Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-02-2011, n. 3678 Fideiussione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In relazione all’affidamento in appalto della costruzione di opera pubblica da parte del comune di Torrenova alla ditta individuale " C.S.", costui stipulava con la società Reale Mutua Assicurazioni S.p.A. tre polizze fideiussorie a beneficio del Comune in Ordine allo svincolo dei decimi degli stati di avanzamento dei lavori.

Poichè l’appaltatore dell’opera si rendeva inadempiente alle sue obbligazioni e non eseguiva i lavori commessigli secondo le previsioni contrattuali, il Comune di Torrenova – che aveva proceduto alla rescissione del contratto d’appalto, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340 e del R.D. n. 350 del 1895, art. 26, e non aveva recuperato dall’appaltatore, intanto dichiarato anche fallito, quanto dovutogli in restituzione del contratto rescisso – otteneva ingiunzione di pagamento della somma di L. 24.817.872 nei confronti della società Reale Mutua Assicurazioni S.p.A., garante in virtù delle tre polizze contratte a suo favore.

La società di assicurazione proponeva opposizione al decreto monitorio e, nel contraddittorio delle parti, l’adito Tribunale di Patti nella Sezione Distaccata di S. Agata di Militello, accogliendo l’opposizione all’ingiunzione, dichiarava che nulla era dovuto dal Comune di Torrenova, del quale rigettava anche le domande subordinate avanzate ex artt. 2041 e 2046 c.c..

Sul gravame del Comune soccombente provvedeva la Corte d’Appello di Messina con la sentenza depositata il 26.9.2005, quivi denunciata, la quale, ai fini che ancora interessano, considerava che:

Il contratto in oggetto, che il giudice di primo grado aveva qualificato nello schema tipico del rapporto fideiussorio, costituiva un negozio a causa mista, derivante dalla combinazione della causa assicurativa e di quella fideiussoria, per cui ad esso era da applicare la disciplina della fideiussione, ove non derogata dalle parti nella loro autonomia;

sussisteva pertanto, in virtù del principio dell’accessorietà della garanzia fideiussoria, la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, secondo la regola essenziale della fideiussione, posta dall’art. 1945 c.c.;

la clausola di polizza, che stabiliva la validità temporale della garanzia, non poteva essere ritenuta come limitativa della responsabilità, onde per essa non occorreva la specifica approvazione prevista dall’art. 1341 c.c., comma 2;

non essendo stati osservati dal Comune gli oneri a suo carico prescritti nel contratto di appalto (mancata emissione del certificato di collaudo dei lavori nel termine previsto ed omessa comunicazione all’assicuratore, nello stesso termine, dell’impossibilità di effettuare il collaudo per fatto imputabile alla ditta appaltatrice) la garanzia fideiussoria si era estinta;

mancando nel testo della polizza la clausola c.d. "a semplice richiesta", non poteva essere ravvisato nel dedotto rapporto la diversa fattispecie del contratto autonomo di garanzia, che, quando pure fosse stato sussistente con i suoi effetti di inibire al garante di potere opporre le eccezioni attinenti alla validità o all’efficacia del rapporto garantito, non avrebbe potuto impedire, comunque, di far valere le cause di invalidità dello stesso contratto di garanzia;

l’azione subordinata del Comune, proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c., non aveva fondamento.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Torrenova, il quale ha affidato l’impugnazione a sei mezzi di doglianza, cui resiste con controricorso la società Reale Mutua Assicurazioni S.p.A..

Motivi della decisione

Con il primo mezzo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., nonchè il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia – il Comune ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice del merito non ha rilevato la nullità della clausola di cui all’art. 1 delle condizioni generali di polizza, assumendo che essa, in quanto limitativa della responsabilità e non dell’oggetto del contratto di assicurazione, necessitava dell’approvazione con la specifica sottoscrizione.

Assume che erroneamente il giudice del merito, sia nel primo che nel secondo grado del giudizio, disattendendo la rubrica della clausola intitolata come delimitazione della garanzia, avrebbe erroneamente ritenuto che essa conteneva solo una previsione di durata temporale della garanzia stessa e non invece una limitazione della responsabilità ovvero una decadenza.

La censura nel suo complesso non può essere accolta.

In disparte la considerazione che il ricorrente in ricorso non riproduce il testo integrale della clausola e non consente, quindi, a questo Giudice di esaminarle compiutamente il contenuto al fine di giudicare in ordine alla sua interpretazione, rileva questa Corte che, l’interpretazione del contratto e degli altri negozi unilaterali, la quale consiste nell’accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale, operata dal giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già esaminati (ex plurimis: Cass., n. 4085/2001).

Orbene, nella specie, il giudice del merito, con adeguato esame delle espressioni usate dalle parti e nel ricostruirne la comune loro volontà, ha chiarito come la clausola in esame veniva a disciplinare soltanto la validità temporale della garanzia, senza stabilire alcuna decadenza, e che la stessa concedeva, comunque, al garantito il potere di evitare ogni pregiudizio mediante la prescritta comunicazione.

La suddetta interpretazione del contenuto della clausola risulta conforme alla logica e, come tale, è del tutto aderente alla legge.

Costituisce, infatti, principio pacifico nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità (ex multis: Cass., n. 5158/2005; Cass, n. 1430/2002; Cass., 12190/98; Cass. n. 1790/98) che il catalogo delle clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., comprende quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre non include tutte le altre che attengono all’oggetto del contratto o che riguardano il contenuto ed i limiti (anche temporali, come nella specie) della garanzia assicurativa e che, dunque, sono predisposte allo scopo di specificare il rischio garantito.

Con il secondo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione della legge nonchè il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia – il Comune ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice del merito ha qualificato il rapporto di garanzia come fideiussione e non quale contratto autonomo di garanzia.

Sostiene che, ai fini della configurabilità del contratto autonomo di garanzia, non sarebbe decisivo l’impiego di espressioni quali "a semplice richiesta" ovvero "a prima richiesta", dovendosi, piuttosto, valutare la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia per dedurne la sussistenza o meno dell’elemento dell’accessorietà della garanzia medesima. Assume che, al riguardo, il giudice del merito non avrebbe considerato il valore precettivo della clausola n. 4 delle condizioni generali del contratto, secondo cui la società di assicurazione non poteva godere del beneficio della preventiva escussione dell’appaltatore e doveva effettuare il pagamento dopo semplice avviso alla ditta obbligata e senza la necessità del preventivo consenso della stessa.

La censura non può essere accolta.

L’accertamento in ordine alla natura ed al contenuto del contratto, in tema di distinzione tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia, è questione riservata al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica ovvero per vizi della motivazione (Cass., n. 13001/2006; Cass., n. 2464/2004).

Nella specie, la conclusione del giudice del merito sul punto è del tutto coerente e la pretesa mancata valutazione del contenuto della clausola n. 4 predetta è argomento del tutto irrilevante, dato che la clausola in questione attiene al diverso rapporto tra impresa appaltatrice e fideiussore.

Ritenuta, pertanto corretta la qualificazione del rapporto come fideiussione e dovendo, perciò, il giudice del merito fare doverosa applicazione del criterio dell’accessorietà della garanzia (art. 1945 c.c.), resta assorbito il terzo motivo dell’impugnazione, con il quale il Comune ricorrente denuncia la violazione di legge ed il difetto di motivazione circa la ritenuta maturazione della decadenza, dalla quale si sarebbe potuto prescindere solo in presenza di un contratto autonomo di garanzia.

Con la censura prospettata dal quarto mezzo d’impugnazione – relativa alla violazione ed alla falsa applicazione della norma di cui alla L. n. 741 del 1981, art. 5 – il Comune ricorrente assume che la dichiarata decadenza della garanzia fideiussoria riguarderebbe solo i rapporti fra appaltante e appaltatore, escludendo l’impresa di assicurazioni. Assume inoltre che il termine di otto mesi previsto per effettuare il collaudo dell’opera non sarebbe perentorio, anche in considerazione del fatto che il Comune non ha mai restituito l’originale della polizza in segno di assenso alla liberazione dagli obblighi fideiussori.

Questo S.C. osserva che bene ha statuito la sentenza impugnata laddove afferma che "Il rapporto in oggetto poi, nell’ambito della più generale disciplina della fideiussione, risulta essere minutamente disciplinato dell’autonomia delle parti integrata dalla normativa di cui alla L. 10 dicembre 1981, n. 741, richiamata espressamente dalle parti. A tal fine l’art. 1 delle condizioni generali di polizza richiamando la L. 10 dicembre 1981, art. 5, dispone che la collaudazione dei lavori pubblici deve essere conclusa entro sei mesi dalla ultimazione di lavori, e se il certificato di collaudo venga approvato entro due mesi dalla scadenza dei sei mesi concessi per il collaudo la fideiussione si estingue. Tuttavia tale fatto estintivo può essere impedito ove l’Ente garantito comunichi alla Impresa garante entro la scadenza medesima che la mancata approvazione del certificato di collaudo sia imputabile alla ditta obbligata. Ora essendo stati i lavori in oggetto ultimati il 18.6.1993, il certificato di collaudo avrebbe dovuto essere emesso entro il 18.2.1994 (sei mesi + due mesi). Invece come è pacifico agli atti, non solo il certificato di collaudo non fu emesso dal Comune nel termine stabilito, ma per di più l’Ente stesso non provvide ad inviare entro lo stesso termine alla Reale Mutua la comunicazione in oggetto attestante l’impossibilità di effettuare la collaudazione per fatto imputabile alla ditta C.. Non essendo stati osservati dal Comune gli oneri a suo carico prescritti, la garanzia fideiussoria prestata dalla società appellata va ritenuta estinta. Non può ravvisarsi nel rapporto in oggetto il carattere del contratto autonomo di garanzia, tanto più a prima richiesta, mancando nel testo della polizza la c.d. clausola "a semplice richiesta". Ma anche ove si volesse attribuire a rapporto in oggetto il carattere di contratto autonomo di garanzia inibendosi perciò al garante di poter opporre le eccezioni attinenti alla validità o all’efficacia del rapporto garantito non può tuttavia essergli preclusa la possibilità di eccepire la estinzione del contratto di fideiussione".

Il motivo va pertanto rigettato.

Con il quinto motivo – deducendo la violazione e falsa applicazione della legge ed il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui il giudice del merito ha rigettato la domanda di indebito arricchimento – il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado ha confermato sul punto la statuizione di rigetto adottata dal giudice di primo grado ed aggiunge che detta domanda ben poteva essere per la prima volta proposta in sede d’appello.

La censura è, innanzitutto, assolutamente eccentrica rispetto al decisum.

L’azione ex art. 2041 c.c., era stata già proposta in primo grado nel giudizio di opposizione ad ingiunzione ed il Tribunale, che pure avrebbe dovuto rilevarne d’ufficio l’inammissibilità, quale domanda nuova avanzata dalla parte opposta (secondo, tra le altre, Cass., n. 2529/2006; Cass. n. 757/2006; Cass., n. 11455/2004) l’aveva rigettata nel merito.

La questione dell’ammissibilità non era stata proposta con il gravame ed il giudice d’appello aveva esaminato il merito l’impugnazione rigettando anche la domanda subordinata per difetto delle condizioni dell’azione ex art. 2041 c.c., con la conseguenza che, essendo ormai intervenuto sull’ammissibilità dell’azione il giudicato implicito interno, questa Corte detta inammissibilità non può più rilevare e deve, a sua volta, giudicare circa la fondatezza dell’azione medesima.

Sul punto, tuttavia, il ricorrente prospetta una censura del tutto generica, laddove semplicemente si duole del fatto che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto esaminare "attentamente" la questione e ritenere fondata la pretesa secondo "l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione".

Il motivo, perciò, sotto tale profilo, è inammissibile, dato che l’adottata ratio decidendi della Corte territoriale (in base alla quale l’azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, sicchè, qualora essa sia invece conseguenza di un contratto o di altro rapporto, non è legittimo invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa, almeno fino a quando il contratto o il rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria) non risulta investita da apposita critica.

Da rigettare, infine, è anche l’ultimo motivo, relativo alla regolamentazione delle spese processuali dei due gradi del giudizio di merito, che il ricorrente sostiene che dovevano essere compensate, in tutto o in parte, data la sussistenza di "elementi di particolare complessità interpretativa".

Essendo indubbia la soccombenza del Comune, il giudice del merito ha fatto corretta applicazione del criterio di cui all’art. 91 c.p.c.;

nè doveva esporre perchè non ravvisava i giusti motivi di cui all’art. 92 c.p.c..

La valutazione dell’opportunità della compensazione delle spese processuali, infatti, rientra nei suoi poteri discrezionali e non richiede specifica motivazione.

Il ricorso, pertanto, è rigettato ed il ricorrente Comune è condannato a pagare le spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento a favore del resistente delle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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