Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-11-2010) 21-01-2011, n. 1829 Imputato irreperibile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato quella della Corte di Assise di Parma, deliberata il 9 dicembre 1999, che aveva dichiarato l’appellante P.L., restituito nel termine per impugnare, colpevole dei reati a lui ascritti:

– di omicidio volontario in danno di B.A., prima picchiato selvaggiamente e poi colpito con uno strumento da punta e taglio – verosimilmente un cacciavite – che penetrava attraverso la regione orbitale sinistra causando lesioni encefaliche irreversibili;

reato commesso in (OMISSIS) nella notte tra il (OMISSIS), con decesso della vittima avvenuto il (OMISSIS), aggravato dall’avere l’imputato agito per futili motivi: rivendicare il proprio diritto alla protezione di B.S. che, esercitando la prostituzione, era stata derubata della borsetta da altro extracomunitario -(capo A della rubrica);

– favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di B. S., fatti commessi in (OMISSIS) (capo B della rubrica);

e concesse le circostanze attenuanti generiche ed unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni ventidue di reclusione.

1.1. I giudici di appello, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità: a) hanno rigettato l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, conseguente alla dedotta nullità delle notifiche eseguite all’imputato, che nell’atto di gravame si sosteneva essere stato illegittimamente dichiarato irreperibile, essendo stati i relativi decreti emessi in assenza delle ricerche indicate dalla dell’art. 159 c.p.p., a ragione del rilievo, che intanto, contrariamente a quanto dedotto, nei confronti del P. non erano stati emessi dei decreti di irreperibilità ma bensì due decreti di latitanza, rispettivamente in data 21 aprile 1998 e 10 novembre 1998, l’ultimo dei quali di poco precedente il decreto di citazione a giudizio, emesso il 13 novembre 1998, adottati all’esito di vane ricerche effettuate per dare esecuzione all’ordinanza cautelare emessa nei confronti dell’imputato, e condotte sia in (OMISSIS), ovvero l’abitazione del cugino e coimputato D.E., che lo ospitava;

sia nelle zone e nei locali, notoriamente frequentati da cittadini albanesi; che la polizia giudiziaria, tenuta a redigere a seguito della mancata esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, un verbale di vane ricerche, indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi in cui si presume l’imputato possa trovarsi, non è vincolata, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità; che al momento dell’emissione dei decreti non erano noti i luoghi di residenza o dimora all’estero del P., presso il quale eseguire, in applicazione analogica dell’art. 169 c.p.p. ricerche in campo internazionale; (b) hanno respinto la richiesta, formulata nei motivi nuovi di impugnazione presentati dalla difesa, di rinnovazione del dibattimento mediante acquisizione delle dichiarazioni rese al difensore ex art. 391 bis c.p.p., da P.B.S., e ciò in quanto, anche volendo ritenere trattarsi di prova nuova, sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado, le investigazioni difensive risultavano comunque compiute dal difensore all’estero (a (OMISSIS)) e ciò comportava la loro inutilizzabilità, conformemente alla più recente elaborazione giurisprudenziale in argomento (Sez. 1, Sentenza n. 23967 del 29/5/2007, Rv. 236594); che non risultava documentata in modo analitico l’avvenuta effettuazione degli avvisi prescritti dall’art. 391 bis c.p.p., comma 3, ulteriore profilo di inutilizzabilità delle dichiarazioni di cui trattasi; che infine la prova di cui viene richiesta l’assunzione nel giudizio di appello, deve consistere, necessariamente, in una prova suscettibile di assunzione nel giudizio di primo grado ma che per eventualità di vario genere colà non venne espletata, laddove, nel caso in esame, la documentazione delle investigazioni difensive, in assenza di un accordo di tutte le parti, non poteva essere acquisita nel giudizio di primo grado, prevedendo l’art. 391 decies c.p.p. una loro utilizzazione solo a norma degli artt. 500, 512 e 513 c.p.p.; c) hanno rigettato il motivo di gravame, volto a sollecitare una derubricazione del reato di omicidio volontario in quello di omicidio preterintenzionale, evidenziando al riguardo che le modalità dell’aggressione, ben descritte da alcuni testi ( M.F., B.L. e M.B.) e la gravissima e profonda ferita cagionata alla parte offesa (che presuppone necessariamente un colpo sferrato con ferocia e forza al volto) evidenziavano la volontà omicida degli aggressori, ovvero, quanto meno, che gli stessi avevano agito nella piena consapevolezza che i colpi sferrati al cittadino marocchino sarebbero potuti risultare mortali, osservando altresì, a confutazione del principale argomento addotto dalla difesa la circostanza che nessuno dei numerosi testi che assistettero all’aggressione aveva notato la presenza di un coltello ovvero di un cacciavite – che la lesione alla cavità orbitale subita dalla persona offesa fu certamente provocata da uno strumento di tal fatta, come da considerazioni del consulente tecnico del PM in atti; che la concitazione dell’episodio e la circostanza che i testi assistettero all’aggressione da una qual certa distanza e che gli aggressori erano accovacciati sulla persona offesa, costituivano elementi tutti che fornivano adeguata spiegazione delle ragioni per cui nessuno dei testi aveva riferito dell’uso di un coltello o di un cacciavite, strumento che il coimputato D., cugino del ricorrente, sentito in sede di incidente probatorio quale imputato di reato connesso, ha riferito esser stato preso dal P. o da altro connazionale, con ogni probabilità, dal cruscotto della sua vettura ove era riposto; d) hanno escluso che le concesse attenuanti generiche potessero considerarsi prevalenti rispetto alla contestata aggravante ex art. 61 c.p., n. 1, ostandovi la ferocia dell’aggressione e la determinazione evidenziata nel porla in essere.

2. – Avverso l’indicata sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato sviluppando quattro motivi impugnazione.

2.1 – Con il primo motivo, si deduce in ricorso la nullità della sentenza di primo grado, per violazione dell’art. 159 c.p.p. e del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 Cost.), in ragione della nullità delle notifiche all’imputato, dichiarato irreperibile senza che venisse accertato in modo rigoroso l’impossibilità di rintracciarlo, anche mediante ricerche appositamente delegate agli organi di polizia giudiziaria, posto che sia il coimputato D. E., sia la teste G.M. avevano riferito in sede d’incidente probatorio, che il P. era solo di passaggio in Italia dovendo recarsi in (OMISSIS) con la S..

2.2 – Con il secondo motivo si deduce, ancora, la nullità della sentenza impugnata per omessa rinnovazione dell’Istruttoria dibattimentale, e segnatamente delle dichiarazioni rese da P. B.S., che costituivano prova nuova mai valutata nel giudizio di primo grado e del cui contenuto il difensore aveva avuto contezza solo dopo la presentazione dei motivi di appello.

2.3 – Con il terzo motivo, l’illegittimità della decisione impugnata, per vizio di motivazione ed omessa valutazione delle prove, in relazione al mancato accoglimento della derubricazione del reato di cui al capo A della rubrica in omicidio preterintenzionale, rimarcando al riguardo come nessuno dei testi escussi avesse riferito in merito all’utilizzo di un cacciavite e come l’unico riscontro a tale ipotesi accusatola era costituito dalle vaghe dichiarazioni del D.E., e che del tutto illogicamente i giudici di appello non avevano valutato quanto riferito dal teste F.L., secondo cui allorquando presso il distributore di benzina, luogo ove si svolse l’episodio delittuoso di cui è processo, sopraggiunse l’autovettura con a bordo l’imputato, gli occupanti che ne discesero "in mano non avevano alcun oggetto". 2.4 – Con il quarto ed ultimo motivo, l’illegittimità del mancato riconoscimento della prevalenza delle concesse attenuanti generiche, non avendo i giudici di appello adeguatamente motivato la propria decisione sul punto, omettendo di considerare che l’azione posta in essere dal P. era "finalizzata ad aiutare la fidanzata/moglie".

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di P.L. è basata su motivi manifestamente infondati e va quindi rigettata.

1.1 Quanto al primo motivo, il Collegio deve rilevare che le deduzioni difensive prospettate in ricorso risultano del tutto aspecifiche, nella misura in cui si limitano a denunciare, nuovamente, una violazione dell’art. 159 c.p.p., prescindendo del tutto dalie argomentazioni svolte sul punto dai giudici di appello, omettendo il ricorrente di considerare, in particolare, (a) che il giudizio di primo grado si svolse in assenza del P., in quanto costui si era reso latitante e non già irreperibile; (b) che il provvedimento che ha dichiarato la latitanza del ricorrente, era stato emesso a seguito della redazione, da parte della polizia, di un verbale di vane ricerche, conseguenza della mancata esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, nel quale sì indicavano in modo specifico le indagini svolte nei luoghi in cui si presumeva l’imputato potesse trovarsi, le quali, come ribadito anche di recente da questa Corte di legittimità (in termini, Sez. 5, Sentenza n. 4114 del 9/12/2009 dep. il 1/2/2010, imp. Hasanbelliu, Rv. 246098) non sono vincolate affatto, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità. 1.2 Considerazioni analoghe valgono poi anche per il secondo motivo di impugnazione, posto che le censure mosse alla decisione dei giudici di appello di non disporre la rinnovazione del dibattimento – richiesta in grado di appello, per acquisire le dichiarazioni rese al difensore, ex art. 391 bis c.p.p. da P.B.S. – prescindono totalmente dalle motivate ragioni addotte poste a fondamento di tale statuizione, omettendo di considerare, in particolare, i pur evidenziati plurimi profili di inammissibilità della pretesa "prova nuova" ed in particolare che le dichiarazioni rese al difensore dalla B. non potevano essere prodotte direttamente nel giudizio di appello, risultando tale attività preclusa nel giudizio di primo grado, in forza del chiaro disposto dell’art. 391 decies c.p.p..

1.3 Anche il terzo motivo d’impugnazione, infine, relativo alla mancata derubricazione in omicidio preterintenzionale del reato contestato al capo A, si rivela infondato, in quanto con esso il ricorrente, lungi dal prospettare effettivi vizi motivazionali della sentenza impugnata, ripropone, senza prospettare significativi elementi di novità, delle argomentazioni difensive già disattese dai giudici di merito in base a valutazioni del tutto logiche e pienamente aderenti alle risultanze processuali (le dichiarazioni dei testi M., B. e Ma.; le emergenze della prova generica; le dichiarazioni del coimputato D.) che univocamente deponevano per l’esistenza negli aggressori del B. di un’effettiva volontà omicida, avendo costoro agito "nella piena consapevolezza che i colpi sferrati al cittadino marocchino sarebbero potuti risultare mortali". 2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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