Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-11-2010) 21-01-2011, n. 1844

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Sull’istanza proposta nell’interesse di G.A. il GIP del Tribunale di Padova, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe, applicava la disciplina della continuazione tra:

1) il reato di tentato furto aggravato (artt. 56 e 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2) commesso l'(OMISSIS) (sentenza del GIP del Tribunale di Bolzano in data 11 agosto 2007, divenuta irrevocabile il 30 settembre 2007, di condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa) e 2) il reato di furto aggravato continuato (artt. 81 e 624 c.p., e art. 625 c.p., n. 2), commesso dal (OMISSIS) (decreto penale del GIP del Tribunale di Padova in data 4 dicembre 2007, divenuto irrevocabile il 23 febbraio 2008, di condanna alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 200,00 di multa), così rideterminando la pena in mesi nove di reclusione ed Euro 300,00 di multa:

– violazione più grave ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., quella di cui al punto 1) per la quale era stata in concreto inflitta la pena più grave: mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa;

– aumento di mesi uno di reclusione ed Euro 100,00 di multa per il reato di furto consumato indicato al punto 2).

2. Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del condannato, chiedendone, anche attraverso apposita memoria difensiva, l’annullamento ed articolando un solo motivo d’impugnazione.

2.1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce inosservanza dell’art. 81 c.p., sostenendo che, ai fini della continuazione, la violazione più grave dovesse essere individuata in quella inflitta per il furto consumato (di cui al punto 2) e non già in quella per il furto tentato (di cui al punto 1), dovendo ritenersi illogico e "paradossale" che una "posologia sanzionatoria" palesemente incongrua influisca negativamente nell’applicazione di un istituto, quello della continuazione, ispirato ad evidenti ragioni equitative.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. L’unico motivo d’impugnazione prospettato dal ricorrente è infatti manifestamente infondato.

Nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisabile nel provvedimento impugnato ove si consideri che, per l’applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, si considera, a norma dell’art. 187 disp. att. c.p.p., violazione più grave quella per la quale è stata in concreto inflitta la pena più grave.

E nel caso in esame si trattava proprio del furto tentato, oggetto della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Bolzano.

In particolare va qui richiamato e ribadito il principio, già affermato da questa Sezione, secondo cui "ai fini dell’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato in sede esecutiva, l’individuazione della violazione più grave è affidata al criterio concreto della pena più grave inflitta, che si differenzia da quello applicato in sede di cognizione, dove si ha riguardo alla gravità in astratto sulla base della valutazione del titolo di reato e dei limiti edittali di pena" (In termini Sentenza n. 44860 del 5/11/2008 dep. 02/12/2008, imp. Picara, Rv. 242198), il quale, del resto, sì ricollega direttamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 15 del 26/11/1997 dep. Il 3/2/1998, ric. PM in proc. Varnelli, Rv. 209485). Nè l’applicazione di tale principio può fondatamente ritenersi lesiva del diritto di difesa del condannato, ove si consideri che la specifica regola dettata dall’art. 187 disp. att. c.p.p. per l’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato in sede esecutiva, diversa da quella operante nella fase di cognizione, è ancorata alla sanzione applicata in concreto, conformemente al limitati poteri dell’organo giurisdizionale "in executivis", chiamato a dare attuazione al "dictum" contenuto nella sentenza, interpretandolo od integrandolo, senza facoltà di determinarlo e che tale diversità non è in contrasto con il parametro costituzionale dell’art. 24 Cost., poichè i poteri del giudice dell’esecuzione sono ispirati al criterio della intangibilità del giudicato e consistono nel rideterminare il trattamento sanzionatorio sulla base di un criterio oggettivo meno discrezionale di quello spettante al giudice della cognizione (in termini, Sez. 1, Ordinanza n. 6362 del 31/01/2006, dep. il 17/02/2006, imp. Zungri, Rv. 233442).

2. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al versamento a favore della Cassa delle Ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille/00) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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