Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-02-2011, n. 3700 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’azienda agricola Cascina Poscalla di Carlo Bergamaschi & C. s.s. si opponeva all’ordinanza ingiunzione con cui il 17 giugno 2005 l’Ispettorato Frodi di Milano – Ministero Agricoltura aveva irrogato sanzione pecuniaria per irregolarità, relative agli anni 1996-2001 nel percepimento di aiuti previsti dalla CEE per mantenimento prati permanenti. L’amministrazione si costituiva con comparsa. Il giudice di pace di Varese con sentenza depositata il 21 febbraio 2006 respingeva l’opposizione. Rilevava che legittimamente era stata dichiarata la decadenza per tutte le misure, in quanto la somma degli importi dei premi indebitamente erogati superava (21,2% rispetto a un limite del 20%) il limite consentito. Ribadiva la tempestività del provvedimento adottato nel 2005, a seguito di accertamento del (OMISSIS) e di notifica del verbale avvenuta il 27 dicembre 2001, per fatti risalenti agli anni (OMISSIS). Escludeva la scusabilità della L. n. 689 del 1981, ex art. 3 trattandosi di erogazione di fondi su domanda, che avrebbe dovuto essere fondata su elementi "certi ed attuali".

L’opponente ha proposto ricorso per cassazione, notificato alla sede milanese dell’ispettorato il 6/11 aprile 2007. L’amministrazione è rimasta intimata.

Il Pg ha avviato la causa a trattazione camerale. Con ordinanza interlocutoria 24 aprile 2010 è stata disposta rimessione a pubblica udienza.

Motivi della decisione

1) Il ricorso, che sfugge ratione temporis al disposto del D.Lgs n. 40 del 2006, espone cinque motivi. Con il primo l’opponente denuncia violazione di "norme processuali ex art. 360 c.p.c., n. 3, in particolare del principio stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 22". Giova rilevare che la rubrica contiene intima contraddizione tra la denuncia di violazione processuale – da ricondurre all’art 360, n. 4 -e denuncia di violazione di legge.

La censura si sostanzia in una breve proposizione con la quale il ricorrente deduce che l’onere probatorio dei fatti posti a base della sanzione incombeva sull’amministrazione, la quale non vi avrebbe provveduto.

Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione "sulla verifica dei criteri di misurazione utilizzati dagli agenti verbalizzanti", in relazione ai quali il ricorrente lamenta che non sia stato accertato se i verbalizzanti abbiano adoperato i criteri indicati dalla normativa comunitaria e nazionale citata nel corpo del motivo.

Il quinto motivo, che può essere esaminato unitamente ai primi due, censura la motivazione per contraddittorietà in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della violazione della L. n. 689, ex art. 3 elemento che il ricorrente reputa non fosse configurabile per aver fatto egli affidamento sui dati catastali.

Le doglianze dell’opponente non meritano accoglimento.

2) Giova preliminarmente ricordare che il verbale di accertamento dell’infrazione pur facendo piena prova, fino a querela di falso, solo riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, tuttavia ha valore anche quanto alla verità sostanziale o alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante. In riferimento a tali ultimi contenuti il documento può avere efficacia probatoria, dovendo il giudice di merito prenderli comunque in esame (Cass. 9919/06) con un’attendibilità’ che è valutata dal giudice in relazione al materiale probatorio disponibile, ma che in taluni casi può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (SU 916/96). Ora, nel caso di specie parte ricorrente in sostanza sostiene che per la misurazione dei terreni i verbalizzanti si sarebbero limitati a misurare le aree ritenute non ammesse, perchè aventi colture diverse da quelle descritte, e abbiano sottratto tale dato da quello complessivo catastale, senza considerare la differenza esistente tra dato catastale e dato reale. Le censure che svolge non sono però decisive, per i seguenti motivi: quanto alla prima, perchè si risolve nel far riferimento a "contestazioni mosse in punto di misurazioni", che non vengono però, nel primo motivo, riprodotte in guisa tale da poter consentire alla Corte di comprendere se vi sia stata violazione di legge processuale. Ciò non risulta dalla sola lettura della sentenza, che non fa cenno alle contestazioni addotte dalla parte. Peraltro si tratterebbe in ogni caso di questioni attinenti la prova della violazione e non il riparto dell’onere probatorio, incongruamente posto come oggetto del primo motivo, atteso che la sentenza non ha ribaltato tale onere a carico dell’opponente, ma ha fatto affidamento sulle risultanze del verbale, restando nei limiti di quanto consentito dalla giurisprudenza sopraricordata.

3) Il secondo motivo, nel denunciare i vizi di motivazione, incorre in una evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Per contestare le valutazioni effettuate dai verbalizzanti e recepite in sentenza, il ricorso richiama infatti "per più compiutamente illustrare la fattispecie", "quanto già svolto in ricorso". Mette conto però ribadire che il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di atti processuali o documentali ha l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. 11886/06; 8960/06; 7610/06).

Il successivo svolgimento del ricorso peraltro non fa capo a risultanze documentali atte a smentire quelle del verbale, ma solo a censure di parte ricorrente riguardo alla metodologia seguita dai verbalizzanti per computare le superfici reali e al contrasto con il dato catastale. Si sostiene che per la misurazione dei terreni i verbalizzanti sembra si siano limitati a misurare le aree ritenute non ammesse, perchè aventi colture diverse da quelle descritte e abbiano sottratto tale dato da quello complessivo catastale, senza considerare che c’è differenza tra dato catastale e dato reale. La censura finisce con il fondarsi sulla congettura, invocata quale dato notorio, che vi sia discrasia tra dato catastale e dato effettivo. Il ricorso non è però in grado di esporre alcun elemento specifico (desumibile da testimonianze, documenti circa le produzioni, accertamenti tecnici preventivi) che poteva indurre il giudicante a dubitare dell’esattezza degli accertamenti tecnici, oltre quelli meramente congetturali. Ciò vale anche per la contestazione secondo cui la coltivazione di un’area a mais, accertata per il (OMISSIS), sarebbe stata indebitamente fatta oggetto di addebito anche per gli anni precedenti. Si deve qui rilevare che l’argomento presuntivo in tal caso utilizzato poteva essere superato solo da prova contraria del trasgressore, la cui esclusiva vicinanza alla prova gli imponeva di dimostrare quali diverse colture avessero occupato il terreno de quo. Va comunque rilevato che tutti questi rilievi, del tutto nuovi rispetto alla materia trattata in sentenza, dovevano essere contenuti nell’atto di opposizione e specificamente riportati in ricorso, adempimento mancato. In difetto, la doglianza circa i metodi di accertamento seguiti dall’ufficio rimane, come detto, allo stato puramente congetturale.

4) Queste considerazioni implicitamente travolgono anche il quinto motivo, atteso che la scusabilità della violazione commessa è fondata dal ricorrente sul presupposto di possibili discordanze tra dati catastali e reali, rimaste non dimostrate. Il ragionamento del giudicante non è contraddittorio. Questi ha fatto affidamento sui dati disponibili, anche catastali, aventi valore probatorio ai fini sanzionatori. Ha rimproverato al ricorrente di aver errato nell’indicare le misure che legittimavano il diritto a percepire gli aiuti comunitari, giacchè questo diritto si deve fondare su dati esatti e verificabili. La verifica eseguita dai verbalizzanti, inadeguatamente criticata nelle due sedi processuali, ha inficiato i dati offerti dal trasgressore, giustificando la sanzione.

5) Il terzo motivo lamenta violazione di legge "in merito alla determinazione della sanzione". Si sostiene che i dati degli accertamenti portano ad una media di superamento della percentuale da cui deriva la sanzione al di sotto della soglia del 20%; che solo la voce BO7 darebbe un dato superiore alla soglia e che rispetto ad essa il dovuto sarebbe inferiore a quello accertato. Il quesito con il quale il motivo si conclude lamenta che siano stati violati i criteri di calcolo di cui alla L. n. 898 del 1986. Anche questa censura è incongruamente formulata. Essa oscilla palesemente tra la violazione di legge, indicata in rubrica e nel quesito, e le ragioni esposte nel corpo del motivo, riconducibili al vizio di motivazione. In tal modo risulta infondato o inammissibile, atteso che: a) il vizio di motivazione risulta dipendente dalla sorte delle doglianze relative al superamento della percentuale, con il quale, come ammette il ricorso "è logicamente consequenziale". Non risultano inoltre riportati testualmente e integralmente i dati del "verbale 481" da cui desumere l’inesistenza delle difformità di calcolo nella misura del 21,2%. Non è quindi riscontrabile nella motivazione del giudice di pace un decisivo vizio di motivazione. B) La violazione di legge non è proposta con l’indispensabile specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina. Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3) deve essere dedotto con tali requisiti, perchè diversamente non si pone la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

6) Anche la censura relativa alla prescrizione della sanzione è da disattendere. L’opponente torna a sostenere che la prescrizione si verifica a 5 anni dal fatto e quindi per gli anni 97-2000,cui si riferisce l’indebita percezione degli aiuti comunitari sarebbe ineluttabilmente maturata. La tesi è manifestamente priva di fondamento. In tema di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esso esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., con conseguente effetto interruttivo della prescrizione (Cass 1081/07; 18064/07; v. anche 5063/06). Ne consegue che bene ha fatto il giudice di pace ad attribuire tale portata alla notifica del verbale nel (OMISSIS) (che copriva quindi i fatti risalenti al (OMISSIS)) e all’ordinanza ingiunzione del 2005, che ha interrotto nuovamente il termine.

L’infondatezza del ricorso rende superflua l’eventuale integrazione del contraddittorio con l’amministrazione centrale (Ministero dell’Agricoltura), alla quale il ricorso non è stato idoneamente notificato presso l’Avvocatura dello Stato in Roma (SU 6826/2010).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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