Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-11-2010) 21-01-2011, n. 1848 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con decreto 15.11.1996, in sede di procedimento di prevenzione nei confronti di N.E. – al quale veniva applicata la misura della sorveglianza speciale per la durata di anni cinque con obbligo di soggiorno ai sensi della L. n. 1423 del 1956, art. 1 e seg. e L. n. 575 del 1965, art. 1 e seg., il tribunale di Roma disponeva, ex L. n. 575 del 1965, art. 3 ter, la confisca delle quote delle società Cofim s.r.l., Eurocar Tuscolano s.r.l., Finmanagement s.r.l. Mancini lavori s.r.l., le cui quote erano nella disponibilità del prevenuto.

Riteneva il tribunale che le predette società erano esposte e debitrici della Ca.Ri.Ri., ma tale esposizione, in base alle risultanze di una perizia di ufficio, doveva ritenersi sorretta da mala fede. Il decreto veniva poi confermato, nella parte relativa alla confisca delle quote delle società sopra menzionate, dalla Corte di appello con decreto 17.6.1999 che, peraltro dichiarava inammissibile l’appello della Ca.Ri.Ri. e revocava la confisca delle quote sociali delle sole società Immobiliare Socerfin s.r.l. e Sit International.

A seguito della sentenza della Corte di Cassazione 28.2.2001 n. 20108, divenuta definitiva la confisca dei beni come disposta dal decreto 15.11.1996, l’Agenzia del Demanio, con istanza avanzata al tribunale di Roma come giudice della esecuzione, proponeva incidente di esecuzione, con il quale, in via principale, chiedeva che fossero disconosciuti i crediti già vantati dalla Ca.Ri.Ri., ceduti poi dalla Ca.Ri.Ri. s.p.a. all’Intesa gestione credito s.p.a., che fossero inopponibili ad essa Agenzia tutte le ipoteche giudiziali iscritte sui beni confiscati e fosse impartito l’ordine al Conservatore dei registri immobiliari di cancellarle; in via subordinata, chiedeva che fosse accertata la mala fede della Cassa onde non fossero proseguite le azioni esecutive civili promosse dalla cessionaria, l’intesa Gestioni crediti s.p.a..

Il tribunale di Roma, con ordinanza 15.7.2005, accoglieva la domanda dell’Agenzia del demanio e, per l’effetto, estendeva il provvedimento di confisca alle ipoteche iscritte dalla Cassa, dichiarava la mala fede della stessa, ovvero dei funzionari che avevano concesso i crediti, e, conseguentemente, dichiarava l’inopponibilità delle iscrizioni ipotecarie all’Agenzia del Demanio. Su ricorso dell’Intesa Gestione crediti s.p.a., Cass. Sez. 1, 11.7.2006, n. 35802 annullava senza rinvio l’ordinanza del tribunale di Roma, dichiarava competente a decidere sull’incidente di esecuzione la Corte di appello della stessa città a cui venivano inviati gli atti, in sede di udienza si costituiva l’Intesa San Paolo s.p.a., che in seguito ad un procedimento di fusione era subentrata all’Intesa gestione crediti s.p.a.

La Corte di appello, con ordinanza 25.5/6.7.2007, accoglieva l’istanza dell’Agenzia del demanio, integrava così il dispositivo del decreto di confisca del tribunale in data 15.11.1996 e, per l’effetto dichiarava la mala fede della Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a. nella concessione dei crediti alle società del N..

Proposto nuovo ricorso per Cassazione, la Corte decideva in rito:

qualificava il ricorso come opposizione ai sensi dell’art. 667 c.p.p., comma 4, trasmetteva di conseguenza gli atti alla Corte di appello di Roma che decideva con l’ordinanza 23.10/9.12.20099, oggetto del ricorso per Cassazione sul quale è chiamata a decidere la Corte.

Con l’ordinanza 23.10/9.12.2009 il giudice della esecuzione riteneva manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate per non prevedere la legge la partecipazione del terzo al procedimento di prevenzione e per celebrarsi l’incidente di esecuzione nelle forme, meno garantiste, della camera di consiglio.

Riteneva la mala fede della Ca.Ri.Ri. nel momento della iscrizione dell’ipoteca. Riteneva irrilevanti nel procedimento esecutivo di prevenzione, il giudicato civile formatosi tra l’ente economico Banca di Rieti ed il debitore, esulando da quel giudicato l’accertamento della mala fede dell’ente.

Ribadiva la Corte che il giudice della prevenzione, con il menzionato decreto del 15.11.1996, aveva ritenuto che l’istituto bancario, tramite i propri organi, aveva agito in mala fede; che è onere del terzo, che vanti un diritto reale di garanzia su un bene sottoposto a confisca ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, di provare la buona fede, cioè la mancanza di collegamento del diritto stesso con l’attività illecita dell’indiziato di mafia, derivante da condotte di agevolazione o di fiancheggiamento. L’opponente non aveva adempiuto all’onere probatorio. La banca opponente, titolare di un diritto reale di garanzia, per farlo valere avrebbe dovuto dimostrare la propria buona fede e il proprio affidamento incolpevole al momento della iscrizione dell’ipoteca. L’opponente non aveva dimostrato la buona fede della Cassa di risparmio di Rieti s.p.a. a cui è subentrata.

Invece dalla relazione di G.F. si ricavava che la s.p.a accordava crediti al gruppo Nicoletti sino a tutta la prima metà del 1992 e che si decideva a revocare i crediti del gruppo solo il 19.5.1993, quando gli stessi divennero insostenibili per l’arresto del N..

3- Avverso la predetta ordinanza ricorre per Cassazione, tramite difensore, l’Intesa San Paolo s.p.a.,succeduta alla Gestione crediti s.p.a., che deduce dieci motivi di ricorso. a) Con in primo motivo di ricorso si chiede cha la Corte dichiari rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 665 e 666 in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. laddove non prevedono che il terzo creditore ipotecario, che agisce per far valere i propri diritti sui beni confiscati nel procedimento di prevenzione, non possa avvalersi dell’appello e con oneri di prova a suo carico, a differenza di quanto invece possono fare, in forza della sentenza della Corte cost. 8/20.11.1995 n. 487, i terzi a seguito della confisca conseguente alla sospensione temporanea della amministrazione dei beni e disposta ex L. n. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 quinquies ed, ancora, con riferimento ai terzi che sono intervenuti nel giudizio di prevenzione ai sensi della citata legge, art. 2 ter, comma 5, la cui possibilità di proporre appello è a loro conferita dalla citata legge, art. 3 ter, comma 2.

Per completezza occorre dire che nel contesto del primo motivo si sostiene che la cognizione sui diritti Soggettivi di terzi dovrebbe, ai sensi dell’art. 1 c.p.c., spettare al giudice civile, una volta esaurito il procedimento di prevenzione con la statuizione divenuta irrevocabile della confisca, dal momento che l’amministrazione dei beni confiscati in esito al procedimento di prevenzione non è sottoposta al controllo giurisdizionale penale, ma è una amministrazione che si svolge sotto il controllo dell’Agenzia del demanio. b) Con il secondo motivo di ricorso, si chiede che la Corte sollevi la questione di costituzionalità della L. n. 1427 del 1956, art. 4 e L. n. 574 del 1965, art. 2 ter per violazione degli artt. 111 e 117 Cost. correlato quest’ultimo all’art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la mancata previsione della celebrazione del giudizio in pubblica udienza.

Vi è da dire in proposito, come ha rilevato il p.g. nella sua requisitoria scritta, che la Corte Cost. con Sent. 12.3.2010, n. 93 ha dichiarato la illegittimità costituzionale, sotto il profilo denunciato, delle due norme sopra citate. c) Con il terzo motivo si deduce l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione proposto dall’Agenzia del demanio per non essere state indicate le generalità del legale rappresentante ai sensi degli artt. 78 e 84 c.p.p. o, e, comunque, per difetto di legittimazione per essere i beni confiscati di proprietà dello Stato, mentre l’amministrazione del demanio avrebbe solo la titolarità della gestione civilistica dei beni.

Sul punto la ricorrente segnala che i beni confiscati erano stati trasferiti al Comune di Roma, già prima della proposizione dell’incidente di esecuzione tanto che lo stesso in questa veste era intervenuto nel procedimento di esecuzione penale davanti al Tribunale e poi davanti alla Corte di appello. d) Con il quarto motivo di ricorso si denuncia il travalicamento dei limiti del potere giurisdizionale spettante al giudice della esecuzione che ha richiamato il decreto 15.11.1996 per dedurne il riconoscimento della mala fede della Ca.Ri.Ri. nella accensione delle ipoteche, mentre a parte ogni possibile critica sulla interpretazione del contenuto del decreto, sul punto, occorre, e solo, fare riferimento al decreto 17.6.1999 che, in sede di appello, ha assorbito, sostituendolo del tutto il primo decreto impugnato, e dal suo contenuto non si trae in modo assoluto una valutazione di mala fede della Ca. Ri. Ri. e) Con il quinto motivo si denuncia la violazione del diritto di difesa per avere la Corte di appello ritenuto la mala fede della Ca.Ri.Ri. in un procedimento che non ha visto la partecipazione della diretta interessata a quel giudizio, per l’appunto la Cassa di Rieti. f) Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la violazione del principio di personalità della responsabilità conseguente all’errore di valutazione proprio dell’ordinanza impugnata che, nel ritenere la mala fede della ricorrente, non ha considerato che l’Intesa gestione crediti ha acquistato a titolo oneroso i crediti della Ca.Ri.Ri. s.p.a con contratto stipulato in data 9.6.2000, confidando su quanto si traeva dal decreto 17.6.1999 della Corte di appello di Roma che aveva attestato la buona fede della Ca.Ri.Ri..

E questo ha potuto fare per aver violato il giudicato costituito dal decreto 17.6.1999 di cui ha travisato il contenuto.

Ancora, il giudice della esecuzione – la Corte di appello di Roma- non aveva considerato le tre distinte posizioni dell’ente economico Ca.Ri.Ri., della società per azioni Ca.Ri.Ri.,costituita con la massiccia partecipazione della Ca.Ri.PLo. il 24.7.1992, e dell’Intesa Gestioni Crediti s.p.a. per trame corrette valutazioni in termini di buona fede correlate ai singoli soggetti, che lo stesso perito Dr. G. aveva sempre rimarcato la buona fede della subentrante all’ente economico, che la situazione di anomalia nella gestione dei rapporti bancali, protrattasi fino al 1992, non era ascrivibile alla società per azioni costituita per l’appunto nel 1992, ma solo all’ente economico Banca di Rieti.

Ancora: il giudice della esecuzione non avrebbe considerato che le ipoteche giudiziali furono iscritti nell’Agosto del 1993 su iniziativa della società per azioni e in base a crediti sorti anteriormente con la gestione dell’ente economico banca. g) Con il settimo motivo si denuncia la violazione del giudicato civile – artt. 2859 e 2909 c.c. – formatosi in seguito ai processi di cui alle sentenze del tribunale di Rieti promosso dall’ente economico Ca.Ri.Ri. contro il debitore e con l’intervento dell’amministrazione dei beni confiscati. Ne conseguiva che l’Agenzia del Demanio, gestore dei beni confiscati, è dunque vincolata dal giudicato dichiarativo del debito e costitutivo della condanna al pagamento delle somme oggetto del credito, avendo partecipato ai giudizi di cognizione. h) Con l’ottavo motivo di ricorso si eccepisce ancora la violazione del giudicato civile, con riferimento alla sentenza del Tribunale civile di Roma 13.10.2004 n. 27975 passata in giudicato e resa nella opposizione all’esecuzione sui beni promossa dall’Amministratore giudiziario contro la Ca.R.Ri. s.p.a. conclusasi con il rigetto degli stessi motivi di opposizione proposti in sede penale dall’Agenzia del demanio. i) Con il nono motivo di ricorso si denuncia la violazione del principio dell’onere della prova in forza del quale, per la regola della presunzione della buona fede, la mala fede deve essere provata dalla parte pubblica, nella specie l’Agenzia del demanio.

1) Con il decimo ed ultimo motivo di ricorso si denuncia la violazione del principio di legalità di cui all’art. 1 del protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per l’assoggettamento dei terzi titolari di diritti ipotecali ad una misura ablativa, quale la confisca, in un procedimento in cui non si è stati parte.

4- Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato il 16.6.2010 una memoria, migrandola poi con altra nota il giorno successivo, con la quale, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte che riconosce i diritti dei terzi sui beni confiscati se pignorati, ipotecati o acquistati in buona fede, e dopo aver riconosciuto la legittimazione del Demanio a stare in giudizio per l’assorbente rilievo che per essi si è costituito in giudizio l’Avvocatura di Stato, ha concluso per l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata per non essere stato celebrato il giudizio in udienza pubblica, ma in camera di consiglio. Richiama in proposito in prima battuta la decisione della Corte di Strasburgo (Requete n 399/02) 13.11.2007, Bocellari e Rizza, c. Italie), che ha affermato che il controllo pubblico dell’udienza di prevenzione, dove è in discussione la situazione patrimoniale dell’interessato, è condizione necessaria, pena la violazione dell’art. 6, comma 1 della CEDU, a garanzia del rispetto dei diritti dell’interessato. In seconda battuta, il predetto P.G. richiama la sentenza della Corte cost. n. 93/2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4 e della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga davanti al tribunale ed alla Corte di appello, nelle forme dell’udienza pubblica.

5- Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

A- E’ manifestamente infondata, e di certo inammissibile, nel particolare contesto processuale, la eccezione di costituzionalità per la disparità di trattamento con situazioni omologhe, come indicate nella parte espositiva, in cui è previsto l’appello, precluso invece nel caso di incidente di esecuzione alla cui decisione consegue il ricorso per Cassazione, e non "l’appello", rectius un secondo giudizio di merito. Invero l’eccezione nasconde la pretesa, chiaramente inammissibile, di ottenere un terzo grado di giudizio di merito: la Corte di appello, sempre con udienza partecipata, ha deciso l’incidente di esecuzione, prima con la sentenza 25.5/6.7 2007, poi, in seguito alla trasmissione alla stessa Corte in seguito a Cass. Sez. 1, 23.4.2008 che qualificava il ricorso proposto da Intesa gestione crediti s.p.a. come opposizione ex art. 667 c.p.p., comma 4, ancora con la sentenza oggetto del ricorso ora in decisione. Parte ricorrente quindi non può dolersi di un minus di garanzie processuali, per essere stata ampiamente tutelata per via di due gradi di giudizio di merito.

B- Parimenti non coglie affatto nel segno il rilievo alla cui stregua il giudice civile dovrebbe essere deputato a conoscere e giudicare i diritti dei terzi sui beni confiscati, una volta esaurito il procedimento di prevenzione. Una tale eccezione, posta peraltro a fondamento del settimo e ottavo motivo di ricorso, che rivendicano la preclusività del presente giudizio per i giudicati civili intervenuti, da un lato, tra la C. ed il N., con l’intervento della amministrazione dei beni confiscati, dall’altro, in sede di opposizione alla esecuzione sui beni promossa dall’amministratore giudiziario contro la Cariri s.p.a., non è per nulla attenta alla peculiare natura e struttura dell’oggetto del giudizio penale o di prevenzione, quando esso concerne, per l’appunto, la confisca. Questa si traduce in una ablazione della proprietà e del possesso del bene nella sua integralità, in funzione per l’appunto ad esigenze pubbliche punitive e preventive, per l’appunto, sicchè spetta, per volontà di legge al giudice penale la risoluzione di controversie che attengano alla praticabilità ed alla permanenza della misura, ed in quale entità.

E la confisca, sia quale misura di sicurezza patrimoniale che quale misura di prevenzione patrimoniale, non perde certo la sua natura ed identità, una volta stabilita irrevocabilmente dal giudice penale o dal giudice della prevenzione che quindi dovranno essere chiamati ad esercitare ancora la loro giurisdizione per risolvere pretese che mirano alla revoca, anche parziale, del provvedimento ablativo. La giurisdizione diversa dalla penale interverrà solo dopo che la natura penale o preventiva della misura sarà sconfessata ad opera della stessa giurisdizione che l’ha stabilita. Ed è conseguenza di un tale principio la disposizione – l’art. 263 c.p.p., comma 3 secondo cui, disposto il sequestro penale di cosa non afferente al reato per cui si procede, "in caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice (penale) ne rimette la risoluzione al giudice civile……..,mantenendo nel frattempo il sequestro". C- Nemmeno può, ancora, condividersi la pretesa, pena l’incostituzionalità della disposizioni di rito applicate, per una decisione, sulle opposizioni del terzo ad una confisca irrevocabilmente stabilita, da assumere non in camera di consiglio, ma in udienza pubblica. L’assunto è stato condiviso dal procuratore generale presso questa Corte, ma senza fondamento, e per un duplice, graduato motivo: da un lato, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4 e L. 31 maggio 1965, n. 474, art. 2 ter, nella parte in cui non consentono che, a richiesta di parte, il procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione si svolga nelle forme dell’udienza pubblicar non risulta che una richiesta in tal senso sia stata avanzata davanti alla Corte di appello, dall’altro, la decisione richiamata ha riferimento alla fase cognitiva del procedimento di prevenzione, allorchè una misura ablatoria deve ancora stabilirsi dal giudice competente. Situazione ben diversa quella de qua, costitutiva di un procedimento di esecuzione che presuppone già formato una statuizione contestata in una fase successiva e che segna quindi una fattispecie diversa e non omologabile a quella considerata dal giudice delle leggi.. Peraltro in fase esecutiva non si rinviene nell’ordinamento alcun caso dove la decisione debba essere assunta in pubblica udienza, proprio perchè l’esigenza del controllo del pubblico sull’esercizio della giurisdizione ha già avuto modo di esplicarsi in una fase precedente.

D- L’ultima contestazione difensiva in rito, quella che eccepisce il difetto di legittimazione a stare in giudizio del Demanio, anche per vizi formali, è anch’ essa destituita di fondamento,ed in forza dei principi di diritto ormai consolidati e ipostatizzati, per tutti, da Cass. Sez. 1, 29.4/27.7.2010, Agenzia Demanio ed altro, Rv. 247859.

Può quindi ripetersi che l’Agenzia del Demanio, con i suoi aventi causa, è portatrice di un interesse volto a sentir dichiarare non sussistenti i presupposti da cui possano discendere pretese azionabili da chi non in buona fede ha iscritto ipoteca sui beni poi confiscati. I denunciati vizi di forma, poi, rimangono assorbiti dal rilevo che l’amministrazione pubblica è stata ed è difesa dall’Avvocatura di Stato. Ed è anche principio consolidato quello secondo cui la costituzione in giudizio per mezzo dell’Avvocatura di Stato non richiede il conferimento di una procura da parte dell’Amministrazione rappresentata in giudizio, perchè l’Avvocatura dello Stato deriva lo "ius postulandi", direttamente dalla legge, con l’ulteriore conseguenza che non è neppure onerata della produzione della documentazione attestante la volontà della stessa amministrazione di procedere giudizialmente (Cass. Sez. 6, 4.11.2009/11.2.2010, Donti ed a., Rv246068).

E- Con il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso si eccepisce la violazione dei diritti del terzo sotto i molteplici profili, ma tutti riconducibili all’asserto, non condivisibile, della mancanza di potere del giudice dell’esecuzione di accertare la sua mala fede, una volta che egli non abbia partecipato al giudizio di merito sul presupposto, la pericolosità sociale, posto a fondamento della misura di prevenzione personale e patrimoniale, nonchè alla eccezione che contesta per l’appunto la mala fede, oltre che nel soggetto che ha acceso l’ipoteca sull’immobile oggetto di confisca, anche nei successivi aventi causa.

Ma tutte le deduzioni dei ricorrenti collidono con gli indirizzi giurisprudenziali sul punto, univoci nello stabilire che il terzo che vanti un diritto reale di garanzia su un bene sottoposto a confisca ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, ha l’onere di provare, nel procedimento di esecuzione avente ad oggetto la confiscabilità del medesimo bene, tra l’altro la mancanza di collegamento del diritto stesso con l’attività illecita del soggetto contro il quale è stata proposta ed applicata una misura di prevenzione, derivante da condotte di agevolazione o di fiancheggiamento (Cass. Sez. 1, 14.1/21.1.2009, San Paolo I.M.I. Rv.

242817). E sempre la giurisprudenza di questa Corte si è ormai da tempo assestata, con riferimento alle condizioni ostative al riconoscimento dei diritti del terzo sul bene oggetto della condisca de qua, nella recisa affermazione che in tanto quei diritti possono essere riconosciuti con la conseguenza di depotenziare il provvedimento ablatorio, in quanto si riscontri l’assenza nel terzo di condizioni che rendano profilabili a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza (per tutte, Cass. S.U., 28.4.1999, n. 9, Bacherotti,Rv. 213511; Cass. Sez. 1, 29.4./27.7.2010 cit.). E sul punto la Corte di appello, nella fattispecie in esame, in prima ed in seconda battuta, ha evidenziato a tutto tondo le circostanze dalle quali era fin troppo facile desumere l’irregolarità dei crediti concessi per operazioni facenti capo al N. ed alla sua famiglia. Per tutto è sufficiente richiamare le allarmanti considerazioni contenute nella perizia G., già funzionario dell’Ufficio ispettivo della Banca d’Italia, che nel procedimento di prevenzione (conclusosi in primo grado con il decreto del tribunale di Roma datato 15.11.1996) ha svolto approfondite analisi bancarie che hanno permesso di accertare che la Cassa di risparmio di Rieti ha tenuto, nei suoi rapporti con le società del N., una condotta costantemente ed incredibilmente anomala rispetto alle regole che disciplinano il credito bancario, ma anche addirittura lesiva dei propri interessi.

Ma sul punto deve registrarsi la latitanza dei motivi di ricorso che nessuna attenzione dedicano ai rilievi del perito G.F., Come recepiti dal giudice della esecuzione e non contestano il discorso giustificativo giudiziale sulle circostanze da quel giudice evidenziate ai fini di un tentativo di dimostrazione della buona fede del terzo, e dei suoi aventi casa, che hanno promosso l’iscrizione delle ipoteche sui beni confiscarti In tal senso basterebbe sottolineare, come si legge nella ordinanza della Corte di appello 25.5/6.7.2007, che il giudice della prevenzione ha ordinato la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica in ordine alla posizione della Cariri nei sui rapporti con le società riconducibili al N.. Ogni altro discorso difensivo è assorbito dai rilievi pofilo sopra esposti.

F- La non fondatezza degli ultimi tre motivi di ricorso consegue de plano alle osservazioni critiche esposte in precedenza.

I giudicati civili non possono certo invadere il campo proprio della giurisdizione penale e di prevenzione nell’accertamento dei diritti del terzo vantati su un bene oggetto di confisca. In questo caso l’interesse pubblico alla conservazione di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato in forza dell’esito di un procedimento penale e/o di prevenzione esige che sia la stessa giurisdizione, che la natura criminogena dell’azione o la pericolosità sociale del proposto ha accertato, a conoscere dei diritti di terzi, secernendo i diritti dei terzi in buona fede da quelli che in buona fede non sono. Peraltro una chiara disarmonia si creerebbe nel sistema se si consentisse una diversità di rito procedimentale a seconda che i terzi siano chiamati o meno a partecipare al giudizio di cognizione: nel primo caso pacifica la giurisdizione del giudice penale e/o di prevenzione, nel secondo, invece, essa dovrebbe cedere incoerentemente il passo ad una giurisdizione diversa, pur essendo identica la materia da giudicare.

Le pretese dei terzi che vantano diritti su un bene confiscato ed entrato perciò stesso nel patrimonio dello Stato sono, per giurisprudenza e dottrina, ampiamente tutelati attraverso la possibilità dell’opposizione avverso il primo provvedimento giudiziale e successivamente attraverso il ricorso per Cassazione avverso la decisione che conclude il procedimento di opposizione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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