Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-11-2010) 21-01-2011, n. 1910

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

quanto segue:

V.G. è imputata dei delitti di cui all’art. 594 c.p. e art. 612 c.p., comma 1 in danno di I.V. per aver pronunziato le seguenti frasi: a) la sede di (OMISSIS) è una sede di delinquenti, b) con me cascate male perchè vi faccio un culo così, vi faccio ricordare il mio nome.

Il GdP di Cosenza con sentenza 7.7.1009 la ha assolta "perchè i fatti non sussistono".

Ricorre per cassazione il competente P.d.R. e deduce mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità di motivazione, atteso che il giudicante, immotivatamente appunto, ha ritenuto non credibile la PO e la teste M.M.. Le loro dichiarazioni, a suo modo di vedere, sarebbero resistite da quelle di altri tre testi, i quali ebbero a sostenere di non aver udito le frasi addebitate all’imputata. Secondo il GdP, per altro, la V., adirata per l’insoddisfacente andamento dell’ufficio INPS di cui era direttrice, avrebbe pronunziato frasi sgarbate nei confronti della PO, ma "non tali da ritenersi ingiuriose".

Dunque la PO è ritenuta credibile tranne che per il contenuto e la valenza offensiva delle frasi. In realtà, non esiste alcun contrasto tra le deposizioni dei testi, atteso che i tre che hanno riferito di non aver udito nè insulti, nè minacce, giunsero dopo che l’imputata aveva proferito le frasi di cui al capo di imputazione.

Il 30.10.2010 il difensore di V. avv. Tilella ha depositato memoria con la quale sostiene che il ricorso del PM è infondato o inammissibile, atteso che i pretesi vizi di contraddittorietà della motivazione non sussistono. Non può condividersi l’opinione dell’impugnante, il quale evidentemente ritiene che un’accesa discussione debba necessariamente sfociare in una ingiuriosa minaccia. Il GdP, per altro, ha sufficientemente chiarito la ragione per la quale ha ritenuto credibile la PO. Il clima di astio, di tensione, di sfida instauratosi tra I. e il suo superiore gerarchico non consente di ritenere pienamente sereno, disinteressato e quindi attendibile il primo. Nè può condividersi l’idea che le dichiarazioni della M. e quelle degli altri testi riguardino differenti segmenti temporali, in quanto dagli atti di causa emerge esattamente il contrario.

In realtà il PM richiede una inammissibile rivalutazione dei medesimi elementi di fatto sui quali il GdP ha maturato la sua decisione. Il ricorrente poi omette di indicare gli atti processuali dei quali lamenta la mancata o scorretta valutazione, con ciò violando il dettato dell’art. 606 c.p.p. come innovato dalla L. n. 46 del 2006.

Viene infine dal ricorrente trascurata l’argomentazione con la quale il GdP dimostra che la V. non aveva alcuna intenzione di ingiuriare o minacciare il querelante, dal momento che ella aveva semplicemente esercitato il suo diritto-dovere di richiamare i suoi subalterni al rispetto dei loro doveri di ufficio. E ciò ella ha fatto, sia pure con linguaggio colorito.

Tanto premesso, osserva il Collegio che effettivamente la motivazione esibita dal GdP appare gravemente contraddicono.

Il giudicante infatti da atto della coincidenza delle versioni fornite dalla PO e dalla teste M.M., affermando tuttavia che esse sono contraddette da quelle provenienti da altri testi.

Quanto alla teste E.C., però, il GdP scrive che la stessa, presente nel momento del "contatto" iniziale tra latinucci e V., si ritirò subito dopo in altro locale a svolgere il suo lavoro.

La medesima posizione sembra che il GdP abbia attribuito al teste C.V., mentre il teste L.F. – per quel che è dato comprendere dalla lettura della sentenza- ha riferito circa l’intenzione, manifestata dalla PO il giorno prima dei fatti per i quali è processo, di assentarsi dal lavoro il (OMISSIS).

Egli dunque non fornisce alcun contributo diretto alla conoscenza del fatto, ma fornisce una spiegazione, per cd., della sua genesi.

Si fa anche parola delle testi D.V.M.P. e G. L., le quali ebbero a riferire che, in loro presenza, l’imputata non fece ricorso a frasi violente, volgari, minacciose o sconvenienti.

E’ lo stesso GdP, poi, che – riepilogando – scrive che allo scontro verbale tra l’imputata e lo I. assistettero certamente più impiegati, ma "in tempi diversi e non contestualmente".

Cosi stando le cose, il contrasto tra le dichiarazioni della M. e quelle degli altri testi trova spiegazione nelle stesse parole del giudicante; per meglio dire, si chiarisce come contrasto in realtà non vi fu, in quanto, come correttamente ha rilevato l’impugnante PM, le diverse versioni dell’accaduto non riguardano lo stesso momento.

D’altronde il GdP, nel tacciare (implicitamente) di mendacio, di imprecisione o di cattivo ricordo la M., non avanza, neanche in via ipotetica, alcuna spiegazione di tale condotta.

Nella parte finale della sentenza infine il giudicante finisce per affermare che la V. si lasciò andare a espressioni poco cortesi e dettate dall’ira, espressioni che tuttavia, a parere del GdP, non dimostrerebbero la volontà di ingiuriare e/o minacciare.

Vale a dire che, in tale passo della motivazione, il giudice del merito sembrerebbe ammettere la materialità della condotta della V., ritenendola tuttavia non penalmente rilevante perchè non sostenuta da animus iniuriandi o da una effettiva volontà di minacciare.

Ne consegue che, oltre alla evidente contraddizione, il GdP è anche incorso in un riconoscibile errore di diritto, in quanto per la sussistenza del delitto ex art. 594 c.p.; è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (ASN 200202972 – RV 221018).

Tutto ciò premesso, deve tuttavia rilevarsi che il reato sub B) non può ritenersi sussistente, in quanto quello minacciato dalla imputata non fu un male ingiusto.

Nell’ambito dei suoi poteri di direzione dell’ufficio e di disciplina del personale da lei dipendente, la V. poteva certamente rendere edotti i suoi subalterni della sua intenzione di procedere a uno stretto controllo su tempi e modi di lavoro e sulla incidenza delle assenze per malattia sulla produttività della struttura, perchè ciò rientrava nel suo potere-dovere di dirigente.

L’aver utilizzato un frasario certamente poco urbano e signorile, anzi decisamente scurrile, non muta la natura della affermazione e anche la "promessa" che gli impiegati avrebbero ricordato il suo nome, non può che esser letta nel senso ella intendeva inaugurare una più seria e severa modalità di gestione del personale.

Per i motivi sopra esposti, il ricorso del PM va rigettato con riferimento alla imputazione sub B).

Valenza ingiuriosa viceversa deve essere riconosciuta alla frase di cui al capo A), relativa evidentemente a tutti i dipendenti della sede INPS di Cosenza, anche se, a quanto si apprende, il solo I. ha sporto querela.

Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al medesimo ufficio del giudice di pace.

Il giudice di rinvio, sciolte le contraddizioni logiche sopra segnalate, assumerà, in merito, la conseguente decisione.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di ingiuria con rinvio al giudice di pace di Cosenza per nuovo esame; rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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