Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-11-2010) 21-01-2011, n. 2177 Intercettazioni telefoniche; Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Genova, giudicava:

S.P.P.G. imputato: del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere acquistato gr. 50 di cocaina e per avere detenuto detto stupefacente in concorso morale con M. F.L., essendosi accordato in precedenza con il medesimo per la cessione di un quantitativo di cocaina in cambio dell’acquisto di una vettura "Passat Wolkswagen";

– fatto accertato in (OMISSIS);

– con sentenza del 21.06.2002, il Tribunale condannava l’imputato alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 40.000 di multa, in concorso delle attenuanti generiche;

– tale decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte di appello di Genova che – con sentenza del 18.03.2003 – ravvisava nei fatti l’ipotesi del reato tentato e riduceva la pena in quella di anni 3 di reclusione ed Euro 30.000 di multa;

– la Corte di Cassazione -con sentenza dell’11.11.2004 – in accoglimento del motivo di censura (ritenuto assorbente) relativo alla mancanza in atti dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche, annullava la decisione impugnata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello, disponendo che "il giudice del rinvio dovrà ricostruire l’iter delle intercettazioni accertandone la uniformità o meno alla legge che le disciplina" – all’esito del giudizio di appello, la Corte di appello di Genova, in sede di rinvio, – con sentenza del 21.04.2009 – confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per Cassazione l’imputato ed il suo difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) e).

1)-con il primo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione del divieto della "reformatio in peius" ed osserva che la sentenza della Corte di appello di Genova del 18.03.2003 – poi annullata – aveva ritenuto l’ipotesi del tentativo ed aveva ridotto la pena in quella di anni 3 di reclusione ed Euro 30.000 di multa – oltre all’interdizione dai PP.UU. per anni 5 – mentre la nuova sentenza emessa in sede di giudizio di rinvio, aveva ritenuto il reato consumato e, confermando la sentenza di 1 grado, aveva elevato la pena in quella di anni 6 di reclusone ed Euro 40.000 di multa – oltre all’interdizione dai PP.UU. per anni 6 – 2) – con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, poste a fondamento della decisione; l’inutilizzabilità discendeva dal deposito tardivo dei decreti autorizzativi, avvenuto per la prima volta nel giudizio di rinvio; risultava in tal modo che i decreti non erano stati tempestivamente depositati nel procedimento, in violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 4; a parere del ricorrente tale circostanza emergeva dalle dichiarazioni del PG depositante, il quale aveva precisato di avere rinvenuto detti documenti nel fascicolo di altro procedimento, cioè il N. 3694/99/21 e non nel presente procedimento contraddistinto dai nn. 11348/2000/44 e 11057/00/21;

la Corte di appello aveva valorizzato la circostanza che i decreti autorizzativi appartenevano ad altro procedimento ma il ricorrente censura anche tale motivazione, osservando che in realtà, gli stessi decreti recavano il n. 11348/2000/44 poi passato al 11057/00/21 e, quindi, pur essendo inseriti nel fascicolo di altro procedimento, erano relativi al presente procedimento; ne derivava che gli stessi non erano stati tempestivamente depositati nel procedimento in esame, sicchè l’eccezione di inutilizzabilità per omesso deposito era stata erroneamente disattesa nella sentenza impugnata; 3-4-5) – il ricorrente censura inoltre la sentenza impugnata per avere respinto l’eccezione di nullità dei decreti autorizzativi per omessa motivazione dei medesimi, in violazione dell’art. 267 c.p.p.; 6-7-8- 9) – la decisione impugnata era manifestamente illogicità nella parte in cui aveva ricavato la prova della penale responsabilità dell’imputato dalle telefonate intercettate, ritenendo che nelle medesime si sarebbe parlato di cocaina, mentre tale elemento non era affatto percepibile;

– inoltre, la sentenza non avrebbe motivato sull’attribuibilità al M. dell’utenza intercettata e sull’identificazione dell’imputato S. nell’interlocutore;

– la sentenza sarebbe illogica nella parte in cui avrebbe interpretato le parole nel senso che ove si parlava di "scarpe" si voleva intendere "cocaina";

10-11) – la sentenza impugnata sarebbe illogica anche nella parte in cui ha omesso di indicare la prova del presunto accordo per la cessione dello stupefacente, circostanza inesistente perchè smentita – a parere del ricorrente- dal tenore letterale delle conversazioni, nonchè dalla circostanza che la telefonata in questione è del (OMISSIS), irrilevante dunque riguardo al sequestro in danno del M., avvenuto più tardi, in data 21.10.00;

12)- la sentenza sarebbe illogica per avere omesso di motivare riguardo alla dedotta inutilizzabilità della consulenza chimica- tossicologica sulla sostanza stupefacente, consulenza acquisita in maniera irrituale in primo grado e senza che il consulente fosse stato indicato nelle liste testimoniali;

i3-14)-ancora, la decisione sarebbe illogica: – sia per non avere indicato la prova che la droga era destinata alla cessione a terzi (in assenza della quale prova non si poteva escludere la non punibilità per uso personale) e: – sia per avere negato l’attenuate di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, attenuante che andava concessa in relazione alla modesta quantità;

16-17)- la sentenza era, infine, da censurare: – per non avere irrogato la pena nel minimo – per non avere riconosciuto la circostanza attenuante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 – per non avere applicato la legge più favorevole di cui al D.L. n. 272 del 2005; 18)- la sentenza sarebbe incorsa in violazione di legge non avendo dichiarato la nullità del giudizio per omessa notifica all’imputato assente – della contestazione suppletiva effettuata dal PM nel verbale dell’udienza del 21.06.2002, con la quale veniva contestato all’imputato (-già accusato di concorso morale in detenzione di cocaina-) anche l’acquisto di gr. 50 della stessa sostanza; la sentenza impugnata aveva illogicamente ed erroneamente ritenuto non necessaria tale notifica perchè riguardante condotte omogenee; 19)-si lamenta infine che, dalla produzione nel giudizio del rinvio dei decreti autorizzativi delle intercettazioni sarebbe emerso, per la prima volta, che i medesimi erano stati emessi dal dr. P.V., cioè dallo stesso giudice che aveva formato il Tribunale monocratico, il tutto in violazione dell’art. 34 c.p.p., comma 2 bis;

– l’eccezione era stata sollevata appena possibile nel giudizio di rinvio ed era erronea la motivazione della Corte di appello che l’aveva respinta sul presupposto che quei decreti erano stati emessi in altro procedimento, mentre il ricorrente aveva dimostrato (con i motivi precedenti) che si trattava dello stesso procedimento;

– in ogni caso, ove questa Corte di Cassazione riteneva infondato il motivo, sul presupposto che l’incompatibilità non dava luogo a nullità ed andava eccepita nei termini con la forma della ricusazione, si sollevava in questa sede l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 34 c.p.p., comma 2 bis in relazione all’art. 111 Cost., laddove non prevede la nullità del processo allorchè una causa di incompatibilità del Giudice sia stata conosciuta, per fatti non ascrivibili alla difesa, solo successivamente allo svolgimento del giudizio di 1 grado;

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il motivo relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, per tardività del deposito dei decreti autorizzativi, risulta infondato anche se per ragioni giuridiche diverse da quelle adottate dalla Corte di appello;

al riguardo, la Giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio, condiviso da questo Collegio, per il quale il termine perentorio ex art. 309 c.p.p., comma 5, attiene solo agli atti con valore probatorio, così che la tardività del deposito dei decreti autorizzativi delle intercettazioni non è causa di inefficacia della misura cautelare nè di inutilizzabilità dei risultati delle captazioni. (Cass. pen. Sez., 11.04.2005 n. 1348) Neppure può ritenersi la nullità degli stessi decreti perchè privi di motivazione, come sostenuto dal ricorrente ex art. 267 c.p.p., risultando del tutto corretta la sentenza impugnata laddove ha sottolineato che,al contrario, la motivazione era del tutto esauriente sol che si procedesse ad integrare la motivazione dei decreti autorizzativi del Gip con le deduzioni contenute nelle richieste del PM; al riguardo si è formata una giurisprudenza di legittimità del tutto costante nell’affermare che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è legittima la motivazione "per relationem" dei decreti autorizzativi quando in essi il giudice faccia richiamo alle richieste del P.M. ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto d’averle prese in esame e fatte proprie, T’iter" cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione del particolare mezzo di ricerca della prova. Cassazione penale. sez. 6, 14 novembre 2008, n. 46056.

I motivi successivi, relativi: – al contenuto delle telefonate intercettate, – al senso delle parole utilizzate (cocaina in luogo di scarpe) – all’attribuibilità al M. dell’utenza intercettata e all’identificazione dell’imputato S. nell’interlocutore, sono del tutto infondati, atteso che attengono a valutazioni alternative delle prove analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e secondo grado; valutazioni incensurabili in sede di legittimità ove sostenute, come nella specie, da adeguata e congrua motivazione; la Corte territoriale sottolinea, infatti, come gli interlocutori utilizzano un linguaggio criptato che, tuttavia, risulta chiaramente allusivo al traffico di sostanze stupefacenti, atteso sia il contesto dell’intera conversazione e sia il sequestro di cocaina puntualmente avvenuto in danno del M. (pag. 6 e segg.);

va ricordato che in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se abbiano analizzato il materiale istruttorio facendo corretta applicazione delle regole della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Ugualmente infondato, perchè non rilevante, risulta il motivo relativo all’inutilizzabilità della consulenza chimica- tossicologica, atteso che la Corte territoriale ha desunto la qualità della droga sulla scorta del sequestro della sostanza stupefacente, evento storico effettivamente avvenuto e, perciò, costituente piena prova; la Corte di appello ricava in maniera indiretta gli elementi sulla quantità e bontà della droga, valutando l’entità considerevole del prezzo, costituito da un’autovettura; (pag. 6) dunque la sentenza impugnata non considera la questione dell’eventuale irritualità dell’acquisizione della consulenza tecnica perchè non pone quest’ultima a fondamento della decisione, ricavando i necessari dati di valutazione dagli altri elementi ora ricordati; risulta pertanto evidente l’irrilevanza della questione.

I principi sino ad ora espressi evidenziano l’infondatezza anche dei motivi riguardanti l’omessa indicazione della prova della destinazione a terzi della sostanza stupefacente;

la Corte di appello motiva al riguardo in maniera implicita ma chiara allorchè richiama: – il contesto delle conversazioni intercettate – inerenti l’importazione in Italia di droga – ed: – il considerevole prezzo della sostanza trafficata; argomentazioni utilizzate anche per congruamente motivare le ragioni del diniego dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, invocata anche in questa sede con specifica quanto infondata censura.

Vanno parimenti respinti i motivi con i quali si lamenta: – sia l’irrogazione della pena in maniera superiore al minimo e: – sia la mancata applicazione della legge più favorevole di cui al D.L. n. 272 del 2005, atteso che, per un verso, la sentenza non ha inflitto una pena superiore a quella prevista dal D.L. del 2005 e, per altro verso, che in tema di determinazione della pena, quando la stessa venga irrogata in misura prossima al minimo edittale – come nella specie-l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, sicchè è sufficiente anche il richiamo a criteri di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. Cassazione penale sez. 4, 21 settembre 2007, n. 38536.

Del tutto infondato anche il motivo relativo alla nullità discendente dall’omessa notifica all’imputato (assente) della contestazione suppletiva effettuata dal PM, atteso che la Corte di appello ha correttamente osservato non essere necessaria tale notifica, stante la sostanziale coincidenza tra la condotta contestata in dibattimento (acquisto di gr 50 di cocaina) con quella oggetto dell’imputazione (detenzione della stessa sostanza);

si tratta di una motivazione congrua: perchè la detenzione e l’acquisto di stupefacenti sono ugualmente vietati e sanzionati – sicchè la questione proposta risulta meramente formale- ed anche:

perchè non vi è stata violazione del diritto di difesa atteso che, per la sostanziale identità delle due contestazioni, non vi è stato un mutamento del fatto che abbia pregiudicato la possibilità di difesa dell’imputato, riguardano la contestazione suppletiva solo una modalità della detenzione del medesimo quantitativo di stupefacente.

Cassazione penale. sez. 4, 16 settembre 2008, n. 38819.

Nemmeno risulta fondato il motivo con il quale si eccepisce la nullità del giudizio conseguente all’incompatibità del giudice, Dott. Pupa Vincenzo, che ha emesso decreti autorizzativi delle intercettazioni e, successivamente, ha formato il Tribunale monocratico ed emesso la sentenza di primo grado, il tutto in violazione dell’art. 34 c.p.p., comma 2 bis; il ricorrente lamenta che tale incompatibilità sarebbe emersa, per la prima volta, dalla produzione dei decreti autorizzativi nel giudizio del rinvio, sicchè non si è potuto rilevarla in precedenza; – si tratta di motivo infondato atteso che l’eventuale incompatibilità del giudice a sensi dell’art. 34 c.p.p., comma 2 bis, non produce alcuna nullità (Cass. pen. Sez. 1, 27.10.2009 n. 1101) ma comporta solo la facoltà di proporre la dichiarazione di ricusazione nei termini e nei modi stabiliti dall’art. 38 c.p.p., comma 2 (Cass. pen. Sez. 1, 01.03.2002 n. 14206); ne deriva che, esclusa la nullità della sentenza, il giudizio non può retrocedere solo per formulare – eventualmente – l’istanza di ricusazione, facoltà sottoposta a precisi termini di decadenza, rigidamente stabiliti proprio allo scopo di evitare che il processo, ormai celebrato, possa essere inficiato dall’eventuale incompatibilità, anche se tardivamente denunciata ovvero, come nel caso, tardivamente rilevata;

ne consegue che la facoltà di proposizione dell’istanza di ricusazione risulta ormai irrimediabilmente preclusa dall’emissione della sentenza conclusiva di quella fase del giudizio.

Per le medesime ragioni non vi è spazio per una valutazione di costituzionalità della norma, così come proposta dal ricorrente, essendo il medesimo privo del relativo interesse.

Questo senza considerare la correttezza della motivazione addotta dalla Corte di appello, laddove ha osservato che nei decreti autorizzativi il Gip non aveva espresso una valutazione di responsabilità dell’indagato ma solo un giudizio di rilevanza processuale del mezzo istruttivo richiesto.

Consegue il rigetto dei motivi sin qui proposti.

Diverso discorso deve farsi per il 1 motivo che, invece, risulta fondato; -invero, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la Giurisprudenza è concorde nel ritenere che il divieto della "reformatio in peius" opera anche nel giudizio di rinvio, fatto salvo il caso in cui la decisione impugnata sia stata annullata per vizio degli atti propulsivi del giudizio (Cassazione penale, sez. un., 11/04/2006, n. 17050 – Cass. Pen. Sez. 6, 30.09.2009 n. 44488), circostanza che qui non ricorre atteso che l’annullamento riguardava la mancata prova sulla ritualità dell’emissione dei decreti di autorizzazione alle intercettazioni.

La Corte di appello non poteva perciò fare riferimento alla sentenza di 1 grado e modificare l’entità della pena già irrogata con la sentenza di 2 grado;

– la Corte territoriale, in sede di rinvio ed in assenza di appello del PM, per un verso, poteva dare al fatto la qualificazione giuridica ritenuta più corretta e qualificare il fatto contestato come reato consumato ma, per altro verso, non poteva mutare "in peius" la pena irrogata in precedenza, stante il preciso disposto dell’art. 597 c.p.p., comma 3.

Consegue l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, limitatamente alla quantificazione della pena che va determinata, in base all’art. 620, lett. L) ed in conformità alla sentenza della Corte di appello del 18.03.2003, in quella di anni 3 di reclusione, Euro mille 3.000 di multa, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla quantificazione della pena che determina in anni 3 di reclusione ed Euro 30.000 di multa e nell’interdizione dai Pubblici Uffici per la durata di anni 5;

Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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