioni finanziarie".

Tale carenza informativa, "unita alla denominazione della carta, è idonea ad indurre il consumatore medio in errore circa il soggetto finanziatore. Il titolare della carta, in specie, può essere indotto a ritenere che il servizio di dilazione del pagamento sia prestato dalla stessa C., mentre la contezza in ordine all’identità della finanziaria e, ancor prima, in relazione alla natura del soggetto che interviene nella transazione e nella esecuzione dello stipulando contratto, ha una specifica rilevanza ai fini di una scelta consapevole e informata da parte del consumatore.".

1.1. Hanno poi formato oggetto di analisi le condotte contestate in sede di estensione oggettiva della comunicazione di avvio del procedimento.

In particolare, pur prendendo atto di quanto sostenuto dalla difesa di C. in punto di modalità di raccolta e invio alla finanziaria della proposta contrattuale per via telematica, l’Autorità ha riscontrato "il permanere del contrasto tra le risultanze istruttorie e la clausola presente nel modulo cartaceo usato per la raccolta manuale delle richieste di emissione della carta, ai sensi della quale il richiedente è chiamato a dichiarare di aver ritirato copia dell’Avviso "Principali Norme di Trasparenza’, del Foglio Informativo, del Documento di Sintesi nonché delle Condizioni Generali di Contratto".

Ha poi stigmatizzato anche la clausola relativa "al diritto di ottenere copia del contratto idonea per la stipula, la quale prevede che il sottoscrittore barri, a seconda dei casi, la casella corrispondente alla dichiarazione di avvenuto o non avvenuto esercizio" ritenendo che la formulazione del modulo sia idonea ad ostacolare l’esercizio di un diritto riconosciuto al consumatore, "nella parte in cui è detto (tra parentesi) che "nel caso non sia indicato nulla, s’intenderà che il Cliente non si è avvalso del diritto in parola". Secondo l’Autorità, tale ultima previsione consente all’addetto alla raccolta delle proposte contrattuali di non richiamare espressamente l’attenzione del sottoscrittore sul contenuto della clausola, "come sarebbe invece necessario in caso di mancanza di espressa presunzione di non esercizio collegata alla mancata dichiarazione, ponendo così i presupposti per una indebita compressione di un diritto attribuito al sottoscrittore dall’ordinamento. Ne discende che tale peculiare modalità di formulazione della clausola integra gli estremi di una violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo".

Più in generale, secondo l’Autorità, la condotta tenuta da C. nella fase di acquisizione del consenso risulta integrare un’ipotesi di violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo, con specifico riferimento alla disposizione di cui all’articolo 25, lettera a) dello stesso testo normativo.

Sul piano dell’elemento soggettivo dell’illecito, l’Autorità ha posto quindi in luce "la piena consapevolezza del professionista in ordine alla natura finanziaria del prodotto proposto ai propri clienti, nonché, con specifico riferimento al materiale promozionale, la circostanza riferita da F. e non smentita da C., che lo stesso risulta essere stato predisposto da quest’ultima e, comunque, è stato diffuso ad opera della stessa Società (sul suo sito internet, ovvero all’interno dei suoi punti vendita).".

Rispetto al settore di riferimento, infine, "la valutazione della completezza e chiarezza delle informazioni fornite alla clientela deve comunque essere condotta con particolare rigore, in considerazione dell’asimmetria informativa tra operatori economici e consumatori derivante dalla complessità della materia e dalla scarsa conoscenza del pubblico rispetto a servizi cui non si ricorre con frequenza.".

1.2. E’ utile anche, sintetizzare il quadro normativo e regolamentare di riferimento.

Come noto, infatti, la normativa, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della Direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle "Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno", alla quale, il legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando, nell’agosto del 2007, due distinti decreti legislativi (nn. 145 e 146), rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.

Il d.lgs. n. 146/2007 è intervenuto direttamente sul Codice del Consumo, sostituendo gli artt. 1827 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ed introducendo una generale normativa sulle "pratiche commerciali scorrette".

Il Codice del Consumo abbandona il precedente, specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa per abbracciare una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, "ivi compresa la pubblicità", posta in essere da un professionista "prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto" (artt. 18 e 19 del Codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimangono, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

Il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE, ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.

Per tale ragione, del resto, il d.lgs. n. 146/2007, ha, contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

Ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (come modificato dall’appena citato d.lga. 2 agosto 2007 n. 146), "per le finalità considerate dal Titolo III" (Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali), si intende per:

– "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

– "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

– "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori": qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

– "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Il successivo art. 19 puntualizza, poi, che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che "una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e" diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori"; mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali:

– ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23

– aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.

In particolare, ai sensi dell’art. 22 "è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Secondo l’art. 24 "È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Gli articoli 23 e 26, descrivono, infine, le pratiche che sono considerate in ogni caso ingannevoli e/o aggressive.

2. Ciò posto, è possibile complessivamente apprezzare la consistenza delle censure dedotte.

2.1. Con un primo ordine di rilievi, parte ricorrente ha protestato la propria estraneità a tutte le condotte che attengono alla fase promozionale dell’iniziativa C.card e che, a suo dire, sarebbero esclusivamente ascrivibili alla società C..

Al riguardo, appare opportuno richiamare la definizione offerta dal Codice del Consumo, secondo cui per "professionista" si intende "qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista" e per "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori" qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La definizione adottata dal legislatore è dunque estremamente ampia, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività d’impresa "finalizzata" alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o di un servizio.

In tal senso, rileva perciò anche l’attività di un operatore "intermedio", in quanto idonea ad incidere sulla libertà di scelta e di autodeterminazione del consumatore.

A ciò si aggiunga che, secondo quanto già rilevato dalla Sezione (cfr. le sentenze, nn. 10464/08, 10465/08, e 10468/08 del 20.11.2008; 15 giugno 2009, n. 5920, Fatturazione per chiamate satellitari; 15 giugno 2009, n. 5628, Sms messaggi in segreteria), anche nell’ambito dell’illecito c.d. consumeristico è possibile configurare, "alla luce tanto dei principi generali di diritto punitivo, quanto in particolare, dell’art. 5 della l. 24 novembre 1981, n. 689, un’ipotesi di concorso di persone nell’illecito amministrativo", ben potendo l’imputazione di responsabilità reggersi giuridicamente "allorché risulti, in concreto, che tale soggetto abbia in realtà con il suo contegno contribuito a porre in essere la condotta sanzionata". Nel caso di specie, l’Autorità ha rilevato che "C.card è una carta di credito cobranded, frutto di una iniziativa congiunta realizzata da C. S.p.A. e F. S.p.A. in forza di un accordo stipulato tra le stesse Società il 3 giugno 1997 e successivamente più volte modificato e aggiornato". E’ altresì emerso che tale carta "è una carta c.d. "privativa", intendendosi con tale termine identificare le carte utilizzabili solo nei punti vendita aderenti ad una medesima organizzazione commerciale, e che la stessa carta consente di partecipare a programmi di fidelizzazione ideati e realizzati da C., che prevedono la prestazione, a favore del titolare, di alcuni servizi dedicati, agevolazioni, sconti, ecc..".

Ha poi sottolineato "la piena consapevolezza del professionista in ordine alla natura finanziaria del prodotto proposto ai propri clienti, nonché, con specifico riferimento al materiale promozionale, la circostanza riferita da F. e non smentita da C., che lo stesso risulta essere stato predisposto da quest’ultima e, comunque, è stato diffuso ad opera della stessa Società (sul suo sito internet, ovvero all’interno dei suoi punti vendita).".

Ora, appare al Collegio evidente che, essendo la commercializzazione delle carte emesse da F. l’oggetto di uno specifico accordo di partnership tra le due società, ciascuna di esse, nel rispettivo settore di attività, abbia in apportato un pari contributo causale alla realizzazione dell’illecito.

Ad ogni buon conto, nella valutazione del grado di diligenza professionale richiesto ai due operatori, ai fini della quantificazione della sanzione, l’Autorità ha adeguatamente differenziato la posizione di C., proprio in considerazione del fatto che essa non è attiva nel settore dei servizi finanziari, così come, viceversa, ha ravvisato una forma di responsabilità, c.d. editoriale, nel comportamento di F. che non ha operato alcun controllo sul materiale promozionale predisposto e diffuso dal partner.

3. Relativamente alle condotte contestate in sede di "integrazione oggettiva" del procedimento, F. ha sostenuto di essersi pienamente attenuta, sia nella formulazione dei moduli contrattuali che nella "messa a disposizione" delle informazioni pertinenti, alla normativa di settore all’epoca in vigore.

3.1. Relativamente alla fase pre – contrattuale in esame, l’Autorità, valorizzando quanto dichiarato dalla stessa C. "a detta della quale i modelli contrattuali sono a disposizione del potenziale cliente e vengono consegnati a chi ne faccia richiesta", ha dedotto, al contrario, che "l’Avviso "Principali Norme di Trasparenza", il Foglio Informativo, il Documento di Sintesi e le Condizioni Generali di Contratto, non vengono consegnati sistematicamente (nei casi di raccolta manuale delle richieste di emissione) prima della sottoscrizione a tutti i potenziali clienti, ma solo a quelli che ne facciano richiesta, essendo prevista per gli altri, sempre secondo quanto affermato da C., la consegna "contestualmente alla sottoscrizione della proposta contrattuale" (…) Ciò nondimeno, tutti i sottoscrittori del modulo cartaceo sono tenuti a dichiarare (…) "di aver ritirato" copia di tali documenti."

In disparte ogni valutazione sulla applicabilità al caso di specie della normativa di settore – la quale, stando a quanto affermato nel provvedimento, prevede, in caso di offerta fuori sede, non già il semplice obbligo di "mettere a disposizione", bensì di "consegnare al cliente, prima della conclusione del contratto, l’avviso contenente le "principali norme di trasparenza" e il foglio informativo" – l’Autorità ha messo in rilievo, quale profilo critico specifico sotto il profilo della correttezza del protocollo di acquisizione del consenso, che "si dà per acquisito, al punto di farne oggetto di una espressa dichiarazione contrattuale, che vi sia stata una attività informativa da parte del professionista che, al contrario e per espresso riconoscimento della parte, all’atto dell’apposizione della firma, ancora non è stata svolta o può non essere stata svolta (…).".

3.2. Il Collegio osserva che le difese di parte ricorrente, al riguardo, operano la stessa sovrapposizione, stigmatizzata dall’Autorità, tra la fase meramente promozionale dell’iniziativa oggetto di esame e il segmento immediatamente preliminare alla stipula del contratto.

A tal fine, non è invero sufficiente, come sembra ritenere F., che la documentazione contrattuale sia "messa a disposizione" di ogni potenziale cliente ma è necessario – indipendentemente dall’esistenza di una specifica disciplina di settore (all’epoca rappresentata dalla delibera CICR del 4.3.2003, successivamente dal Provvedimento della Banca d’Italia del 29.7.2009, oggi dalla disciplina di cui al d.lgs.141/2010 e dalla modifiche dallo stesso apportate al t.u. bancario, d.lgs. n. 385 del 1993, nella parte relativa al credito al consumo, con significativo riguardo proprio agli obblighi di carattere precontrattuale) – che, prima della effettiva conclusione del contratto, vengano consegnate al cliente le informazioni necessarie al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione del contratto di finanziamento.

L’Autorità, nel caso in esame, ha in particolare censurato la specifica clausola del modulo di richiesta in cui il consumatore è chiamato ad attestare che siffatta attività informativa da parte del professionista vi è effettivamente stata, mentre al contrario detta attività "ancora non è stata svolta o può non essere stata svolta".

Va ancora soggiunto che il deficit informativo riscontrato nelle procedure di acquisizione del consenso, non risulta colmato né dalle istruzioni fornite agli operatori presenti nei punti vendita né dalla consegna della documentazione contrattuale all’atto della vera e propria stipula.

Da un lato, le indagini svolte dall’Autorità hanno messo in luce che tali istruzioni "risultano incentrate sui profili strettamente operativi, senza che in esse figuri alcun riferimento alla necessità che il richiedente l’emissione della carta sia preventivamente edotto in ordine agli aspetti finanziari del prodotto e alle implicazioni giuridiche della sottoscrizione della domanda di emissione". Dall’altro, la consegna della documentazione contrattuale all’atto della stipula non consente di avere alcuna certezza circa l’effettiva consapevolezza acquisita dal consumatore prima dell’assunzione del vincolo contrattuale.

Relativamente all’argomentazione secondo cui le informazioni richieste dall’Autorità non sono previste dalla disciplina di settore, si osserva quanto segue.

In primo luogo, come già più volte evidenziato dalla Sezione, non vi è dubbio alcuno sul fatto che l’Autorità competente, esplicitamente individuata dallo Stato italiano "per l’applicazione del regolamento 2006/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori, nei limiti delle disposizioni di legge" (art. 27, comma 1, del Codice del Consumo), sia l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

E’ bene anche precisare che, ai fini del regolamento in esame, per "norme sulla protezione degli interessi dei consumatori" si intendono le direttive "elencate nell’allegato e recepite nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri" (art. 3, comma 1, lett. a).

Tra di esse figura l’intera direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, recepita dall’Italia con i più volte citati decreti legislativi nn. 145 e 146/2007.

Attraverso l’attività di contrasto alla pratiche commerciali sleali, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato tutela in maniera diretta la libertà di autodeterminazione dei consumatori e, indirettamente, l’interesse pubblico alla realizzazione di un mercato pienamente efficiente e concorrenziale.

Nel caso di specie, parte ricorrente si è richiamata al complesso di norme, contenute nel d.lgs. n. 385 del 1993, che disciplinano il credito al consumo, con particolare riguardo agli obblighi di trasparenza che gravano sugli intermediari finanziari, nonché ai controlli esercitati, in materia, dalla Banca d’Italia.

Tali disposizioni debbono tuttavia essere raccordate alla specifica finalità dell’attività di vigilanza affidata alle autorità creditizie, che è principalmente quella di garantire la "sana e prudente gestione dei soggetti vigilati", la "stabilità complessiva" nonché l’efficienza e la competitività del sistema finanziario, unitamente all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia (art. 5, comma 1, Tub).

L’interesse pubblico primario affidato all’Autorità di settore riguarda dunque la conformazione del mercato del credito (in particolare attraverso i poteri di vigilanza, di regolazione, o anche solo di moral suasion) ai suindicati obiettivi di stabilità, di competitività e di efficienza.

E’, pertanto, alla luce di tale essenziale funzione che debbono essere interpretate le norme in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali, poste a tutela degli utenti finali nonché quelle, eventualmente elaborate dalle Autorità creditizie, a completamento di siffatta disciplina.

L’Autorità di settore delinea, ex ante, il "quadro" degli obblighi specificamente gravanti sugli operatori vigilati, ma non possiede, a parere del Collegio, alcuna competenza in ordine alla definizione del modello di "professionista diligente", ricavabile dal Codice del Consumo, ed applicato di volta in volta, nella fattispecie concrete, dall’Autorità antitrust.

E’ bene anche ricordare che le due Autorità, antitrust e di settore, sebbene perseguano entrambe, in via diretta o servente rispetto alla cura dell’interesse pubblico primario di cui sono titolari, la tutela del consumatore, lo fanno attraverso strumenti del tutto diversi.

Di talché alcuna sovrapposizione può realmente esservi, se non nell’ipotesi in cui l’intervento dell’Autorità antitrust non si limiti a sanzionare, in concreto, una pratica sleale, ma finisca con l’introdurre, surrettiziamente, misure di tipo regolatorio rientranti nelle prerogative dell’Autorità di settore.

In sostanza, le due Autorità sono fisiologicamente destinate ad operare in maniera complementare, posto che se – come già più volte rilevato dalla Sezione – l’esistenza di un quadro regolatorio evidenzia l’elevato grado di professionalità richiesto alle imprese operanti nel settore, tale disciplina, tuttavia, non esaurisce ogni possibile regola di comportamento esigibile dalle imprese medesime a tutela della libertà di scelta e di autodeterminazione del consumatore.

Anche il procedimento in esame, come ormai i numerosi altri esaminati dalla Sezione (cfr., in particolare, le sentenze nn. 5625, 5627, 5628 e 5629 del 15 giugno 2009, nonché n. 6446 del luglio 2009, caso PS24/Fatturazione per chiamate satellitari; n. 8399 dell’8 settembre 2009, caso PSI1874/Enel/Energia/Bolletta gas; n. 8400 dell’8 settembre 2009, caso PSI/Prezzi bloccati elettricità), è dunque un esempio di come il nuovo quadro di tutela offerto dal Codice del Consumo venga ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale (attivabili dai singoli), dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione.

Le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità stessa di tutela perseguita dal Codice del Consumo, purché, ovviamente, siffatte condotte siano dagli stessi concretamente esigibili, in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale, secondo la logica alla base del modello, pur esso di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio.

Nel caso in esame, è ad esempio evidente che, pur non essendo incorsa in specifiche violazioni della normativa di settore, le società F. e C. non hanno, con sufficiente grado di diligenza, tutelato il consumatore medio, per avere omesso di adottare non già complicati accorgimenti, quanto di seguire elementari regole di prudenza e di chiarezza nelle procedure di acquisizione della clientela nonché nella fase di promozione dei servizi di rispettivo interesse.

Per converso, la circostanza che l’Autorità di settore non avesse, all’epoca dell’istruttoria svolta da AGCM, dettato specifiche prescrizioni relativamente alla forma di credito al consumo in esame (ad oggi, significativamente incrementate dalla stessa normativa primaria di cui al d.lgs. 141/2010, in precedenza menzionato), non denota, a parere del Collegio, l’insufficienza di tali regole, quanto la necessità di un intervento "parallelo" e complementare dell’Autorità antitrust, convergente, come già chiarito, nel medesimo obiettivo finale di tutela del consumatore.

In particolare, nel rilevare l’ambiguità e la scarsa chiarezza del materiale promozionale e della documentazione predisposta al fine dell’attivazione della carta di credito, nonché l’assenza di una sistematica attività informativa preliminare alla stipulazione del contratto, essa non ha inteso sostituirsi all’Autorità di settore, ma ha esercitato una competenza sua propria, di valutazione della complessiva correttezza del comportamento del professionista sul mercato, sulla base degli obblighi di "protezione" delineati dal d.lgs. n. 206/2005.

4. L’Autorità ha poi esteso l’indagine all’ulteriore clausola con cui il consumatore è chiamato ad attestare l’esercizio del "diritto di ottenere copia del contratto idonea per la stipula", ritenendo che la formulazione del modulo sia idonea ad ostacolare l’esercizio di tale diritto "nella parte in cui è detto (tra parentesi) che "nel caso non sia indicato nulla, s’intenderà che il Cliente non si è avvalso del diritto in parola".

Secondo l’Autorità, tale ultima previsione consente all’addetto alla raccolta delle proposte contrattuali di non richiamare espressamente l’attenzione del sottoscrittore sul contenuto della clausola, "come sarebbe invece necessario in caso di mancanza di espressa presunzione di non esercizio collegata alla mancata dichiarazione, ponendo così i presupposti per una indebita compressione di un diritto attribuito al sottoscrittore dall’ordinamento. Ne discende che tale peculiare modalità di formulazione della clausola integra gli estremi di una violazione dell’articolo 24 del Codice del Consumo".

4.1. Il Collegio osserva che, stante la già rilevata assenza di ogni certezza circa la corretta istruzione degli addetti presenti nei punti vendita C. e deputati alla raccolta delle richieste di emissione, la formulazione del modulo in precedenza descritto, possa facilmente elidere l’attenzione del consumatore in ordine alla possibilità di usufruire di una forma di informazione preventiva (il diritto ad ottenere una copia del contratto "in bianco") che costituisce parte integrante dell’obbligo contrattualmente assunto da C. e F., circa la consegna di siffatta documentazione.

Al riguardo, non sembra inutile ricordare che le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai "professionisti" l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili dalla disciplina di settore, ove esistente, in parte dalla stessa esperienza propria del settore di attività, in quanto conforme alla finalità di tutela perseguita dal Codice.

Nel caso di specie C. e F. hanno, sia pure spontaneamente, assunto l’obbligo di rendere disponibile al consumatore, prima della sottoscrizione, una copia in bianco del contratto, ma non hanno contestualmente predisposto accorgimenti idonei ad assicurare l’effettivo esercizio di siffatta prerogativa.

Devono pertanto condividersi le valutazioni dell’Autorità che nella fattispecie, ha ravvisato il profilo di aggressività cui all’art. 25, lett. d) del Codice del Consumo ("Nel determinare se una pratica commerciale comporta, ai fini del presente capo, molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi (…) d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista").

5. Il ricorso merita, invece, accoglimento nella parte in cui F. lamenta che, senza adeguata motivazione, l’Autorità abbia ritenuto che la condotta complessiva tenuta nella fase precontrattuale costituisca "una pratica commerciale che, in considerazione della natura della condotta, e del luogo e dei tempi che caratterizzano la fase di conclusione del contratto, comporta un indebito condizionamento idoneo a limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.".

Secondo l’Autorità "devono essere valutati i tempi ed il luogo in cui la pratica è stata posta in essere. In tal senso assume specifica rilevanza il fatto che la proposta contrattuale viene perfezionata nel punto vendita di un soggetto attivo in un settore totalmente diverso da quello finanziario e nel quale il consumatore si reca normalmente per finalità che nulla hanno a che vedere con l’acquisto di prodotti e/o servizi di natura finanziaria. Sotto diverso ma collegato profilo, occorre poi considerare le peculiarità del contesto ambientale che, in considerazione dell’ampiezza e dell’affollamento dei centri commerciali e della sollecitudine con cui, di norma, si conducono gli acquisti, può indurre il consumatore a non soffermarsi nella lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere ulteriori informazioni necessarie a chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio.

Ne consegue, pertanto, che la proposta di sottoscrizione della C.card carta di pagamento, nonché la sottoscrizione della proposta di contratto sfruttano l’effetto cosiddetto "sorpresa" sul consumatore, il quale viene agganciato in un momento in cui le sue decisioni commerciali erano rivolte verso beni di consumo diversi rispetto ai servizi finanziari ed in un esercizio commerciale non adibito alla vendita di tale specifica categoria di prodotti.".

Orbene, pare al Collegio che siffatte argomentazioni non si sottraggano al censurato carattere di genericità, e, a ben vedere, si risolvano nella configurazione quale illecito consumeristico della stessa attività di commercializzazione delle carte c.d. "co – branded" nel peculiare contesto ambientale rappresentato dai centri commerciali, laddove, invece, l’Autorità è chiamata a verificare in concreto, la rispondenza della condotte dei professionisti al parametro di diligenza delineato dal Codice, non solo alla stregua della disciplina di settore, ma anche dell’esperienza propria del settore di attività.

Pertanto – pur risultando condivisibile l’argomento secondo cui, nel contesto ambientale descritto e data l’asimmetria informativa che tuttora caratterizza il sofisticato settore dei servizi finanziari, è richiesto ai professionisti un parametro di diligenza particolarmente rigoroso – non può per ciò solo addivenirsi ad una valutazione di "aggressività" che prescinda dalla puntuale verifica delle "caratteristiche e circostanze del caso" concreto (art. 24 CdC).

6. Il terzo motivo di ricorso denuncia, infine, la netta divergenza tra il modello del "consumatore medio" quale individuato dall’Autorità e quale, invece, assunto da F. quale punto di riferimento della pratica commerciale in esame.

6.1. Il modello del c.d. "consumatore medio", ragionevolmente attento ed avveduto, si ritrae dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di pubblicità ingannevole, (cfr., per tutte, la sentenza del 13 gennaio 2000, causa C220/98, Estée Lauder).

Tale modello è stato successivamente recepito dall’ordinamento comunitario ed esteso, dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, a tutta la gamma delle condotte dalla stessa considerate.

Esso appare sostanzialmente ispirato dal principio di proporzionalità in quanto idoneo ad operare un effettivo bilanciamento tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale.

L’individuazione di siffatto modello non può conseguire ad una valutazione condotta in termini meramente statistici o empirici, dovendo invece essere presi in considerazione fattori di ordine sociale, culturale ed economico, fra i quali, in particolare, va analizzato il contesto economico e di mercato nell’ambito del quale il consumatore si trova ad agire.

Nel ricorso, pare invero suggerirsi l’idea che, essendo ormai il credito al consumo esperienza estremamente diffusa tra il pubblico, si sia correlativamente erosa l’asimmetria informativa in tale ambito notoriamente esistente, con ciò trascurandosi, però, che il settore in esame si caratterizza, in realtà, per l’offerta di prodotti sempre più raffinati e complessi, oltre ad interessare una larghissima platea di potenziali consumatori, all’interno della quale non è ragionevolmente predicabile un elevato e diffuso grado di informazione (cfr. TAR Lazio, sez. I^, sentenza 19 maggio 2010, n. 12277).

Il richiamo al modello del consumatore medio, ove posto in rapporto alla peculiarità del settore in esame, non esclude perciò che adeguata tutela debba essere assicurata anche ai consumatori meno smaliziati, in quanto presumibilmente, sono proprio costoro gli utenti "medi" dei servizi oggetto della pratica.

Al riguardo, appare poi assai pertinente il rilievo della difesa erariale, secondo cui, in realtà, il target di riferimento della carte (di mera fidelizzazione, ovvero anche di pagamento), commercializzate attraverso le strutture di vendita del tipo in esame, sono in realtà proprio i consumatori alla ricerca di beni di consumo, e non già di prodotti finanziari, in relazione ai quali, pertanto, non può ragionevolmente predicarsi un grado di conoscenza idoneo a discernere le caratteristiche delle diverse offerte pubblicizzate.

7. In ordine alla quantificazione della sanzione, è stata valutata, in primo luogo, la dimensione economica dei professionisti.

L’Autorità evidenzia, in particolare che "C. è una società, posta a capo dell’omonimo gruppo, che gestisce una rete di punti vendita in proprietà o affiliati di primario rilievo nel settore della distribuzione specializzata. F. è una società appartenente al Gruppo Société Générale, attiva sul mercato del credito al consumo, caratterizzata da un’ampia offerta di prodotti e da una capillare presenza sul territorio. Trattandosi di società che godono di credibilità e notorietà presso il pubblico, la pratica commerciale scorretta dalle stesse posta in essere può ragionevolmente ritenersi di maggiore portata offensiva.

La gravità delle violazioni deve, altresì, essere ricondotta alla stessa tipologia di omissioni informative riscontrate in ragione del settore nel quale sono state poste in essere. In tale settore, infatti, l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni diffuse è particolarmente stringente, anche in ragione della già rilevata asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, derivante dalla complessità della materia e dalla scarsa conoscenza del pubblico rispetto a servizi cui non si ricorre con particolare frequenza. Rileva, inoltre, il fatto che la pratica sia connotata anche da elementi di aggressività, nella parte in cui può configurarsi una indebita compressione rispetto al possibile esercizio di un diritto da parte del consumatore, ovvero sotto il profilo dell’indebito condizionamento rispetto alla decisione di sottoscrivere la proposta contrattuale relativa alla emissione della carta."

Sotto il profilo della contrarietà alla diligenza professionale, è stata rimarcata, in particolare "la posizione di F., atteso che la società, da tempo attiva nel settore dei servizi di cui trattasi, è maggiormente consapevole della natura essenziale delle informazioni relative alla modalità revolving della carta di credito e della linea di fido sottostante. In tale ottica, pur tenendosi conto della diversa incidenza delle parti rispetto alla realizzazione delle diverse condotte che si sono individuate come costitutive della pratica commerciale scorretta, rileva però la circostanza che, secondo quanto emerso in esito alle attività istruttorie, la società non abbia effettuato alcuna verifica sui contenuti dei messaggi promozionali diffusi da C., né si sia attivata per evidenziare, ovvero rimuovere lacune o profili di illiceità degli stessi.".

In ragione della gravità e della durata, delle violazioni, la sanzione base da irrogare a C. è stata determinata in 115.000 euro, mentre la sanzione pecuniaria da irrogare a F. è stata fissata in 130.000 euro.

7.1. Quanto testé rilevato destituisce di fondamento l’affermazione secondo cui l’Autorità non avrebbe dato conto dei parametri applicati ai fini della determinazione della sanzione come pure quella secondo cui non avrebbe adeguatamente considerato il diverso apporto causale nella realizzazione dell’illecito, nonché le differenze sussistenti, sul piano soggettivo, tra la responsabilità di C. e quella di F..

8. Per quanto in precedenza argomentato, il ricorso merita, in parte, accoglimento.

In particolare, deve essere espunto il profilo di aggressività di cui all’art. 25, lett. a) del Codice del Consumo, complessivamente attribuito alle condotte della fase pre – contrattuale.

Il Collegio ritiene, in applicazione dell’art. 23, l. n. 689/1981, nonché dell’art. 134, co. 1, lett. c), c.p.a., di poter procedere direttamente alla riquantificazione della sanzione.

In particolare, ove si tenga conto del fatto che l’Autorità ha dato preminente rilievo all’ "indebito condizionamento rispetto alla decisione di sottoscrivere la proposta contrattuale relativa alla emissione della carta", ma che, come già evidenziato, siffatto profilo di aggressività non può rinvenirsi nel mero contesto ambientale di sottoscrizione, reputa congruo un abbattimento della sanzione pari al 50%, con conseguente rideterminazione della stessa nella misura di euro 65.000.

Essendovi altresì prova (cfr. in particolare l’allegato 2, al ricorso) dell’avvenuto integrale versamento della sanzione pecuniaria, sin dal 17 settembre 2009, si dispone (attesa la sussistenza, in materia, di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 133, comma 1,lett. l) c.p.a.), la condanna dell’amministrazione alla restituzione della somma eccedenti quella come sopra rideterminata, unitamente agli interessi legali decorrenti, ai sensi dell’art. 2033 c.c, dalla data della domanda (nella fattispecie coincidente con la notifica del ricorso avvenuta il 13.11.2009) e fino all’effettivo soddisfo.

Le spese in considerazione della reciproca soccombenza e della complessità delle questioni vanno interamente compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie in parte e, per l’effetto, ridetermina la sanzione in euro 65.000,00 (quarantacinquemila/00).

Condanna l’amministrazione alla restituzione della somma di euro 65.000, oltre gli interessi legali, come meglio indicato in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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