Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-02-2011, n. 3689

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. M.F. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Toro Assicurazioni avverso la sentenza resa in unico grado, ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, dalla Corte d’Appello di Napoli nella controversia da lui introdotta il 5 luglio 2007 contro detta società per ottenere la condanna della stessa al pagamento della somma di Euro 3.504,06 oltre interessi e rivalutazione, siccome pagata quale quota parte pari al 20% del premio corrisposto alla stessa per tre polizze assicurative per la r.c.a. ed imputabile a suo dire ad un aumento disposto dalla compagnia assicuratrice sulla base di un’intesa restrittiva della concorrenza intervenuta con altre compagnie assicuratrici, la quale era stata sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con provvedimento del 2 febbraio 2002.

Con detta sentenza la Corte d’Appello ha dichiarato "inammissibile" sic (in realtà rigettato nel merito) la domanda, per un verso ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società convenuta (pur reputando che essa fosse infondata per come dedotta, cioè ai sensi dell’art. 2952 c.c. e considerando, invece, che dovesse applicarsi la prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2947 c.c.) e per altro verso reputando (testualmente) "solo per completezza … che, pur se tempestiva, la domanda sarebbe stata comunque infondata nel merito, come affermato dalla Corte in numerose altre sentenze aventi lo stesso oggetto". p. 2. La società intimata non ha resistito al ricorso.

Motivi della decisione

p. 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta "violazione e falsa applicazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e art. 2938 c.c., in violazione all’art. 360 c.p.c., n. 3", sotto il profilo che la Corte d’Appello avrebbe esaminato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Toro Assicurazioni nonostante che essa fosse stata proposta tardivamente. La società convenuta, infatti, citata a comparire per l’udienza del 14 gennaio 2008, si era costituita non già venti giorni prima di detta udienza, bensì soltanto all’udienza di prima comparazione, la quale, per rinvio d’ufficio si era tenuta il successivo 16 gennaio 2008. Poichè l’eccezione di prescrizione era eccezione non rilevabile d’ufficio la Corte d’Appello – osserva il ricorrente – non avrebbe dovuto darle rilievo, bensì considerarla tardiva.

Con il secondo motivo si deduce "difetto, insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5", assumendo:

a) con una prima censura che la Corte d’Appello, sempre per la tardività della proposizione dell’eccezione di prescrizione, non avrebbe potuto, come, invece, ha fatto esaminare l’eccezione per come proposta e disattenderla nel merito e, quindi, procedere all’applicazione della prescrizione ai sensi dell’art. 2947 c.c.;

b) con una seconda censura – diretta contro la seconda motivazione prospettata dalla Corte territoriale – che la motivazione di infondatezza a prescindere dall’operare della prescrizione sarebbe stata arbitraria, illogica e contraddittoria, per non avere specificato nemmeno in maniera generica, la ritenuta infondatezza. p. 2. Il primo motivo e la prima censura proposta con il secondo motivo appaiono improcedibili e ciò, determinando il formarsi della cosa giudicata sulla ratio decidendi cui si riferiscono, cioè quella relativa alla infondatezza della domanda per avvenuta prescrizione, rende irrilevante esaminare la seconda censura, perchè il suo accoglimento lascerebbe in piedi la sentenza impugnata quanto all’altra ratio.

La ragione di improcedibilità si rinviene nella circostanza che, al contrario di quanto gli imponeva l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, parte ricorrente non ha prodotto l’atto processuale sul quale il primo motivo e la prima censura del secondo motivo si fondano.

Invero, nell’illustrazione del primo motivo egli ha, in ossequio a quanto gli imponeva l’art. 366 c.p.c., n. 6, trascritto quello che ha assunto essere stato il contenuto del verbale di causa della prima udienza effettiva del 16 gennaio 2008 davanti alla Corte territoriale. Da essa si evincerebbe che effettivamente la società convenuta ebbe a costituirsi soltanto in quell’udienza e non nel rispetto del termine previsto per il deposito della comparsa di risposta dall’art. 167 c.p.c., cioè venti giorni prima dell’udienza indicata nella citazione introduttiva.

Senonchè, parte ricorrente non ha prodotto, come invece prescriveva il cennato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il processo verbale dell’udienza del 16 gennaio 2008.

A tale produzione egli era onerato nonostante che avesse depositato – come risulta dal suo fascicolo e dalla produzione fatta all’atto del deposito del ricorso – l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio del giudizio a quo, giusta quanto gli imponeva l’art. 369 c.p.c., comma 3. Questa norma, infatti, onera la parte ricorrente in cassazione, a pena di improcedibilità, della produzione (oltre che dei documenti) degli atti processuali su cui il ricorso si fonda, così evidenziando la sussistenza del dovere del ricorrente di produrre anche tali atti, eventualmente in copia se gli originali sono atti del fascicolo d’ufficio del giudice a quo. Il riferimento generico agli atti processuali, d’altro canto, non si presta ad essere inteso nel senso che si debba trattare di atti processuali rimasti nel dominio del ricorrente (o perchè da lui compiuti o perchè, pur compiuti da altri, siano rimasti in sue mani, come per esempio una relata di notificazione), ancorchè inseriti nel suo fascicolo di parte. E’ sufficiente osservare che il codice di rito mostra di riferirsi con questo concetto in modo del tutto indifferente al soggetto che li abbia compiuti, come rivela l’art. 162 c.p.c., comma 2.

Stante la previsione di tale onere e della relativa sanzione, si deve rilevare che quest’ultima, per la contradizion che nòl consente, non può essere superata dando rilievo alla circostanza che lo stesso art. 269, nel detto comma 3, prevede in via autonoma l’onere di richiedere la trasmissione di detto fascicolo: la presenza dei due oneri e la sanzione dell’inosservanza del primo palesano, infatti, che, quando il ricorso si fondi su atti processuali che dovrebbero essere inseriti nel fascicolo d’ufficio, il ricorrente non può fare affidamento sul fatto che essi possano essere rinvenuti in esso e, quindi, omettere di produrli, confidando sul fatto che essi saranno lì esaminabili. Ciò si spiega sia con il fatto che tale fascicolo, pur richiesto, potrebbe non pervenire in tempo utile per la trattazione (ed un rinvio di essa per l’acquisizione mal si concilierebbe con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo), sia con il fatto che esso potrebbe non essere stato tenuto correttamente o potrebbe non contenere più l’atto processuale di cui trattasi.

In effetti la ratio dell’imposizione al ricorrente della formulazione dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio appare funzionale a consentire che le allegazioni fondate dal ricorrente sulla copia degli atti processuali da lui prodotta possano essere riscontrate, sia per verificarne la conformità all’originale, sia, soprattutto, per consentire alla Corte di cassazione di apprezzare l’atto nell’ambito della dimensione più ampia in cui nel fascicolo d’ufficio esso si collochi: si pensi, ad esempio, all’ipotesi di produzione di una parte del verbale di una certa udienza per la parte che il ricorrente assume supportare la sua censura ed alla verifica del suo effettivo significato nell’ambito del verbale nel suo complesso.

D’altro canto, come già altra volte è stato notato (Cass. n. 4201 del 2010) la stessa trasmissione del fascicolo d’ufficio potrebbe evidenziare una situazione in cui l’atto processuale cui il motivo si riferisce non sia presente nemmeno in esso: si pensi al caso in cui nel processo d’appello in cui sia stata emessa la sentenza impugnata non sia stato acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, nel quale si trovino gli originali degli atti processuali sui quali si fonda il motivo (ad esempio la c.t.u. espletata in primo grado, ovvero i processi verbali del giudizio di primo grado).

Anche questo rilievo dimostra che l’onere di produzione degli atti processuali è onere che assume un rilievo del tutto indipendente da quello di richiedere al giudice a quo la trasmissione del fascicolo d’ufficio. Onere che art. 369, u.c., non a caso non prevede a pena di improcedibilità, il che si spiega proprio con il fatto che gli atti processuali sui quali il ricorso si fonda debbono essere prodotti sotto quella sanzione dal ricorrente.

Nella specie all’atto della presente decisione il fascicolo d’ufficio non risulta trasmesso e, dunque, non si versa nemmeno in una situazione in cui l’onere di produzione non è stato adempiuto e si volesse ipotizzi che comunque possa procedersi all’esame dell’atto processuale nel fascicolo d’ufficio. Il che comunque dovrebbe escludersi per le ragioni su indicate, atteso che l’omessa produzione rende improcedibile il ricorso e, quindi, preclude alla Corte di esaminarlo al lume del fascicolo d’ufficio in ipotesi pervenuto.

Tornando al ricorso in esame, poichè l’onere di produzione non è eliso dalla richiesta di trasmissione, diventa d’altro canto, inimmaginabile – ed appunto contrario all’esigenza della ragionevole durata del processo – che la Corte, in una situazione di mancata trasmissione del fascicolo nonostante la formulazione della tempestiva richiesta, come quella che qui si deve constatare, possa ordinare l’acquisizione del fascicolo rinviando la trattazione.

In forza delle osservazioni svolte, il Collegio ritiene allora di discostarsi, anche alla luce della sopravvenienza del principio della ragionevole durata del processo, da un non recente precedente che aveva così statuito: "Ancorchè negli atti di causa manchi il fascicolo d’ufficio delle precedenti fasi del giudizio, è ammissibile il ricorso per Cassazione qualora il ricorrente dimostri di avere rivolto alla cancelleria del giudice a quo l’istanza di cui all’art. 369 cod. proc. civ., u.c., in quanto il difetto del relativo adempimento da parte di quella non può risolversi in un pregiudizio per il ricorrente che abbia adempiuto l’onere a suo carico" (Cass. n. 2425 del 1981). Non senza doversi ricordare che in altro precedente si è ritenuto che "In difetto di trasmissione del fascicolo d’ufficio ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., u.c., il ricorso per Cassazione dev’essere dichiarato improcedibile se con esso siano lamentati errores in procedendo del giudice del merito, senza che dagli Atti processuali risultino le attività compiute dallo stesso in violazione delle norme di rito" (Cass. n. 652 del 1977).

3. Il ricorso è, dunque, dichiarato improcedibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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