Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-02-2011, n. 3726

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.M. vedova Z., premesso di essere proprietaria per intavolazione della porzione materiale 1 della particella edificabile in partita tavolare 2895/11 del comune catastale Maia e che essa era occupata a titolo di precario dal cognato, che però si rifiutava di restituirla, convenne in giudizio Z.O. chiedendone la condanna al rilascio dell’appartamento.

Costituitosi in giudizio, il convenuto contestò la pretesa e propose in via riconvenzionale domanda di accertamento della proprietà del bene per intervenuta usucapione, deducendo di avere acquistato con il fratello J. l’intera casa insistente sulla particella 886 con il fondo circostante, pattuendo che la casa sarebbe stata di sua proprietà ed il fondo agricolo adiacente di proprietà del fratello, ma di essersi poi disinteressato della effettiva intavolazione dell’immobile, di cui però aveva acquisito il possesso, destinandola a propria abitazione, fin dal 1974, e facendovi eseguire rilevanti lavori di ristrutturazione, lasciando all’uso della propria cognata, odierna attrice, su accordo con il fratello, alcuni vani situati al primo piano, corrispondenti alla porzione materiale 2, intavolata a suo nome.

Espletata l’istruttoria anche mediante prova per testi, il Tribunale di Bolzano, Sezione distaccata di Merano, respinse la domanda di rilascio dell’attrice ed accolse invece quella del convenuto, dichiarando il suo acquisto per intervenuta usucapione dell’immobile per cui è causa.

Interposto gravame da parte della L., con sentenza n. 87 del 4 aprile 2005 la Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, confermò la decisione impugnata, reputando provato, sulla base delle dichiarazioni dei testi, il possesso ininterrotto del bene per oltre vent’anni da parte del convenuto Z. e, per contro, non dimostrato da parte dell’appellante che la disponibilità dell’immobile era stato concessa a titolo di precario. Per la cassazione di questa decisione, ricorre, sulla base di cinque motivi, L.M., con atto notificato il 29 luglio 2005. Resiste con controricorso Z.O..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere affermato l’usucapione in relazione all’intera porzione materiale 1, nonostante che il convenuto non avesse provato il possesso dei vani cantina del piano interrato della p.m. 1 e dei vani cantina, della terrazza e del garage, intavolati come parti comuni delle porzioni 1 e 2, nonostante l’espressa contestazione sul punto sollevata dalla ricorrente al punto 2.1 del proprio atto di appello. La motivazione al riguardo è anche illogica e contraddittoria considerato che sia i vani cantina che il garage sono autonomi rispetto all’appartamento ed accessibili dall’esterno dell’edificio. Il motivo è inammissibile.

La questione del possesso dei vani cantina del piano interrato della p.m. 1 e dei vani cantina, della terrazza e del garage, che si assumono intavolati come parti comuni delle porzioni 1 e 2, appare infatti nuova, introducendo una distinzione ed un’asserita autonomia tra questi beni e quelli di cui alla particella 1^, oggetto della domanda di usucapione, di cui non vi traccia negli atti di causa menzionati nel ricorso nè, deve aggiungersi, nella stessa sentenza impugnata. Vero che, al riguardo, la ricorrente richiama il punto 2.1 del proprio atto di appello, ove dice di avere sollevato la relativa contestazione, ma tale indicazione è palesemente generica, non essendo sorretta dal requisito di autosufficienza, che impone alla parte la riproduzione completa del motivo di appello di cui lamenta la mancata considerazione. Costituisce diritto vivente di questa Corte, infatti, il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006).

Parimenti il motivo non è autosufficiente nemmeno in relazione al particolare stato dei beni ivi menzionati (vani cantina, terrazza e garage), non indicando nè riproducendo gli atti da cui risulterebbe il loro stato di beni comuni, situazione che, all’evidenza, richiederebbe un accertamento di fatto non consentito in sede di giudizio di legittimità.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e Falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice di appello non abbia tenuto conto che la controparte, in quanto già titolare della porzione 2, aveva il compossesso dei vani cantina comuni, della terrazza e del garage, sicchè ai fini dell’usucapione avrebbe dovuto dimostrare l’esclusività del suo possesso, vale a dire che esso era esercitato in modo inconciliabile con il compossesso altrui, prova che nella specie non è stata nè data nè richiesta. Anche questo motivo, che si lega strettamente alle censure sollevate con il mezzo precedente, è, al pari di questo, inammissibile, fondandosi su contestazioni che non risultano avanzate nel giudizio di merito ed il cui esame richiede indagini di fatto non ammesse dinanzi a questa Corte. 11 terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte di appello avrebbe dovuto valutare i fatti alla luce dei rapporti di parentela esistenti tra le parti, che rendevano plausibile come l’occupazione del bene ad opera del convenuto avesse avuto origine in forza di mero comodato e che essa era proseguita in ragione della mera tolleranza dei proprietari. Il mezzo è inammissibile.

Tale conclusione si impone in quanto le censure con esso sollevate tendono ad accreditare una ricostruzione della vicenda dedotta in giudizio divergente da quella compiuta dal giudice di merito. E’ noto, per contro, che nel giudizio di legittimità, non essendo questa Corte giudice del fatto, non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, diverso da quello espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione (Cass. n. 14972 del 2006; Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002). In particolare, la censura di omessa e insufficiente motivazione appare inammissibile in quanto con essa la parte censura non già l’omessa considerazione, da parte del giudice di merito, di una circostanza di fatto, vale a dire il rapporto di parentela esistente tra le parti, che nella specie risulta inequivocabilmente considerata essendo più volte menzionata nella stessa decisione, quanto il significato, in termini dimostrativi, ad essa attribuibile, impingendo in tal modo il merito di un apprezzamento non sindacabile. In disparte la considerazione che la censura si basa su una presunzione non fondata su alcuna logicità e ragionevolezza, atteso che i rapporti di parentela intercorrenti tra le parti non possono all’evidenza costituire prova inconfutabile del fatto che il convenuto ebbe la disponibilità dell’immobile a titolo di precario, superando tutte le risultanze processuali contrarie poste da giudice di appello a fondamento del proprio convincimento.

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per non avere ritenuto rilevante la circostanza che il convenuto aveva chiesto all’attrice di vendergli l’appartamento, così riconoscendole la proprietà dello stesso.

Il motivo è infondato.

La circostanza sopra dedotta risulta infatti presa in considerazione dalla Corte di appello, che, con valutazione discrezionale non sindacabile in questa sede, l’ha ritenuta non rilevante, sia perchè riferita da una teste, nipote dell’appellante, giudicata non attendibile, profilo questo non investito da censura, sia in quanto comunque pacificamente tale proposta, se effettivamente intervenuta, era stata avanzata dal convenuto quando la lite era già iniziata.

Sicchè essa, più che un riconoscimento dell’altrui titolarità de bene, sembrava manifestare niente di più che l’intento di comporre bonariamente la controversa.

Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice a qua abbia ritenuto irrilevante la documentazione attestante la stipula ad opera delle parti delle polizze di assicurazione della casa contro gli incendi e la domanda subordinata della controparte di rilascio delle tre stanze e della cucina del primo piano, relative alla porzione 2, occupate dalla ricorrente, da cui appariva chiaro che tra le parti l’uso dei beni era avvenuto in forza di un reciproco comodato d’uso.

Anche questo motivo è inammissibile, introducendo un sindacato sulla valutazione dei fatti compiuta dai giudice di merito ed in quanto non rispetta il principio di autosufficienza, che impone alla parte che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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