Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-02-2011, n. 3718 Ammissibilità o inammissibilità; Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – M.P.G. ha chiesto la reintegrazione del possesso di una striscia di terreno di circa mq. 300 facente parte di un appezzamento di terreno agricolo sito in (OMISSIS), distinto nel NCT dal f. 13 mapp. 366, assumendo di esserne stato spogliato da F.E., M.D. e M.T., proprietari del confinante mapp. 309.

I convenuti hanno resistito alla domanda.

All’esito della causa di merito, istruita con prove testimoniali, produzione di documenti e nomina di c.t.u., il Tribunale di Vercelli, con sentenza depositata il 5 agosto 2002, ha accolto la domanda e condannato i convenuti a reintegrare il M.P.G. nel possesso dell’area di terreno localizzata a m. 1,5 ad ovest dal palo dell’Enel ivi esistente, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio.

F.E., M.D. e M.T. hanno proposto appello.

Ha resistito il M.P.G., proponendo appello incidentale sulla misura delle spese liquidate in suo favore.

2. – La Corte di Torino, con sentenza n. 1469 del 23 settembre 2004, ha dichiarato inammissibile l’appello principale ed inefficace quello incidentale tardivo.

2.1. – La Corte territoriale ha rilevato che i quattro motivi di appello principale prospettano esclusivamente doglianze inerenti alla validità della sentenza, per difetto dei requisiti minimi di congruità e logica motivazionale, argomentando sempre e solo in punto di legittimità del prodotto decisorio, senza mai attingere alle ragioni di merito che dovrebbero indurre ad una soluzione diversa da quella adottata dal giudice di primo grado.

Tale impostazione del gravame – ha sottolineato la Corte subalpina – è insufficiente a soddisfare il requisito di specificità dei motivi di impugnazione, imposto dall’art. 342 cod. proc. civ., non tanto perchè sia deficitaria la critica in sè della sentenza, quanto per il fatto che ad essa non subentra alcuna puntuale indicazione dei dati di fatto e/o di diritto che avrebbero dovuto imporre la reiezione della domanda.

Le censure di legittimità della sentenza quale atto processuale che deve rispecchiare i requisiti minimi prescritti dall’art. 132 cod. proc. civ. e dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. non possono esaurire i motivi di appello poichè non sarebbero idonee a condurre, ove anche accolte, alla rimessione della causa al giudice di primo grado.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso M.D. e M.T., con atto notificato il 3 maggio 2005, sulla base di un unico motivo.

Ha resistito, con controricorso, M.P.G..

L’altra intimata – F.E. – non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo, i ricorrenti deducono "violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla violazione dell’art. 342 cod. proc. civ.".

Contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, nell’appello sarebbero indicati i motivi specifici di impugnazione.

Infatti, sarebbe stata dedotta l’erroneità della sentenza del Tribunale là dove aveva ritenuto essere stato perpetrato uno spoglio.

Ancora, la sentenza di primo grado sarebbe stata impugnata con riguardo alla ritenuta attendibilità dei testimoni escussi in riferimento alla esatta individuazione del confine tra i fondi.

Sarebbe stato rilevato che il giudice di primo grado non aveva tenuto conto delle prove documentali allegate dagli appellanti, delle risultanze della relazione del consulente tecnico di parte e dei documenti catastali.

Infine, con l’atto di appello era stato lamentato che l’ordine contenuto nella sentenza di primo grado era del tutto privo della, possibilità di preciso apprezzamento e, pertanto, di sua esecuzione.

2. – Il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati.

La Corte d’appello muove dall’esatta enunciazione del principio di diritto secondo cui l’impugnazione con cui l’appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole (anche) nel merito è ammissibile nei soli limiti in cui i vizi denunciati, se fondati, imporrebbero una rimessione del procedimento al primo giudice ex artt. 353 e 354 cod. proc. civ., e non anche nel caso in cui i vizi medesimi non rientrino nelle ipotesi tassativamente elencate dalle norme predette (Cass., Sez. 3^, 29 settembre 2005, n. 19159; Cass., Sez. 2^, 25 settembre 2006, n. 20785; Cass., Sez. 3^, 29 gennaio 2010, n. 2053).

Sennonchè, per giungere all’applicazione di questo principio la Corte territoriale si è limitata a dare rilievo alla intestazione dei motivi di appello, laddove la lettura completa dell’atto di appello consente di escludere che gli appellanti abbiano dedotto solo vizi in rito della sentenza di primo grado.

Con i motivi di impugnazione, infatti, gli appellanti non si sono limitati a veicolare doglianze riferite alla legittimità del prodotto decisorio (sotto il profilo della requisiti minimi di congruità e logicità motivazionale della sentenza, dell’intrinseca illogicità del suo dispositivo e del contrasto tra le ragioni prospettate in sentenza ed il tenore del dispositivo), ma hanno dedotto ritualmente, nel rispetto del requisito di specificità della censura richiesto dall’art. 342 cod. proc. civ., anche questioni di merito, così lamentando l’ingiustizia della sentenza.

Ne sono prova il primo motivo, dove si indicano le ragioni (a nulla rilevando che siano state esposte in forma interrogativa) per cui non sarebbero attendibili i testi An. e Ma. che avevano riferito sul confine convenzionale tra i fondi alla distanza di m.

1,48 dal palo dell’Enel; ed il terzo motivo, con il quale si addebita alla sentenza di primo grado di avere omesso di considerare le conclusioni della c.t.u., con le quali era stato chiarito che la parte convenuta non aveva effettuato alcun tipo di spossessamento del terreno del ricorrente.

3. – La sentenza della Corte d’appello è cassata, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: Al fine di stabilire se con l’atto di impugnazione l’appellante si sia limitato a dedurre (inammissibilmente, al di fuori dei casi di cui agli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.) censure di mero rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole nel merito, il giudice del gravame non può fermarsi ad esaminare la rubrica dei motivi di impugnazione, ma deve guardare anche allo sviluppo dei motivi stessi, e così scrutinare nel merito l’impugnazione ove, con essi, l’appellante abbia dedotto ritualmente, nel rispetto del requisito di specificità della doglianza richiesto dall’art. 342 cod. proc. civ., anche questioni attinenti al fondo del prodotto decisorio, lamentando, al di là di quanto indicato in sede di intitolazione del vizio denunciato, l’ingiustizia della sentenza.

La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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