Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-11-2010) 21-01-2011, n. 1915 Mezzi di prova; Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione:

1) As.Pa.;

2) D.C.L.;

3) B.A.;

4) D.G.A.;

5) Z.G.;

6) A.A.;

7) M.P.;

8) C.G.;

9) Ca.An.;

10) F.G.;

11) D.L.P.;

avverso la sentenza in data 10 marzo 2009 con la quale la Corte di appello di Napoli ha confermato le statuizioni sulla loro responsabilità in ordine ai reati rispettivamente addebitati in primo grado, attenuando per tutti gli imputati, tranne che per i C., non appellanti ma resistenti all’appello del PM, il trattamento sanzionatorio.

I reati a ciascuno addebitati sono i seguenti:

per As.Pa., quello di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (L. Stup., art. 74, capo Z1);

per D.C., quello di traffico di continuato di eroina, (capo K);

per B., Z. e A.A., quello di concorso, anche con minore, in traffico continuato di eroina in quantità anche ingenti (capo Z);

per D.G., quello di concorso in traffico continuato di eroina (capo U);

per M., (in concorso con Du.Fr., D. G., Du.Ma. – esclusa quanto agli ultimi due la qualità di organizzatori -, posizioni stralciate nel presente procedimento, per ragioni attinenti alla regolarità del contraddittorio), F. e D.L., quelli di associazione finalizzata al traffico di droga e traffico continuato di eroina in concorso (capi B e C);

per C.G. e Ca.An., quello di concorso nel traffico continuato di eroina (capo W).

I fatti oggetto del processo sono costituiti da una vasta operazione di polizia compiuta sul territorio di Ercolano e denominata "Scacco matto".

Essa aveva portato, secondo la tesi accreditata dai giudici di merito, all’accertamento della operatività, sul detto territorio e con riferimento al periodo 1990-1994, di alcune famiglie che gestivano in regime di oligopolio il traffico di droga pesante.

Si trattava, tra le altre, delle famiglie facenti capo ai fratelli A. e ai fratelli Du., operativi, questi ultimi, sulla zona di Pugliano.

A quest’ultima afferivano F., D.L. e M..

Invece D.C., originariamente accusato di afferire alla famiglia di E.S., attiva nella zona di via del (OMISSIS) e di Pugliano, veniva alfine condannato solo per il reato di spaccio.

Non era stata raggiunta la piena prova della struttura di detta organizzazione ma la Corte d’appello non mancava di rilevare la pericolosità dei soggetti comunque lambiti da una seri di eventi che avevano visto gli E. contrapposti agli A., per la supremazia sul territorio, anche attraverso il ricorso ad attentati che avevano colpito persino due avvocati.

In terzo luogo si esaminavano ulteriori gruppi di imputati ( Z., A.A. e B., da un lato, D.G.A. dall’altro) che, parimenti condannati per il solo reato di spaccio, erano stati previamente accusati di appartenenza ad associazioni organizzate ma erano stati assolti da tale reato per mancanza di prova de dato organizzativo.

Veniva infine analizzata la posizione di As.Pa., condannato per il solo reato associativo.

Deducono:

1) As.Pa. (personalmente; imputato L. Stup., ex art. 74).

1) il vizio di motivazione e la violazione di legge sulle questioni già sollevate in appello riguardo alla procedura estradizionale.

Egli era stato infatti arrestato in Spagna nel dicembre 2000 ma era stato estradato per altri fatti. Non aveva prestato il consenso per la estensione della estradizione e la sussistenza, in contrario, della condizione di procedibilità, negata dalla difesa, avrebbe dovuto essere provata dalla accusa.

2) la violazione del divieto del ne bis in idem.

Gli stessi fatti oggetto del presente processo erano stati giudicati con sentenza del Tribunale di Napoli del 10 aprile 2000.

E il fatto era tanto vero che i verbali di prova formati nel previo processo avevano costituito prova anche nel presente processo, con la conseguenza che le date dei commessi reati non potevano ritenersi diverse nei due processi. lo stesso imputato a mezzo del dif. Avv. Bruno.

3) la stessa questione di improcedibilità della azione penale per difetto di estradizione.

Sostiene che al fascicolo del dibattimento fu allegata tutta la documentazione attestante la richiesta della Procura Generale di Napoli, alle autorità spagnole, di estensione della estradizione, mai concessa. Segnala che anche il PG aveva chiesto la declaratoria di improcedibilità.

Evidenzia, a titolo di manifesta illogicità della motivazione, che gli argomenti utilizzati dalla Corte per ritenere comunque sussistente la condizione di procedibilità sono stati tratti da dichiarazioni erroneamente attribuite al ricorrente ed invece rilasciate da suo fratello As.Ra. il 4 marzo 2004.

Il 4 luglio 2004, data indicata dalla Corte di appello, viceversa, non sarebbe accaduto nulla di quanto dai giudici riportato in sentenza.

In terzo luogo sottolinea che la identità dei fatti oggetto dei distinti processi (quello in esame e quello giudicato con sentenza della 9^ sez. del Tribunale di Napoli) discende da una opportuna lettura del capo di imputazione bd) della seconda: venne in quella occasione contestato il reato associativo come commesso dal 1990, "con condotta perdurante" e quindi non limitata alla anzidetta data.

Le deposizioni dei collaboratori sarebbero le stesse del processo celebrato dinanzi al Tribunale ed anche quelle richieste dal PM ex art. 507 alla udienza dell’8 luglio 2004.

Il ricorso è infondato.

E’ corretta la decisione della Corte di appello di rigettare la questione di improcedibilità della azione penale per violazione dell’art. 14 della Convezione europea di estradizione, in ragione della assenza di qualsiasi prova al riguardo da parte della difesa.

Per quanto possa ritenersi vero che riguardavano il fratello del ricorrente, gli elementi di fatto che hanno indotto i giudici a ritenere integrati nella specie tutti i requisiti per la legittima sottoposizione dell’ As.Pa. al processo ai sensi dell’art. 721 c.p.p., u.p. (nella sentenza di primo grado si dà atto a pag. 19 che alla udienza del 4 marzo 2004 fu sentito As.

R. mentre l’udienza del 4 luglio 2004 non è neppure citata), resta il rilievo del mancato adempimento dell’onere probatorio sul tema in origine sollevato dalla difesa.

E’ appena il caso di ricordare al riguardo che l’onere di provare il fatto processuale, dal quale dipenda l’accoglimento della eccezione procedurale, nella specie di improcedibilità, grava sulla parte che ha sollevato la relativa eccezione (Rv. 242551), così come previsto testualmente dall’art. 187 c.p.p., comma 2.

Ed è solo suggestivo l’argomento che non si possa provare un fatto inesistente, posto che nel caso di specie sarebbe stato agevole (all’epoca) produrre e (nel presente ricorso) illustrare dettagliatamente la documentazione della estradizione che la difesa assumeva non coprire anche i reati oggetto del presente processo.

Del resto, anche nella sentenza di primo grado era stato rilevato (pag. 246) che "nessuna documentazione è stata prodotta" sul punto:

affermazione che non risulta neppure essere stata censurata nei motivi di appello.

Ugualmente destituito di fondamento è il secondo motivo di ricorso.

La identità del fatto oggetto delle due sentenze su cui si è incentrato il motivo di ricorso è stata negata dalla Corte di merito sul presupposto della diversa e più avanzata data di consumazione di quello contestato nel processo in esame.

La difesa si lamenta in fatto che possa esservi una simile discrepanza facendo riferimento del tutto genericamente ad una contestazione aperta e alla presunta identità delle prove testimoniali utilizzate nei due diversi processi.

Una simile doglianza è però ancora una volta inammissibile perchè non rispettosa dei canoni posti dall’art. 581 c.p., norma che pretende la indicazione specifica delle ragioni in fatto sulle quali poggia il motivo di gravame.

La identità delle prove testimoniali è affermata senza menzione dei dettagli sui soggetti e sull’oggetto delle deposizioni e la collazione dei diversi mezzi di prova, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, non può essere demandata al giudice della legittimità senza che il ricorso li evochi e senza neppure allegare la sentenza irrevocabile che avrebbe dato luogo alla violazione del ne bis in idem (Rv. 244856).

Si è anche di recente osservato che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotto dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, nel fare riferimento ad "altri atti del processo" che devono essere "specificamente indicati" dal ricorrente, ha dettato una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581 c.p.p., lett. c), secondo cui i motivi d’impugnazione devono contenere l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, con l’effetto di porre a carico del ricorrente un peculiare onere d’inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate, compresa l’allegazione degli stessi atti (Rv. 240056).

D’altro canto, con riferimento alla circostanza della contestazione "aperta" nel primo processo, deve anche considerarsi che la regola, di natura processuale, per la quale la permanenza del reato si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data. Ne consegue che, qualora in altra sede debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza, deve darsi dimostrazione in concreto della eventuale protrazione della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado (vedi in tema Rv. 237506).

In tale ottica appare dunque decisivo il deficit di illustrazione delle circostanze di fatto di cui si è detto sopra.

2) D.C.L. (L. Stup., art. 73).

1) Il vizio di motivazione riguardo ai motivi di appello con i quali era stata contestata la attendibilità di coloro che avevano reso dichiarazioni a carico, in realtà acquisite ex art. 512 c.p.p. ma prive di riscontri.

Tali non possono definirsi i precedenti penali specifici dell’imputato.

Inoltre la Corte avrebbe glissato sulle censure riguardo i dichiaranti fratelli Zi., non potuti rintracciare e oltretutto autori di dichiarazioni senza riferimenti cronologici, sicchè non è da escludere che gli stessi, detenuti dal 1990 fino alla loro collaborazione, abbiano inteso riferirsi a periodi storici delle condotte del ricorrente già coperte da altri e precedenti giudicati.

Anche le affermazioni del teste Fe., per giunta tossicodipendente, avrebbero meritato ben maggiore approfondimento sulla attendibilità, pur essendo state acquisite ex art. 512 c.p.p..

2-4) la mancata assunzione di prova decisiva, ossia della documentazione attestante i periodi di detenzione sofferti dal ricorrente.

Egli era stato infatti ristretto nel 1991 anche in relazione a pregressi residui di pena da scontare, ma comunque da nessuna delle fonti probatorie poteva evincersi che le accuse di spaccio fossero relative ad un periodo corrispondente al 1994 come sostenuto dalla Corte.

Per tale ragione appariva ingiustificata la decisione dei giudici del merito di non escutere Zi.Sa. perchè chiarisse i detti dubbi, dovendosi anche escludere che si fosse caduti nella condanna per fatti già oggetto di giudicato ex art. 649 c.p.p..

3) il vizio di motivazione sul diniego della attenuante della L. Stup., art. 73, comma 5.

Si era fatto riferimento, nei motivi di appello, alle dichiarazioni del teste Fe. che aveva raccontato di acquisiti di minimi quantitativi di droga. Non era stato rintracciata la persona indicata come "piezz’e pane" a conoscenza di tali dettagli.

5) l’assenza di motivazione sul diniego della continuazione ex art. 81 tra i reati oggetto della presente condanna e quelli che, anche dalla sentenza, si attestano come commessi subito prima e subito dopo.

Il ricorso è infondato.

Invero da rigettare sono il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso.

La Corte di merito ha riferito della pluralità di fonti di prova a sostegno della accusa di spaccio mossa al ricorrente.

I giudici hanno ritenuto che le dichiarazioni accusatorie del Fe. e dei due Zi. fossero da reputare attendibili perchè dettagliate (le prime) e capaci di riscontrarsi reciprocamente.

In secondo luogo i giudici hanno ricavato elementi atti a convalidare l’impianto accusatorio anche dalla esistenza di sentenze di condanna riportate dal ricorrente per fatti dello stesso genere commessi in contiguità temporale con quelli in esame.

Si tratta di un ragionamento logico e completo, non ulteriormente censurabile dalla Cassazione: ragionamento al quale il ricorrente oppone critiche del tutto generiche, come quelle, oltretutto versate in fatto, sulla scarsa attendibilità dei dichiaranti oppure inconferenti, come quelle sulla mancata acquisizione di documentazione attestante i periodi di detenzione sofferti dal D. C..

Sul punto la Corte ha posto in evidenza, ancora una volta con accertamento in fatto che la parte pretende di contestare, dunque inammissibilmente, con contrarie argomentazioni pure in fatto, che le accuse di spaccio mosse al ricorrente si riferiscono ad un periodo (1993-1994) nel quale egli godeva pacificamente di libertà.

Per converso, la parte ha del tutto genericamente argomentato che i dichiaranti non avrebbero contestualizzato cronologicamente le accuse nonchè di essere stata detenuta anche dopo il 1991 per residui di pena relativi ad altre condanne: ciò, senza nemmeno proporre la documentazione che al riguardo, inoppugnabilmente, avrebbe dovuto portare già il giudice dell’appello alla esclusione di qualsiasi ipotesi di responsabilità pur rappresentata dai dichiaranti a carico del D.C..

Egli ha cioè omesso di proporre quantomeno la situazione di contraddittorietà probatoria che, sola, ed alle condizioni poste dal nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e), avrebbe giustificato il motivo di censura, ovvero la decisività in concreto del mezzo non assunto rispetto alla tenuta della motivazione della sentenza di condanna, ex art. 606 c.p.p., lett. d).

Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.

E’ noto che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativo non è incompatibile con l’attenuante della lieve entità del fatto, come si desume dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, che, con il riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dall’art. 73, comma 5 rende evidente che, a più forte ragione, è ammissibile configurare come lievi gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo (Sez. 4^, Sentenza n. 1736 del 27/11/1997 Ud. (dep. 11/02/1998) Rv. 210161; massime precedenti conformi: N. 3724 del 1994 Rv. 197298, N. 6344 del 1994 Rv. 198301, N. 6615 del 1994 Rv. 199198, N. 5415 del 1995 Rv. 201644; da ultimo, Sez. 6^, Sentenza n. 25988 del 29/05/2008 Cc. (dep. 27/06/2008 ) Rv. 240569.

Tuttavia, nella specie, il criterio per la esclusione della attenuante speciale non è stato soltanto quello della rilevazione di una attività continuata di spaccio.

I giudici hanno invero sottolineato anche un dato organizzativo – costituito dal ricorso, per la vendita, all’opera di un intermediario – che è valso, ai fini della valutazione di loro competenza, ad escludere che il comportamento accertato a carico del ricorrente potesse giudicarsi di lieve entità: esso aveva assunto, al contrario, connotazioni di maggiore pericolosità per la capacità del ricorrente di diminuire la sua esposizione anche ai fini dell’accertamento dei reati.

Infine infondato è l’ultimo motivo di ricorso, avendo la Corte di merito fornito una valida giustificazione a sostegno della decisione di negare il vincolo della continuazione con altre condanne.

La continuazione, cioè, è stata esclusa per l’assenza di contiguità temporale delle condotte in esame rispetto a quelle per cui ha riportato altra condanna, poste in essere nel 1996.

Risulta pertanto infondata la censura con la quale si dedotta la assenza di motivazione sul punto.

3) B.A. (art. 112 c.p. e L. Stup., artt. 73 e 80).

1) il vizio di motivazione in punto di ritenuta responsabilità del ricorrente.

Era stata attribuita valenza decisiva alle dichiarazioni accusatorie di tale Ap., soggetto tossicodipendente reputato, in altra parte della sentenza, a causa di tale sua condizione soggettiva, non in grado di sorreggere con le proprie dichiarazioni altre e differenti accuse di spaccio. In più si sarebbe dovuto tenere conto che altri collaboratori ( Zi.Sa. e S.G.) avevano attribuito la responsabilità della gestione dello spaccio in corso (OMISSIS) non al ricorrente, ma a suo fratello Bi.

G..

Gli elementi indicati dalla Corte a titolo di riscontro, d’altra parte (arresto per possesso di armi nel 1987 e sottoposizione a misura di prevenzione nel 1989) erano inconferenti, tanto che lo stesso PM aveva richiesto l’assoluzione dell’imputato.

2) la erronea applicazione della L. Stup., art. 73, comma 5.

I giudici avevano affermato, senza fondamento, che la condotta tenuta dal B. era stata continuativa. Era vero invece che l’ Ap. aveva formulato accuse generiche che non consentivano di affermare l’entità delle singole cessioni, peraltro in ipotesi solo "continuate" ma non anche sintomo di attività "professionale".

Ad avviso del difensore, poi, nemmeno il quantitativo di droga sequestrato avrebbe potuto precludere l’attenuante, posto che questa sarebbe operativa anche in riferimento ad un quantitativo ingente ove le modalità della condotta fossero invece compatibili con la figura di minore pericolosità. 3) Inadeguata sarebbe la motivazione con la quale sono state negate le circostanze attenuanti generiche.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Infondato è il primo motivo di ricorso.

La Corte di merito ha affrontato il tema della attendibilità del principale accusatore del B. e lo ha risolto nel senso affermativo sulla base di una motivazione congrua che si sottrae all’ulteriore sindacato di questa Corte.

Si è infatti dato atto sia della qualità di teste dell’ Ap., tale da non richiedere la applicazione della regola di giudizio riguardante gli imputati di reato connesso ossia la necessità del rinvenimento di riscontri.

Dalla motivazione si ricava anche una ragionevole valutazione della diversificata attitudine delle affermazioni dell’ Ap. a sorreggere gli impianti accusatori concernenti i diversi accusati.

Nel caso di L. e dello I., infatti, le dichiarazioni accusatorie dell’ Ap. non sono state ritenute sufficienti in quanto "incerte su molte affermazioni, rettificate su alcuni particolari, precisate su altre solo su contestazione del PM, rese infine in stato confusionale" (v. pag. 3).

La stessa situazione non è stata verificata con riferimento alla posizione del B., tanto più che la Corte ha ritenuto che fossero confortate da elementi ulteriori quali le convergenti dichiarazioni dei collaboratori S. e Zi.Sa., il primo dei quali aveva fatto riferimento al controllo dello spaccio di droga in Corso (OMISSIS), ad opera dei fratelli B. e quindi non solo di Bi.Gi..

Sul punto vale la pena ricordare la giurisprudenza di legittimità in tema di frazionabilità delle dichiarazioni accusatorie del teste.

Si ritiene infatti legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni del teste e l’eventuale giudizio di inattendibilità, riferito ad alcune circostanze, non inficia la credibilità delle altre parti del racconto, sempre che non esista un’interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato per le quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicità e le altre parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate, tenendo conto che tale interferenza si verifica solo quando tra una parte e le altre esiste un rapporto di causalità necessaria o quando l’una sia imprescindibile antecedente logico dell’altra, e sempre che l’inattendibilità di alcune delle parti della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere per intero la stessa credibilità del dichiarante (rv 235575).

Fondato appare il secondo motivo di ricorso.

Risulta che al ricorrente era stata in origine contestata anche l’aggravante dell’ingente quantitativo, evenienza che, unitamente a quella della rilevata non occasionante della condotta avrebbe potuto dare conto in maniera logica e coerente della negazione della circostanza attenuante del fatto di lieve entità.

Risulta peraltro dalla motivazione della sentenza di primo grado che la aggravante in parola è stata esclusa sicchè non si rinvengono, a differenza che per la posizione dell’imputato che precede, ed in assenza anche di indicazioni specifiche di tipo ponderale, elementi che consentano, allo stato di ritenere la decisione in esame in linea con la giurisprudenza sopra ricordata: quella cioè che afferma la astratta compatibilità tra la cessione continuata di sostanza stupefacente e la lieve entità del fatto.

Sul punto, è comunque infondata la osservazione della difesa, secondo cui anche lo smercio di un quantitativo ingente potrebbe in teoria non essere incompatibile con il riconoscimento della attenuante del fatto di lieve entità: e ciò in base al rilievo che l’art. 73, comma 5 prevede tale ipotesi attenuata in ragione o del quantitativo modesto delle sostanze smerciate ovvero, in termini cioè disgiuntivi, dei mezzi e delle modalità della azione.

Vale la pena ricordare il recente approdo delle Sezioni unite che, nella sentenza n. 35737 del 24/06/2010 Ud. (dep. 05/10/2010) Rv.

247911, hanno osservato come la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, possa essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente (compreso quindi il dato della entità della droga oggetto della condotta, ndr), ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.

Il giudice del rinvio dovrà dunque compiere una valutazione nuova sulla riconoscibilità o meno della invocata attenuante, non limitandosi al mero rilievo della accertata ripetitività delle cessioni di sostanza stupefacente, ma facendo contestuale applicazione dei principi di diritto indicati.

Inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso.

Il diniego delle attenuanti generiche è stato motivato sulla base dei gravi precedenti penali dell’imputato ma, quel che conta, il ricorrente non indica nel ricorso quale elemento positivo nella valutazione da effettuare ai sensi dell’art. 133 c.p. sia stato pretermesso nel giudizio che il giudice del merito era stato chiamato a rendere: ciò che rende il motivo di gravame inammissibile per genericità. 4) D.G.A. (L. Stup., art. 73).

1) il vizio di motivazione e la erronea applicazione dell’art. 649 c.p.p..

La difesa aveva sostenuto, esibendo le relative sentenze, che le condotte di spaccio in esame avevano già formato oggetto di giudicati formatisi nel 1995 e nel 1999 per condotte risalenti al 1992 e al 1998.

Le dichiarazioni accusatorie dell’ Ap., assolutamente generiche quanto alla collocazione temporale dei fatti riferiti, non avrebbero impedito certo di riconoscere il bis in idem totale o quantomeno parziale. Comunque si sarebbe imposta una motivazione più dettagliata sul punto.

2) il vizio di motivazione sul mancato riconoscimento della attenuante di cui alla L. Stup., art. 73, comma 5.

La Corte aveva ritenuto la condotta "non occasionale" nonostante che una simile evenienza non risultasse dagli atti e che la condotta delittuosa accertata fosse di due soli episodi di spaccio.

3) il vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche essendo stato del tutto omessa la valutazione del comportamento collaborativo tenuto sin dalle prime battute del processo dal ricorrente.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Invero inammissibile è il primo motivo di ricorso.

A fronte della attestazione, contenuta nella sentenza impugnata, della insussistenza della violazione del ne bis in idem in quanto i fatti oggetto delle dichiarazioni accusatorie dell’ Ap. risalgono ad un periodo diverso da quello (1992 e 1998) oggetto delle sentenze di condanna esibite dal difensore, questi oppone, del tutto inammissibilmente, censure alla ricostruzione del fatto presupposto dalla questione processuale.

Si tratta infatti di affermazioni generiche e versate in fatto, non apprezzabili in questa sede, come quella relativa alla circostanza che l’ Ap. non avrebbe collocato cronologicamente le accuse mosse al ricorrente.

Invero, per essere ammissibile, la censura avrebbe dovuto essere rispondente ai criteri indicati dall’art. 581 c.p.p. e quindi illustrare in modo dettagliato le ragioni in fatto che avrebbero dovuto indurre a ritenere ravvisabile la violazione del principio del ne bis in idem: riportare, in altri termini, il tenore delle affermazioni dell’ Ap. per quanto di interesse e allegare, come detto sopra, le sentenze all’origine della questione.

Fondati appaiono invece il secondo e il terzo motivo di ricorso.

Nella sentenza si rigetta il motivo di appello col quale era stato richiesto il riconoscimento della attenuante speciale D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, con la affermazione della "non occasionalità dello spaccio, circostanza ammessa dello stesso imputato".

Null’altro di ulteriore risulta dalla motivazione, complementare, della sentenza di condanna di primo grado.

Tale affermazione, però, non vale a giustificare la esclusione della attenuante in parola alla luce del principio enunciato con costanza dalla giurisprudenza di questa Corte e sopra già ricordato, secondo cui lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativo non è incompatibile con l’attenuante della lieve entità del fatto, come si desume dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, che, con il riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal quinto comma dell’art. 73, rende evidente che, a più forte ragione, è ammissibile configurare come lievi gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo (Sez. 4^, Sentenza n. 1736 del 27/11/1997 Ud. (dep. 11/02/1998) Rv. 210161; massime precedenti conformi: N. 3724 del 1994 Rv. 197298, N. 6344 del 1994 Rv. 198301, N. 6615 del 1994 Rv. 199198, N. 5415 del 1995 Rv. 201644, da ultimo, Sez. 6^, Sentenza n. 25988 del 29/05/2008 Cc. (dep. 27/06/2008) Rv.

240569.

La Corte di merito, in sede di rinvio, dovrà dunque nuovamente valutare la eventuale ricorrenza della attenuante, senza poter tenere conto, quale unico criterio discretivo, di quello già utilizzato nella sentenza impugnata.

L’accoglimento del precedente motivo di ricorso comporta la eventualità di un nuovo giudizio sull’intero trattamento sanzionatorio, da estendersi alla richiesta di attenuanti generiche che, pur formulata in termini assolutamente generici nei motivi di appello, non aveva trovato, per tale ragione, riscontro nella sentenza impugnata.

5) Z.G. (art. 112 c.p. e L. Stup., artt. 73 e 80).

1) Il vizio di motivazione in punto di responsabilità del ricorrente.

Era stata attribuita valenza decisiva alle dichiarazioni accusatorie di tale Ap., soggetto tossicodipendente reputato, in altra parte della sentenza, a causa di tale sua condizione soggettiva, non in grado di sorreggere con le proprie dichiarazioni altre e differenti accuse di spaccio.

Inoltre le affermazioni dell’ Ap. erano prive di riscontro, non potendosi qualificare tale la dichiarazione accusatoria del Fe., in ragione della non coincidenza delle due ricostruzioni su particolari rilevanti quali la zona di commissione del reato e le mansioni svolte;

2) il vizio di motivazione e la erronea applicazione della L. Stup., art. 73, comma 5 per le ragioni già espresse sopra, nel motivo sub 2) relativo a B.A.;

3) il vizio di motivazione e la erronea applicazione dell’art. 649 c.p.p..

La difesa aveva sostenuto, esibendo la relativa sentenza, che le condotte di spaccio in esame avevano già formato oggetto di giudicato formatosi nel 1998 per condotte risalenti al 1991.

Le dichiarazioni accusatorie dell’ Ap. e del Fe., assolutamente generiche quanto alla collocazione temporale dei fatti riferiti, non avrebbero impedito certo di riconoscere il bis in idem totale o quantomeno parziale. Comunque si sarebbe imposta una motivazione più dettagliata sul punto, mentre quella esibita dalla Corte di merito, incentrata sulla analisi della diversa figura dei reato continuato, era del tutto insufficiente;

4) il vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Il primo motivo è infondato per le ragioni già illustrate a proposito delle analoghe censure articolate dal medesimo estensore, avv. Rea, sulla attendibilità dell’ Ap., nell’interesse di B.A..

Con riferimento alla specifica posizione dello Z., in più, v’è da considerare che il compendio probatorio è stato individuato dalla Corte di merito non solo nelle accuse dell’ Ap. ma, essenzialmente, in quelle di tal Fe. (a proposito del confezionamento di dosi, ad opera dello Z. in casa di tal (OMISSIS) identificato in U.C.), rispetto alle quali le affermazioni del primo (sulla consegna di cinquanta dosi al giorno ai singoli rivenditori, giornalmente) sono qualificate come elemento di riscontro.

Risultano versate in fatto e quindi inammissibili in questa sede, le critiche rivolte dalla difesa alla possibilità di ritenere che le accuse mosse da Fe. e da Ap. possano riscontrarsi reciprocamente.

Il secondo motivo è fondato per i rilievi già formulati a proposito del motivo analogo presentato nell’interesse del B..

Il terzo motivo è inammissibile per le ragioni in diritto illustrate sopra a proposito della analoga censura n. 1) del D.G., a nulla rilevando che la Corte di merito, dopo avere esposto le ragioni in fatto della insussistenza del bis in idem (diversità delle condanne), abbia evocato anche la disciplina del reato continuato, la quale risulta una mera superfetazione.

Inammissibile infine è l’ultimo motivo di ricorso per le ragioni già illustrate a proposito della declaratoria di inammissibilità dell’analogo motivo avanzato nell’interesse di B..

6) A.A. (art. 112 c.p. e L. Stup., artt. 73 e 80). deduce la erronea applicazione della L. Stup., art. 73, comma 5.

La Corte aveva negato la attenuante sul presupposto della non occasionalità della condotta e cioè sulla base di un criterio non rilevante, essendo viceversa decisivo il dato ponderale delle singole cessioni.

Invero la continuità nel tempo non può costituire motivo di negazione della attenuante posto che anche in materia di associazione L. Stup., ex art. 74 e quindi di condotta permanente, è ammessa la configurazione di una ipotesi attenuata.

Il motivo di doglianza è fondato.

La Corte di merito ha negato la attenuante speciale osservando che la attività di spaccio a carico della ricorrente era non sporadica ed occasionale.

Un simile ragionamento risulta non in linea con la giurisprudenza, sopra menzionata nella disamina di posizioni processuali analoghe, che ammette la configurabilità della attenuante speciale pur in presenza di azioni ripetute di piccolo spaccio, non lo è in concreto.

7) M.P. (L. Stup., artt. 73 e 74).

1) il vizio di motivazione sulla adeguatezza del materiale probatorio a sostenere la contestazione del reato associativo.

Il solo elemento acquisito dai giudici del merito erano le dichiarazioni di tale Co., peraltro oggetto di lettura ex art. 512 c.p.p. dopo la morte del dichiarante, ma prive di riscontri.

La insufficienza di tale materiale era già stata affermata dal Tribunale del riesame che, nel 1993 aveva annullato sotto tale profilo l’ordinanza cautelare. Anche gli altri elementi indicati dalla Corte (sentenza di patteggiamento per fatti di droga e arresto per illegale detenzione di arma) dovevano reputarsi inconferenti.

2) la erronea applicazione della L. Stup., art. 73, comma 5.

La circostanza era stata esclusa sul presupposto della continuatività dello spaccio ma un tal genere di motivazione è non corretta.

Il ricorso è fondato.

Infondato è invero il primo motivo di ricorso.

Il ragionamento esibito dalla Corte di merito è esauriente e logico e si sottrae all’ulteriore sindacato di questa Corte di legittimità.

I giudici hanno dato atto della acquisizione di un forte elemento probatorio costituito dalle dichiarazioni accusatorie di un teste – il Co. – non necessitanti, ai fini della utilizzabilità, di elementi di riscontro per la regola di giudizio che si applica a tale genere di dichiarazioni.

Si tratta di accuse sull’inserimento della attività di spaccio del M. nel contesto della organizzazione dedita alla stessa condotta, capeggiata dai Du., accuse che, come sottolineato dai giudici, hanno comunque trovato conforto in elementi ulteriori e significativi, anche di carattere logico.

In particolare i giudici hanno indicato l’avvenuto accertamento, con sentenze passate in giudicato, di analoghe condotte di spaccio poste in essere dal M. tra il 1990 e il 1993 e quindi di fatti correttamente ritenuti sintomatici dell’inserimento del ricorrente in una attività stabile e continuativa, inquadrabile in un progetto criminoso di più ampio respiro: questo non poteva che essere il progetto del clan Ascione, ossia della organizzazione che, secondo le concordi dichiarazioni di S. e Zi.Sa., sovrintendeva al traffico di sostanze stupefacenti nella zona dello smercio, ossia, appunto quella di Ercolano.

Il ricorso, nel contrastare con argomenti versati in fatto, tale razionale ricostruzione della fattispecie associativa e della compromissione in essa del M., appare lambire profili di inammissibilità.

Esso è poi da rigettare perchè infondato per quanto detto sopra, nella parte in cui assume apoditticamente che le sentenze di condanna per reato L. Stup., ex art. 73 non potrebbero essere valutate come elementi di riscontro alle dichiarazioni del Co..

Il secondo motivo è fondato essendo stata posta la questione nei motivi di appello senza che la Corte di merito abbia replicato al riguardo.

8-9) C.G. e Ca.An. (L. Stup., art. 73), non appellanti, ma resistenti all’appello del PM la violazione dell’art. 129 c.p.p., per la assenza del materiale probatorio.

I ricorsi sono inammissibili a causa della assoluta genericità delle ragioni in fatto e di diritto che avrebbero dovuto sorreggere le censure mosse alla sentenza impugnata.

Al mancato rispetto, dunque, dei criteri posti dall’art. 581 c.p.p. per la redazione di motivi atti a superare il vaglio della ammissibilità va aggiunto il rilievo che i C. non avevano proposto appello contro la sentenza di primo grado, essendo presenti nel giudizio di appello quali resistenti al gravame del PM contro la loro assoluzione da altro reato.

Pertanto si è venuta a determinare nei loro confronti la preclusione alla proposizione di motivi in precedenza non coltivati (vedi Rv.

239713), con la eccezione di quelli apprezzabili anche di ufficio dal giudice della legittimità (Rv. 152060).

10) F.G. (L. Stup., artt. 73 e 74).

1) il vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza della partecipazione al reato associativo L. Stup., ex art. 74.

La Corte aveva ritenuto provata tale implicazione in ragione di una serie di condanne riportate in altri processi, dal ricorrente, per attività di spaccio, evenienza tuttavia incapace di provare l’assunto de quo, come già sostenuto dal PM in primo grado.

2) il vizio di motivazione riguardo al diniego delle attenuanti generiche.

Era stato dedotto che l’imputato aveva "cambiato vita" e la documentazione allegata al ricorso comprovava l’attività lavorativa e la costituzione di una regolare famiglia;

4) si invocava il condono.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La Corte di merito ha reso ampia e plausibile ricostruzione delle ragioni poste a fondamento della sua responsabilità, essenzialmente rappresentate dalle dichiarazioni accusatorie di Fe. acquisite legittimamente al processo.

Tale soggetto lo aveva accusato di vendere stupefacenti nella zona alta di Pugliano per conto dei Du. ai quali il dichiarante aveva visto consegnare, da parte del F., i proventi della vendita della droga.

Le condanne per altri fatti di spaccio sono state considerate plausibilmente elemento atto a corroborare le dichiarazioni del Fe..

Risulterebbe peraltro che il Fe., come riportato a pag. 10 della sentenza impugnata, aveva anche rinunciato in appello al motivo di impugnazione sulla responsabilità, con quel che ne conseguirebbe sotto il profilo della preclusione, sul tema, nel presente grado di giudizio.

Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.

Il giudice dell’appello non è tenuto a valutare ogni elemento di fatto che la difesa deduca, quando si dimostri in grado di delineare un quadro esaustivo e logico delle ragioni che lo inducono a negare le circostanze attenuanti generiche, alla luce dei criteri indicati dall’art. 133 c.p..

Nella specie siffatto ragionamento è stato reso, con la menzione di una valutazione negativa della personalità dell’imputato e della gravità del fatto alla luce della circostanza, ritenuta prevalente ed assorbente, che la reiterazione di condotte delittuose della stessa natura, nel corso degli anni, induce a qualificare il comportamento criminoso in esame come sistema di vita senza alcuna forma di resipiscenza.

Il motivo di ricorso volto alla applicazione del condono non può formare oggetto di ricorso dinanzi al giudice della legittimità, trattandosi di materia da devolvere al giudice della esecuzione, in mancanza di qualsiasi pronuncia errata in diritto, sul punto.

11) D.L.P. (L. Stup., artt. 73 e 74).

1) la nullità della sentenza di appello per la mancata citazione dell’imputato, all’epoca residente in (OMISSIS);

2) il vizio di motivazione sulla responsabilità posto che i collaboratori di giustizia lo avevano accusato di condotte riferite al 1992, periodo nel quale egli era detenuto.

La Corte aveva dunque errato nel non accogliere la domanda di rinnovazione del dibattimento per far precisare tali circostanze ai collaboratori. Chiedeva in subordine la applicazione del principio ex art. 649 c.p. o quello della continuazione.

Il ricorso è infondato.

La citazione per il giudizio di appello è stata correttamente notificata presso il difensore dell’imputato, avv. Minervini, perchè all’indirizzo di via (OMISSIS) l’imputato era risultato "trasferito senza lasciare indirizzo" (v. relata del 26 ottobre 2006 presente nel fascicolo processuale).

L’ulteriore motivo di ricorso è da disattendere.

La Corte ha infatti spiegato che il ricorrente riguadagnò la libertà dall’estate all’autunno 1992, ragione per la quale e dichiarazioni dei collaboratori che si riferiscono a tale periodo non possono dirsi smentite dai fatti, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente.

In secondo luogo correttamente risulta negata la violazione del principio del ne bis in idem, attesto che nel processo in esame l’imputato è chiamato a rispondere del reato L. Stup., ex art. 74 mentre nei precedenti giudicati la materia presa in considerazione atteneva ad episodi di spaccio ex art. 73.

Infine del tutto genericamente è prospettato il motivo relativo alla esistenza del vincolo della continuazione con altre condanne.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al diniego della attenuante L. Stup., ex art. 73, comma 5, nei confronti di B. A., D.G.A., Z.G., A.A. e M.P. con rinvio ad altra sezione Corte appello Napoli per nuovo esame sul punto.

Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti.

Rigetta altresì i ricorsi di As.Pa., D.C. L., F.G. e D.L.P..

Dichiara inammissibili i ricorsi di C.G. e C. A. e condanna questi ultimi al pagamento ciascuno della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Condanna As.Pa., D.C.L., F. G., D.L.P., C.G. e C. A., ciascuno al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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