Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 21-01-2011, n. 1922 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

La CdA di Reggio Calabria, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento ad opera della prima sezione di questa Corte, ha confermato – con sentenza del 3.7.2009 – la pronunzia di primo grado con la quale C.S. fu condannato alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa (oltre sanzioni accessorie e revoca della sospensione condizionale della pena, relativa a precedente sentenza passata in giudicato il 21.9.2003) perchè riconosciuto colpevole del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

I giudici del rinvio giungevano alla conclusione sopra indicata a seguito della interpretazione di alcune conversazioni intercettate tra il C. e tale R.G., conversazioni il cui contenuto veniva ritenuto inerente al traffico di sostanza stupefacente tipo cocaina.

Sempre dal tenore delle conversazioni, la Corte reggina desumeva che la sostanza stupefacente ceduta a C., non era da questi detenuta per uso personale.

Ricorre per cassazione il C. personalmente e deduce violazione di legge e mancanza di motivazione.

Sostiene il ricorrente che la CdA ha, anche in sede di rinvio, eluso le questioni poste con i motivi di appello, limitandosi, con la tecnica del "taglia e incolla", a riportare il contenuto delle conversazioni ritenute rilevanti e a fornire alle stesse la forzata interpretazione già proposta dalla polizia giudiziaria.

I giudici del rinvio non hanno tenuto in considerazione l’apporto probatorio della difesa e le connesse considerazioni.

L’affermazione di responsabilità si fonda unicamente sul contenuto di equivoche conversazioni intercettate, non corroborate da alcun riscontro.

Con ciò la CdA ha disatteso le indicazioni derivanti dalla sentenza del giudice di legittimità.

La difesa ha documetalmente provato lo stato di tossicodipendenza del C., mentre nessun argomento ha comunque speso la Corte territoriale per dimostrare che si parlasse di cocaina, piuttosto che di altra sostanza stupefacente, in relazione alla quale è previsto un più blando trattamento sanzionatorio.

Di più: tale condizione del ricorrente è stata del tutto ignorata nel giudizio di rinvio, nonostante il tenore delle conversazioni e l’entità dei pagamenti effettuati o promessi stesse chiaramente a provare che il C., a tutto voler concedere, si approvvigionava di piccoli quantitativi, evidentemente destinati all’uso personale.

Anche per quel che riguarda il trattamento sanzionatolo, la sentenza impugnata appare carente per tutte le ragioni sopra specificate (modica quantità, sostanza di limitato effetto stupefacente).

Tanto premesso, rileva questo Collegio che il giudice di rinvio ha dato conto, nella sua motivazione, delle ragioni per le quali:

a) il contenuto delle conversazioni deve ritenersi relativo a sostanza stupefacente;

b) non appare credibile che il C. si rifornisse dal R. per conseguire la predetta sostanza per uso personale;

c) fosse anzi certo che detta sostanza egli cedeva a terzi, provvedendo quindi a far tenere al R. il provento delle illecite cessioni.

Quanto alla questione di cui al punto a), la CdA fa riferimento al contenuto complessivo delle conversazioni, alla sua natura allusiva e criptica.

Quanto all’assunto sub b) e c), i giudici del rinvio hanno posto in evidenza come il C. avesse fatto richiesta di poter tenere presso di sè un "qualcosa" per un certo numero di giorni, finchè "la voce" si fosse sparsa in giro.

A fronte di ciò egli avrebbe dovuto incassare 100, 200, ovvero doveva recuperare somme più modeste (40 o addirittura 20) e di ciò doveva render conto al R..

Orbene, è evidente per la CdA che, se il C. avesse dovuto pagare la droga presa esclusivamente per uso personale, non vi sarebbe stata alcuna ragione di rendere il suo interlocutore edotto della necessità che egli aveva, a sua volta, di incassare denaro da altre persone cui cedeva "qualcosa".

Il ragionamento esplicitato dalla Corte calabrese non è privo di sua intrinseca logicità e dunque non merita le censure che muove il ricorrente.

Se poi tali argomentazioni risultino coincidenti con quelle a suo tempo spese dalla polizia giudiziaria, ciò non è un buon motivo per svalutarle o per tacciare il giudicante che le ha condivise di essersi "appiattito" sulla ipotesi accusatoria proposta dagli inquirenti.

Quanto alla denunziata mancanza di riscontri, è da dire che, sul punto, evidentemente il ricorrente equivoca, atteso che la prima sezione di questa Corte, nella sua sentenza di annullamento, non ha sostenuto che il contenuto di conversazioni intercettate avesse bisogno di essere confortato ab extrinseco da altri elementi di prova.

Non lo ha sostenuto in generale e non lo ha sostenuto con riferimento al caso di specie.

Al proposito, è appena il caso di ricordare che il contenuto di una intercettazione, se pure va attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non va però soggetto, nella predetta valutazione, ai canoni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 (ASN 200425078-RV 229866).

Quanto alla natura della sostanza stupefacente "trattata", è da rilevare che la Corte territoriale, pur avendo dato conto (pag. 48 della sentenza) della censura dell’appellante in base alla quale arbitrariamente era stato ritenuto che la sostanza della quale si parla nelle intercettazioni fosse cocaina, piuttosto che altra di minore dannosità, sul punto non fornisce – in vero – risposta alcuna.

Per altro, la difesa del C. aveva corroborato tale assunto anche facendo riferimento agli importi davvero esigui delle transazioni (100,00 Euro, 40,00 Euro, 20,00 Euro), importi, a suo dire, sintomatici della compravendita di sostanza stupefacente non così "pregiata" come la cocaina.

Sul punto dunque la giustificazione motivazionale appare assente.

Carente di motivazione è la sentenza impugnata anche in ordine ai quantitativi trattati dal C. e dunque con riferimento alla ipotizzabile applicazione del TU n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

E’ di tutta evidenza come la decisione sul punto comporti rilevanti conseguenze, anche sul piano sanzionatorio.

In ordine a tali carenze, dunque, la sentenza va annullata – ancora una volta – con rinvio alla CdA di Messina per nuovo esame, limitato all’accertamento della natura e della quantità della sostanza stupefacente che il C. riceveva dal R. e che provvedeva a mettere in commercio.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente all’accertamento della natura e della quantità della sostanza stupefacente detenuta e commercializzata dal ricorrente, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Messina.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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