Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 15-02-2011, n. 3669 Procedimento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di un’istanza di avocazione presentata nell’ottobre 2007 da tale G.G., patte offesa nel procedimento penale n. 5443/04 presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, originato da uno stralcio da altro processo pendente in appello, assegnato dall’8.6.2005 al Sostituto Procuratore della Repubblica dott. C.S. e fino a quel momento non oggetto di ulteriori atti d’indagine, con segnalazione in data 6.3.2008 il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di quella sede interessava della vicenda il Consiglio Superiore della Magistratura, la cui prima commissione trasmetteva i relativi atti al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, quale titolare dell’azione disciplinare.

Essendo emerso da tali atti che il suddetto magistrato, dopo aver chiesto,con istanza del 7.12.05, la proroga del termine delle indagini preliminari, limitandosi a prospettare, informalmente,al Procuratore Distrettuale dott. S. l’opportunità di un cambio di delega, stante il suo disagio ad occuparsi di quel procedimento (in quanto la parte offesa era imputata di gravissimi delitti in altro processo da lui trattato,mentre uno degli imputati, tale I. gli stava rendendo,in altro procedi mento, una preziosa collaborazione), non aveva compiuto alcuna attività istruttoria fino alla definitiva scadenza del 20.6.07, tanto che il procedimento,assegnato ad altro sostituto,era stato poi archiviato,e che alla richiesta di chiarimenti da parte del P.G. interessato per l’eventuale avocazione,il dott. C. non aveva fornito risposta, il P.G. presso questa Corte dava inizio all’azione disciplinare sulla base di unico complesso addebito che l’incolpato, sentito alla presenza del difensore,contestava,producendo una memoria, con vari allegati. Successivamente l’incolpazione venne scissa in due capi, dal secondo dei quali (relativo all’omessa risposta alla richiesta di chiarimenti) intervenne, su richiesta dello stesso P.G., proscioglimento da parte della sezione disciplinare con provvedimento del 5.3.10, procedendosi al rinvio al giudizio per il primo, del seguente testuale tenore: "degli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a), d), g), e q) perchè,nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica addetto alla DDA di Reggio Calabria, ha violato i doveri di diligenza e laboriosità arrecando un ingiusto danno a tale G.G. parte offesa nel procedimento n. 5443/04 RGNR DDA, nonchè per negligenza inescusabile, gli artt. 326, 405 e 407 c.p.p.. In particolare, assegnatogli in data 8 giugno 2005, per ragioni di connessione ad altro procedimento da lui trattato (1595 /01 RGNR DDA),il suddetto procedimento n. 5443/05 a carico di I.P. e C. C. per i reati di cui agli artt. 81, 110 e 629 c.p.c e D.L. 14 maggio 199, n. 152, art. 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, commessi (OMISSIS) in danno del G., ometteva di compiere qualsiasi attività di indagine e ciò malgrado che la proroga del termine delle indagini, da lui stesso richiesta, scadesse il 9 giugno 2006 e nonostante le sollecitazioni avanzate dalla parte offesa".

All’esito della conseguente istruttoria dibattimentale, nel corso della quale la difesa aveva prodotto documentazione relativa alla laboriosità dell’incolpato e concluso per il proscioglimento o, in subordine, per l’audizione del Procuratore dott. S., la sezione disciplinare del C.S.M., accogliendo per quanto di ritenuta ragione le richieste del P.G., con sentenza del 16.4, depositata il 5.7.2010,dichiarava il dott. C. responsabile dell’illecito disciplinare ascrittogli,limitatamente alle ipotesi sub a) e d) del capo d’incolpazione, e gli irrogava la sanzione della censura.

Premesso che la condotta omissiva si era protratta fino al giugno 2007,per cui doveva trovare integrale applicazione la nuova disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 109 del 2006, e che, ai sensi degli artt. 326, 358 e 405 c.p.c., il P.M. era obbligato allo svolgimento delle attività d’indagine in ordine all’acquisita notitia criminis, riteneva la sezione che il dott. C. non le avesse compiute per sua deliberata scelta,sostanzialmente ammessa nel corso delle sue audizioni ed ascritta a ragioni di opportunità, tuttavia sintomatiche di una inammissibile "gestione del tutto personalistica e privatistica della giurisdizione". In particolare, non avrebbe potuto assumere alcuna efficacia scriminante la circostanza che il magistrato avesse oralmente prospettato al capo dell’ufficio l’opportunità di essere sostituito nella delega,poichè il mancato esito della richiesta gli avrebbe posto due alternative,o di formalizzarla per iscritto ribadendone le ragioni,oppure di compiere le attività istruttorie necessarie all’esercizio dell’azione penale; tale inerzia, pur esclusa la ricorrenza degli estremi delle fattispecie contestate sub g) e q),integrava gli estremi di quelle residue contestate e comportava l’irrogazione della sanzione.

Avverso la suddetta sentenza il dott. C. ha proposto,a mezzo del suo difensore di fiducia,ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

L’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta "violazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) e e) in relazione all’art. 2 c.p., D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32, L. n. 269 del 2006, art. 32 bis, R.D.L. n. 511 del 1946, art. 17 e ss..

Si sostiene che la sezione disciplinare abbia erroneamante applicato la disciplina contenuta nel D.Lgs. del 2006, disattendendo il principio generale del favor rei desumibile dall’art. 2 c.p. e la stessa ratio ispiratrice della riformarne avrebbero imposto l’applicazione della normativa previgente, quanto meno in parte, tenuto conto che i comportamenti ascritti all’incolpato avevano avuto inizio e si erano svolti prevalentemente in epoca anteriore all’entrata in vigore del suddetto D.Lgs..

1.1. La censura non merita accoglimento,alla luce dell’indirizzo al riguardo espresso da queste Sezioni Unite in due decisioni (sent. nn. 16577/09 e 967710), che hanno affermato il principio così massimato:

"in tema di responsabilità disciplinare a carico di magistrati, l’ultrattività della legge anteriore più favorevole è prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis, comma 2, esclusivamente in riferimento alle condotte poste in essere e compiutamente esauritesi in data anteriore al 19 giugno 2006,mentre alle condotte successive, quand’anche iniziatesi nel vigore della precedente disciplina ma protrattesi oltre la predetta data, si applicano esclusivamente le nuove disposizioni, senza alcuna possibilità di scissione, quanto all’apprezzamento della gravità del fatto, dell’unica condotta permanentemente lesiva dell’interesse tutelato". Il collegio non ritiene di doversi discostare dal suindicato indirizzo,osservando come l’interpretazione nello stesso fornita dell’art. 32 bis, comma 2, cit. D.Lgs. sia l’unica conforme al principio generale dettato dall’art. 2 c.p., comma 3, che nel prevedere l’applicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole in ipotesi di successione di norme diverse, fa riferimento al "tempo in cui fu commesso il reato", così esigendo la condizione che la condotta illecita si sia esaurita sotto il vigore della normativa antecedente, perchè il giudice possa poi procedere ad individuare il regime sanzionatorio in concreto più favorevole. Tale ipotesi non ricorre quando, come nel caso di specie,la condotta permanente abbia avuto inizio sotto il vigore della precedente disciplina e si sia protratta durante la vigenza della successiva,poichè in tal caso il successivo segmento della stessa, essendo di per sè solo sufficiente ad integrare gli estremi dell’illecito, ricade ratione temporis sotto la nuova normativa,cui non può sottrarsi per il solo fatto che,in precedenza,analoga condotta si sia verificata sotto il vigore di norme meno rigorose, non potendosi anche ascrivere al principio di cui all’art. 2 c.p., comma 3, cui la disposizione transitoria citata si conforma l’effetto di rendere ultrattivo il trattamento sanzionatorio più favorevole, in guisa tale da attrarre nella sua sfera di applicazione anche le azioni o omissioni successivamente compiute.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce "violazione ex art. 606, lett. d) e e) in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c), artt. 190 e 495 c.p.p.".

Si lamenta che la sezione disciplinare abbia rigettato, senza specifica motivazione ed in violazione del diritto di difesa, la richiesta di audizione del procuratore distrettuale dott. S. limitandosi a ritenerla "irrilevante" e senza considerare che tale magistrato,in quanto "depositario della realtà fattuale", avrebbe potuto fornire importanti elementi ai fini della ricostruzione della vicenda.

2.1 Il motivo non merita accoglimento.

Premesso che il diritto all’ammissione delle prove a discarico sui fatti addebitati, che l’art. 495 c.p.p., comma 2 riconosce all’imputatola contemperato con il potere – dovere del giudice del dibattimento di valutare la rilevanza della richiesta prova ai fini della decisione (tra le altre,v. Cass. Pen. nn. 16772/10, 2350/04, 4460/00), la cui negativa valutazione ove adeguatamente motivata è incensurabile in sede di legittimità,deve rilevarsi che nel caso di specie le ragioni del mancato accoglimento della richiesta di integrazione probatoria,perchè ritenuta irrilevante, risultano in parte spiegate e ,per il resto,agevolmente desumibili dal contesto complessivo della motivazione della sentenza. In particolare, avendo la sezione dato atto (v. pag. 7, cpv. 4) che lo stesso incolpato aveva ammesso "di non aver formalizzato la richiesta del cambio di delega per aver avuto una valutazione negativa sull’accoglimento della richiesta da parte del coordinatore della Direzione distrettuale dell’epoca, dott. S.F. e di essersi determinato in tal senso solo nel giugno del 2007,dopo aver avuto il preventivo assenso del coordinatore subentrante dott. B. S.", evidenti e coerenti all’assunta decisione risultano le implicite ragioni della ravvisata irrilevanza della sollecitata audizione. Il supplemento di istruttoria, infatti, al più avrebbe potuto fornire la conferma dell’avvenuta proposizione della suddetta informale istanza e di quella "valutazione negativa", nonostante la quale il dott. C. aveva ritenuto di perseverare nell’astensione dal compiere le indagini dovute, persistendo nell’omissione, come da lui stesso dichiarato, fino all’esaurimento del termine massimo, scadente nel giugno 2007.

Avendo, inoltre, la sezione affermato il principio,posto a base della decisione di colpevolezza, secondo cui, in mancanza di assenso del titolare, il sostituto non avrebbe potuto che formalizzare l’istanza di astensione,oppure compiere, nonostante il suo disagio, i dovuti atti d’indagine nei tempi al riguardo consentiti, la sollecitata audizione risultava del tutto superflua, nel contesto di una vicenda nella quale l’incolpato aveva ammesso di aver inutilmente palesato al dott. S. la sua intenzione in proposito e di avere,nondimeno,temporeggiato nel dar corso alle indagini.

D’altra parte, i giudici disciplinari non hanno mancato di osservare, così fornendo anche una motivazione esplicita e coerente alle suesposte ravvisate ragioni di colpevolezza, che "persino una ipotetica accondiscendenza in tale senso da parte del coordinatore della D.D.A sarebbe stata del tutto irrilevante …" (pag. 7. u.p.).

Non sussiste,pertanto,i lamentato difetto di motivazione.

3. Con il terzo motivo si deduce "violazione ex art. 606 c.p.p., lett. e)) in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, lett. a) e d)".

Secondo il ricorrente la sussunzione dei fatti ascritti nelle fattispecie di illecito previste dalle suesposte disposizioni sarebbe frutto di una forzatura del dato normativo,anzitutto perchè fondata sull’erronea considerazione che la fattispecie di cui alla lett. a) sarebbe una sorta di "norma di parziale chiusura del sistema",affermazione che contrasterebbe con i criteri di tipizzazione degli illeciti disciplinari perseguiti dalla normativa di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006 e farebbe rivivere quei poteri discrezionali,ormai non più attuali,che il R.D.L. n. 511 del 1946 attribuiva al giudice disciplinare. Il dott. C., infatti, sarebbe stato dichiarato responsabile, pur non avendo violato alcuno degli specifici doveri di cui all’art. 1 cit. D.Lgs., in assenza del presupposto richiesto dalla norma,vale a dire dell’adozione di un "provvedimento o compimento di un atto" ed in presenza di un presupposto,l’asserita violazione di legge,costituente elemento della distinta fattispecie di cui alla lett. g), inizialmente contestata e tuttavia esclusa dal giudice disciplinare.

Quest’ultimo, pertanto, continuando nondimeno a riferirsi,in motivazione (pagg. 8 e 9 ), alla violazione di legge, avrebbe finito con l’ascrivere all’incolpato un illecito "ibrido", costituito dalla commistione delle due ipotesi previste dalla lett. a) e g) dell’art. 2 citato.

3.1. Anche tali censure sono infondate,non avendo la sezione disciplinare "forzato" il principio di tipicità,cui è improntata la nuova disciplina in materia di responsabilità disciplinare dei magi strati, contenuta nel citato D.Lgs. del 2006,nè operato alcuna commistione tra la fattispecie sub a) e quella sub ), oggetto di proscioglimento.

3.2. Per quanto attiene alla prima doglianza,va osservato, anzitutto ed in linea di principio, che la definizione di "norma di parziale chiusura" del sistema, fornita dalla sezione disciplinare con riferimento alla contestazione di cui al capo a), risulta corretta ed aderente alla fattispecie delineata, nell’ambito della quale la compatibilità tra la previsione di un precetto cd. " a condotta libera" ed il sopra indicato principio informatore (di tipicità) della citata riforma risulta assicurata dallo specifico riferimento dei "comportamenti" sanzionabili ai doveri di "imparzialità,correttezza,diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio", nonchè a quelli di rispetto della dignità della persona, cui il magistrato, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, n. 1 deve improntare la propria condotta nell’esercizio delle proprie funzioni.

Premesso che nel novero dei "comportamenti" non rientrano soltanto, come si pretende nel mezzo d’impugnazione senza alcuna riscontro normativo, l’adozione di "atti" o "provvedimenti",ma anche le omissioni, in particolare in presenza di norme che prescrivano il compimento di attività processuali entro termini determinati va osservato che l’individuazione delle fattispecie sanzionabili non è rimessa all’arbitrio o all’illimitata discrezionalità dell’accusa e del giudice disciplinare, essendo comunque richiesta, ai fini della sussumibilità della condotta nell’ipotesi di illecito de qua, la specifica riconducibilità della condotta addebitata,commissiva o omissiva che sia, alla violazione di uno dei suindicati doveri primari del magistrato.

Tale riferimento pur lasciando un certo margine discrezionale nella concreta individuazione dei comportamenti (sia di facere, sia di non facere) lesivi, è sufficiente a garantire un presidio minimo di conformità dell’illecito al modulo legale, cui nella specie si sono attenuti la contestazione dell’addebito e la conseguente affermazione di responsabilità contenuta in sentenza, individuando in quelli di "diligenza e laboriosità" i doveri in concreto violati dall’incolpato,con la condotta omissiva contestatagli sub a).

3.3 Quanto alla lamentata, indebita e contraddittoria, commistione tra l’ipotesi di illecito sopra indicata e quella,di "grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile", già contestata sub g) e, tuttavia, esclusa dalla stessa sezione disciplinare, è agevole osservare come il pronunziato proscioglimento da tale originario addebito, sul la base della considerazione che il dott. C., ben conoscendo le norme che gli imponevano di dar luogo alle indagini, le aveva deliberatamente omesse per non giustificabili esigenze di tattica processuale, di a sufficientemente conto,senza incorrere in alcuna contraddizione, delle ragioni per le quali la sezione disciplinare, pur ritenendolo colpevole, per l’inidoneità delle addotte ragioni giustificative, della condotta sub a), abbia tuttavia escluso la configurabilità di quella sub g): non poteva, infatti, un deliberato comportamento temporeggiatore, motivato da esigenze connesse alla proficua gestione di un procedimento ritenuto preminente rispetto all’altro, considerarsi frutto di ignoranza o negligenza professionale,sicchè le due ipotesi di accusa, l’una confermata, l’altra esclusa, hanno conservato anche nella decisione e negli elementi essenziali delle rispettive motivazioni, l’originaria distinzione.

4. Con il quarto motivo, denunci ante "violazione ex art. 606, lett. e) in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2 lett. a) e d) agli artt. 326, 358, 405 e 407 c.p.c.", si confuta la ritenuta affermazione fondante del giudizio di responsabilità, quella secondo cui l’azione penale non sarebbe "stata volutamente esercitata per considerazioni di opportunità relative alla singola notizia di reato". Non sarebbe stato, in particolare, considerato: a) che il dott. C. avrebbe manifestato l’intenzione di portare avanti l’azione penale in questione rassicurando la parte offesa ed il difensore ed invitandoli ad attendere") che la propria scelta di soprassedere alle indagini sarebbe stata determinata non da valutazioni arbitrarie, bensì dall’esigenza di privilegiare un altro e ben più grave procedimento, nell’ambito di un contemperamento di interessi di cui preminente risultava,rispetto a quello di un "privato cittadino vessato da attività estorsiva", l’altro "volto alla esecuzione di una operazione di contrasto alla criminalità organizzata".

Nell’affermare la responsabilità del dott. C., i giudici disciplinari non avrebbero infine tenuto conto che l’operato del medesimo non aveva arrecato alcun danno alla parte offesa del processo-stralcio assegnatogli, nè ingiusto vantaggio all’imputato, come confermato dalla successiva condanna di quest’ultimo, all’esito di giudizio abbreviato; sicchè sarebbe mancato l’evento tipico dell’addebito disciplinare ascrittogli al capo a) e, comunque, la motivazione al riguardo sarebbe stata omessa.

4.1. Il mezzo d’impugnazione, fondato in relazione all’ultimo dei profili sopra esposti, va accolto nei limiti di seguito precisati.

4.2. Le ipotesi trasgressive di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) configurano,come è stato ben evidenziato nei commenti dottrinali alla nuova disciplina della responsabilità disciplinare contenuta nel D.Lgs. n. 109 del 2006, fattispecie di illecito ed "di evento",nei quali, non diversamente da quanto si verifica in campo penale per analoghe figure di reato,la consumazione non si esaurisce con la condotta tipica, ma esige la verificazione di un concreto accadimento lesivo, in danno del soggetto passivo,che costituisca la conseguenza diretta, voluta o comunque prevista dall’agente, dell’azione o omissione vietata. Tale configurazione,nel caso della fattispecie in questione, si desume chiaramente dalla formulazione della disposizione,che oltre a prevedere la violazione di uno dei doveri di cui all’art. 1, esige anche che la stessa arrechi "ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti".

Tanto premessola Sezione Disciplinare non avrebbe dovuto limitarsi alla valutazione della condotta, deontologicamente scorretta,nella vicenda in esame tenuta dal dott. C. in relazione ai doveri di cui all’art. 1 (segnatamente, nella specie,oltre a quelli espressamente menzionati nella contestazione, di diligenza e laboriosità, anche e soprattutto a quello d’imparzialità, la cui violazione pur sembra evincersi dal tenore complessivo degli addebiti),ma anche chiedersi e spiegare se dalla stessa fosse derivato,quale conseguenza diretta della condotta cosciente e volontaria dell’incolpato,o un effettivo pregiudizio ad una delle parti (quella offesa, il G.), oppure un indebito vantaggio all’altra (il I. ed il coimputato).

Tale accertamento sarebbe stato necessario, sia perchè nel capo d’incolpazione era stato (Ndr: testo originale non comprensibile) (sia pur con riferimento limitato all’"ingiusto danno a tale G."), sia perchè l’incolpato aveva, tra l’altro, addotto che "il procedimento era già maturo per ogni decisione,non necessitava di alcuna indagine" (v. pag. 6, cpv. 3, della sentenza impugnata), tanto da poter essere successivamente, come pur addotto dalla difesa, definito in sede di giudizio abbreviato con la condanna degli imputati.

4.3. La motivazione della sentenza impugnata si diffonde esclusivamente nell’analisi della condotta dell’incolpato,esprimendo un giudizio di disvalore più che esauriente e convincente, sia sotto il profilo logico, sia sul piano giuridico, analizzando e stigmatizzando, con dovizia di condivisibili argomenti, il comportamento del dott. C., che sebbene animato da intenti non di favoritismo, bensì di opportunità investigativa, li aveva perseguiti con modalità formalmente scorrette, non considerando che la sua qualità di sostituto, delegato dal titolare allo svolgimento delle indagini, non gli avrebbe consentito quell’astensione di fatto a tempo indeterminato. Tanto, per di più, in cospetto di un diniego sulla richiesta di assegnare ad altro magistrato il processo tenuto conto che i margini di relativa discrezionalità, nell’ambito dei quali può darsi la precedenza alla trattazione di un procedimento rispetto ad altro ritenuto di minore importanza,non consentivano comunque il totale accantonamento, incompatibile con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, di quello meno impellente, fino all’esaurimento del termine massimo per il compimento delle indagini preliminari.

4.4. La motivazione della sentenza,tuttavia,risulta assolutamente carente sotto il profilo dell’accertamento della verificazione di almeno uno degli eventi lesivi, l’ingiusto danno ad una parte e/o l’indebito vantaggio a favore dell’altra, non avendo spiegato la Sezione Disciplinare se e perchè la ritardata celebrazione del processo a carico del I. e del coimputato si fosse tradotta in un effettivo vantaggio per costoro o, per converso, in un ingiusto danno per la parte offesa denunciante. Tale concreta verifica, attinente all’evento del contestato illecito,sarebbe stata particolarmente necessaria nel contesto di una complessiva vicenda nella quale il pregiudizio del ritardo per la parte offesa, a sua volta imputata di gravissimi reati di criminalità organizzata,avrebbe potuto apparire soltanto teorico, mentre, sull’opposto versante, il dottor C. aveva dedotto che le risultanze già acquisite sarebbero state già sufficienti alla definizione di quel processo ed il successivo esito dello stesso (tenuto conto che il giudizio abbreviato ex art. 438 c.p.p. va celebrato "allo stato degli atti") sembrava confermare la tesi dell’incolpato.

4.5. Le considerazioni che precedono comportano il parziale accoglimento del motivo di ricorso, con necessità di rinvio alla Sezione Disciplinare per nuovo esame sul punto censurato e per l’eventuale rivalutazione, all’esito, del complessivo addebito, nelle parti superstiti al già intervenuto parziale proscioglimento.

Nell’ipotesi, infatti, in cui dovessero risultare insussistenti gli elementi oggettivi perfezionanti la consumazione dell’illecito di cui sub a), si renderà necessario riconsiderare la concreta gravità, anche al fine dell’eventuale applicazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis inserito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1 del rimanente addebito, relativo al comportamento scorretto integrante l’ipotesi di cui sub g), il cui severo giudizio di disvalore deontologico è stato strettamente collegato,dalla Sezione Disciplinare (nella parte finale della motivazione) ad una "irremovibile decisione di non procedere contro lo I.", in considerazione delle quali le "rassicurazioni dirette al difensore del G." avrebbero assunto il carattere della "plateale" violazione delle norme di comportamento cui deve essere improntataci confronti delle parti e dei difensori,la condotta del magistrato.

Avendo il giudice disciplinare,a tal riguardo, essenzialmente censurato il dott. C. per un sorta di riserva mentale,quella di "non procedere" nonostante le suddette "rassicurazioni" vale dire con un celato intento di danneggiare il G. e favorire il I., che tuttavia risulterebbe fortemente ridimensionato dall’eventuale accertamento dell’assenza di tale evento lesivo,tenuto conto in particolare della sufficienza degli atti già acquisiti dallo stralcio, ai fini della definizione di quel procedimento,si renderà necessaria in tale ipotesi una rivalutazione anche della residua condotta ascritta all’incolpato.

4.6 Tenuto conto, infine, del parziale accoglimento del ricorsole spese del presente giudizio vanno integralmente compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie in parte il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

Dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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