Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-11-2010) 21-01-2011, n. 1830

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato – salvo che per l’entità della pena, rideterminata in quella di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 1200,00 di multa – quella del GIP del tribunale di Crotone, deliberata il 17 settembre 2009, che aveva dichiarato l’appellante B.L., colpevole dei reati a lui ascritti – detenzione e porto illegali di una pistola calibro 7,65 con matricola abrasa e del relativo munizionamento (capo A della rubrica), e minacce a pubblico ufficiale, avendo puntato l’arma predetta al carabiniere scelto C.E. che stava procedendo ad un controllo del B., così opponendosi all’esercizio delle sue funzioni (capo B), fatti commessi in (OMISSIS) e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti ed operata la riduzione per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena complessiva di anni tre di reclusione ed Euro 1600,00 di multa.

1.1. – I giudici di appello, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, hanno rigettato il motivo di impugnazione diretto a contestare la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di resistenza a pubblico ufficiale, evidenziando al riguardo, che la condotta contestata al B., che dopo essere fuggito ad un posto di blocco, abbandonando il motorino su cui viaggiava, si era voltato all’indietro puntando una pistola contro il carabiniere che lo tallonava, era caduta sotto la diretta percezione del verbalizzante, che l’aveva accuratamente descritta, sicchè le deduzioni difensive secondo cui il carabiniere avrebbe errato nell’interpretare il gesto posto in essere dall’imputato, costituivano solo un tentativo di alleggerire la propria responsabilità, a nulla rilevando che il prevenuto avesse in effetti riconosciuto la propria colpevolezza in ordine alla detenzione dell’arma, trattandosi di ammissione relativa a fatti già ampiamente provati.

2. – Avverso l’indicata sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato sviluppando un unico motivo d’impugnazione.

2.1 – Con il motivo dedotto, si deduce in ricorso la illegittimità della sentenza impugnata per vizio di motivazione, relativamente all’affermazione di responsabilità dell’imputato relativamente al reato di reato di resistenza, evidenziando al riguardo che i giudici di appello avevano fatto proprie le risultanze della notizia di reato, omettendo di valutare la prodotta certificazione medica che dimostrava la inverosimiglianza di quanto ivi riferito circa una fuga posta in essere dal B., attesa l’esistenza di una menomazione all’arto inferiore, attribuendo comunque prevalenza, nel contrasto tra quanto dichiarato dal teste verbalizzante e dall’imputato, alla versione riferita dal teste, pur In assenza di un riscontro oggettivo, contraddittoriamente qualificando le proteste di innocenza dell’imputato come un maldestro tentativo di alleggerire la propria posizione, salvo poi concedere al B. le attenuanti generiche, malgrado tale maldestro tentativo.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di B.L. è inammissibile in quanto basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

Tutte le argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, lungi dal denunziare effettivi profili di illogicità della motivazione, si risolvono infatti, sostanzialmente, nella mera riproposizione, senza prospettare significativi elementi di novità, di una questione – l’attendibilità delle dichiarazioni del teste C., in ragione del contrasto esistente tra le stesse e la protesta d’innocenza del B. relativamente all’Imputazione di resistenza – già esaminata e decisa dai giudici di appello con un apparato motivazionale, sommariamente illustrato nel paragrafo 1.1. dell’esposizione in fatto, da ritenersi esauriente ed immuni da vizi logici o giuridici.

Al riguardo è sufficiente rammentare che questa Corte ha da tempo chiarito, nella sua più autorevole composizione, che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (in termini, Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 13/12/1995, dep. il 29/1/1996, imp. Clarke Rv. 203428).

In applicazione di tale condivisibile principio di diritto è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata, avendo la Corte territoriale dato più che esauriente e convincente spiegazione delle ragioni per cui doveva ritenersi che il Carabiniere C. avesse fornito una ricostruzione pienamente attendibile dell’episodio delittuoso, precisando al riguardo che il militare aveva riferito circostanze oggetto di diretta ed immediata rilevazione, alla quale si contrapponeva solo il contenuto delle interessate dichiarazioni dell’imputato.

E del resto, le censure mosse a tale passaggio argomentativo non considerano che in tema di valutazione della prova, e con specifico riguardo alla prova testimoniale, questa Corte ha già avuto modo di precisare "che il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio ragionamento l’ipotesi che il teste dica scientemente il falso o si inganni su ciò che forma l’oggetto essenziale della propria deposizione, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere", che nel caso in esame, però, si rivelano insussistenti, ove si consideri che, in violazione del generale principio di autosufficienza del ricorso, nessun positivo elemento di prova risulta specificamente indicato nell’atto di impugnazione, che consenta di ritenere il B. portatore di una menomazione agli arti inferiori di entità tale da non consentirgli "di darsi alla fuga". 2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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