Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 15-02-2011, n. 3668 Ici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato al Comune di Castellina in Chianti, la s.p.a.

NICCOLAI – premesso che "il 12 febbraio 2002" aveva presentato "differenti ricorsi … contro tre avvisi di liquidazione ICI relativi agli anni 1998 – 1999 – 2000" emessi da detto Comune perchè l’ente non aveva "verificato la reale sua consistenza immobiliare" ("in particolare", non aveva tenuto conto "delle rendite catastali degli immobili di categoria C6, A1O e D1, già censiti con attribuzione di rendita") nè "della formale istanza" presentata da essa contribuente il 20 dicembre 2000 finalizzata ad "un ricalcolo della liquidazione ICI dovuta per il periodo 1993 – 2000, che tenesse conto, per gli immobili di categoria D7 censiti senza attribuzione di rendita, del valore dei costi di costruzione, opportunamente rivalutati in base ai coefficienti previsti D.Lgs. n. 504 del 1992 art. 5, comma 3," -, in forza di otto motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 42/30/05 (depositata il 24 gennaio 2005) con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, previa riunione, aveva respinto gli appelli da essa proposti avverso le decisioni (169/05/03, 170/05/03 e 171/05/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Siena che aveva disatteso i suoi ricorsi.

Nel proprio controricorso il Comune intimato instava per il rigetto dell’impugnazione.

Per l’udienza del 4 marzo 2010 entrambe le parti depositavano memoria ex art. 378 c.p.c..

Con ordinanza interlocutoria depositata il 4 giugno 2010 la sezione tributaria della Corte disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della causa a queste sezioni unite avendo ravvisato un contrasto nella giurisprudenza della stessa sezione in ordine all’oggetto della controversia.

La ricorrente, quindi, depositava ulteriore memoria.

Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale – premesso (1) che "con separati avvisi di liquidazione ed irrogazione di sanzioni" il Comune aveva chiesto alla società la "differenza ICI non pagata" per gli anni 1998, 1999 e 2000 (oltre interessi, sanzioni e/o soprattasse) e (2) che la contribuente aveva dedotto di aver presentato "al Comune … una istanza diretta ad ottenere" (a) "una nuova e diversa liquidazione dell’ICI (… pagata … in misura asseritamente maggiore rispetto al dovuto) per gli anni 1993 – 1991", (b) "la compensazione di quanto richiesto a titolo di rimborso con quanto dovuto per lo stesso titolo per gli anni 1998 – 1999 – 2000", nonchè (c) "il rimborso della differenza risultante a credito …una volta eseguita la compensazione" ("L. 12.885.000 per l’anno 1998") – ha respinto gli appelli riuniti della contribuente affermando che "l’operato del Comune" ("specie ove si consideri che, per l’anno 1998 la società appellante ha … pagato l’acconto calcolato sui valori poi contestati … che risultano dalla dichiarazione ICI presentata il 31 luglio 1999") è "immune da censure" (1) perchè "la determinazione dell’imponibile in base alle rendite catastali attribuite dall’UTE opera solo a partire dall’anno successivo a quello della iscrizione delle rendite in questione in catasto" ("iscrizione che, come documentato dal Comune è avvenuta in data 2 marzo 1999; mentre per il fabbricato di (OMISSIS) la attribuzione di rendita è avvenuta con il sistema DOCFA nell’anno 2001") e (2) in quanto "il metodo di calcolo è quello prescritto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 (per gli immobili non iscritti in catasto ma riconducibili al gruppo catastale D) che prevede la utilizzazione di coefficienti di rivalutazione da applicarsi sul costo storico di acquisto o di realizzazione". Il giudice di appello, poi, ricordato ("non va dimenticato") che "i ricorsi nascono non da impugnazioni di atti di accertamento, che coinvolgono comunque una valutazione, ma dalla impugnazione di avvisi di liquidazione di imposte non pagate" ("liquidazione effettuata in base ai valori dichiarati dal contribuente"), ha disatteso "la censura relativa al fatto che gli immobili di (OMISSIS) non apparterrebbero alla categoria D, ma alla Cat. A/2 ed A/10" in quanto "la categoria D è quella dichiarata dalla società nelle dichiarazioni annuali, e su queste il Comune ha calcolato la propria pretesa": "non si riscontra, perciò, nell’operato del Comune una violazione del disposto del D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 504, art. 11 posto che il controllo degli imponibili, ove fosse stato effettuato, avrebbe dato come risultato una conferma di quelli dichiarati, in considerazione di quanto sopra precisato", anche perchè "la consapevolezza da parte della A.C. dell’avvenuta attribuzione di rendita ad alcuni degli immobili oggetto dell’imposta non contraddice le conclusioni cui essa Commissione è pervenuta, posto che ciò che rileva è la data di efficacia delle nuove rendite".

La Commissione Tributaria Regionale, infine, ha disatteso "la censura … di illegittimità degli avvisi; impugnati per contrarietà al principio costituzionale scandito all’art. 53 Cost." adducendo che le "norme costituzionali costituiscono un vaglio di legittimità della legislazione ordinaria, mentre in questo caso si pretende di utilizzarle per valutare un provvedimento amministrativo, la cui legittimità va verificata con riferimento ad una norma che non è oggetto diretto di censura". 2. Il ricorso della società.

La contribuente impugna la decisione con otto motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione … del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 e della L. n. 342 del 2000, art. 74" esponendo che "una corretta applicazione" di tali norme avrebbe dovuto portare il giudice di appello "ad affermare che la determinazione dell’imponibile in base alle rendite catastali attribuite dall’UTE opera a partire … dall’anno della richiesta o comunicazione effettuata dal contribuente e non dall’anno successivo a quello di iscrizione delle rendite in catasto".

B. Con il secondo motivo la società – assunto aver "la Commissione Tributaria Regionale … accertato" (1) che "le iscrizioni in questione sono avvenute in data marzo 1999" e (2) che "per il fabbricato di (OMISSIS) la attribuzione della rendita è avvenuta con il sistema DOCFA nell’anno 2001" – denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" perchè il giudice avrebbe dovuto affermare l’obbligo del Comune di applicare "il calcolo in base alle rendite" dal "2000 per l’immobile di cat. D" ("iscritto in catasto nel 1999") e dal "1998" per gli altri ("già accatastati anteriormente al 1998").

C. Con il terzo motivo la contribuente denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" sostenendo che "il Comune avrebbe dovuto svolgere una verifica sulla scorta dei dati catastali della completa consistenza immobiliare e non soltanto sul parziale contenuto della dichiarazione del contribuente" perchè l’ente ha, "in ogni caso", "l’obbligo di verificare l’esattezza della base imponibile anche degli immobili non indicati nella dichiarazione del contribuente".

D. Con il quarto motivo la ricorrente – dedotto (a) che "non esiste alcuna relazione diretta tra il contenuto della dichiarazione effettuata dal contribuente e l’ammontare dell’imposta annuale" perchè questa "è dovuta sul valore dei beni complessivamente posseduti, indipendentemente dalla dichiarazione" e (b) che "il valore della base imponibile è determinato, in modo inderogabile, secondo l’unico criterio della rendita catastale" – denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" affermando che il Comune era tenuto a svolgere "ulteriori controlli" anche perchè nella sua istanza aveva chiesto il ricalcolo dell’imposta.

E. Con il quinto motivo la contribuente denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" per avere "la Commissione Tributaria Regionale omesso di motivare" sul "punto in cui afferma che "il metodo di calcolo è quello prescritto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 (per gli immobili non iscritti in catasto … riconducibili al gruppo catastale D".

G. Con il sesto motivo la società impugna il rigetto, operato dal giudice di appello, della circostanza (da essa addotta) che "negli immobili di (OMISSIS) non apparterrebbero alla categoria D ma alla cat. A/2 e A/10" e denunzia "violazione e falsa applicazione del n. 504 del 1992, art. 11 e del D.Lgs. n. 413 del 1991, art. 9 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" adducendo:

– "nelle dichiarazioni annuali … non viene indicata nessuna categoria catastale";

– "l’appartenenza degli uffici … alla categoria A10 risulta … dalla visura catastale prodotta";

– "i locali … da sempre adibiti ad uffici in data 8 luglio 1999 sono stati venduti … allo stesso Comune per adibirli a propri uffici";

– "la Commissione … non spiega perchè il controllo previsto dall’art. 11 … avrebbe in ogni caso condotto a valori uguali a quelli dichiarati" e la sentenza "è contraddittoria in quanto, se il controllo è previsto inderogabilmente dalla legge, la presunta irrilevanza dei risultati di controllo non fa venir meno la violazione alla norma in capo al Comune".

H. Con il settimo motivo la ricorrente contesta l’affermazione del giudice di appello secondo la quale "ciò che rileva è la data di efficacia delle nuove rendite" e denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 e della L. n. 342 del 2000, art. 74 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" esponendo che "il Comune avrebbe dovuto applicare il calcolo in base alle rendite per lo meno a partire dal 2000 per l’immobile di categoria D e dal 1998 per gli immobili di categoria A e C" in quanto, "per stessa ammissione della Commissione toscana", "l’immobile … categ. D fu iscritto al catasto nel 1999, mentre gli altri immobili di cat. A e C erano già accatastati anteriormente al 1998".

I. Con l’ottavo (ultimo) motivo la società denunzia "violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" per non avere il giudice di appello adeguatamente interpretato le disposizioni del D.Lgs. n. 504 del 1992 alla luce del principio di capacità contributiva dettato dalla norma costituzionale.

3. L’ordinanza n. 13581 depositata il 4 giugno 2010 dalla sezione tributaria.

La sezione – premesso che "i liquidatori della s.p.a. Niccolai hanno proposto ricorso contro gli avvisi di liquidazione con i quali il Comune di Castellina in Chianti ha richiesto il pagamento dell’ICI dovuta per gli anni 1998 – 2000, con interessi e sopratasse, relativamente agli immobili utilizzati dalla società per l’attività industriale di produzione di mangimi" deducendo "di aver richiesto al Comune di riliquidare l’I.C.I. dovuta, sulla base dei valori catastali, per gli anni dal 1993 al 1997 e di imputare quanto versato in eccesso al pagamento del dovuto negli anni successivi salvo rimborso del residuo (quantificato in L. 12.885.000)" – rileva che "sulla questione oggetto del ricorso sussiste contrasto nella giurisprudenza" di essa stessa sezione in ordine alla "norma di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3" (la quale "regola la determinazione della rendita di fabbricati posseduti da imprese secondo valori contabili dei soli immobili "non iscritti in catasto", ma precisa che la determinazione dell’imponibile riferita al costo contabile va eseguita, relativamente a tali fabbricati, "fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita" con riferimento alla data di inizio di ciascun anno solare, ovvero, se successiva, alla data di acquisizione (in questo senso: Cass. n. 12271/2004; 24235/2004, nonchè da ultimo e motivata con riguardo alla sopravvenuta Corte cast, n, 67/06, Cass. n. 27062/08)") perchè:

– "secondo la giurisprudenza sopra richiamata, il riferimento all’attribuzione della rendita contenuto nel citato art. 5, comma 3, evita che si possa valutare isolatamente la circostanza del solo accatastamento senza attribuzione di rendita, quando si tratti, come nella specie, di immobili speciali, cui non si attaglia il regine ordinario di cui al successivo art. 5, comma 4; gli immobili del gruppo D rientrano infatti nel regime ordinario ICI soltanto dopo che sia loro attribuita la rendita";

– "varie sentenze, anche successive, di questa medesima Sezione (Cass. 0969/09; 15764/08; 11391/07; 6255/07) ed ordinanze deliberate in Camera di consiglio (5376, 5377 e 5378/09) hanno, invece, ribadito che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale a tali immobili, ha natura dichiarativa e non costitutiva, con possibilità di efficacia retroattiva e di applicazione ai periodi precedenti a detta attribuzione, fino all’epoca della presentazione dell’istanza di accatastamento".

Per la sezione, "secondo il primo orientamento, la rendita catastale può essere utilizzata, in forza della L. n. 342 del 2000, art. 74, soltanto dall’annualità in cui avviene la notificazione dell’atto di attribuzione della rendita medesima (Cass. n. 3233/05), dovendosi riconoscere carattere costitutivo a detta attribuzione; mentre l’aggiornamento, in più o in meno, delle rendite degli anni pregressi, riguarderebbe i soli casi di variazione di rendite già attribuite (cfr. Cass. 5109/2005; 11162/2005; 16701/2007), rispetto alle quali non sembrerebbe controverso l’aggiornamento abbia valore ricognitivo – dichiarativo" mentre "in base al secondo orientamento, l’espressione "attribuzione di rendita" di cui al citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, deve intendersi nel senso che l’efficacia dell’atto coincide con l’istanza di accatastamento o variazione, che ha dato inizio al procedimento di attribuzione, non già con la materiale e finale annotazione dell’esito della procedura (c.d.

"messa in atti"): tale "assunto si fonda su varie argomentazioni…":

(1) "l’attribuzione della rendita procede dalla denuncia di accatastamento e si fonda su tali dati, quindi è riferibile allo stato dell’immobile in quel momento storico";

(2) "Il contribuente assolve al proprio onere con la denuncia all’Ufficio del territorio ed il tempo che l’Ufficio impiega per svolgere i propri compiti non può andare a vantaggio o detrimento dell’uno o dell’altro soggetto d’imposta, attivo e passivo";

(3) "il conguaglio è positivo o negativo tra la rendita definitiva e quella provvisoria anteriormente versata dal contribuente previsto per gli altri immobili dal combinato disposto di cui all’art. 5, comma 4 ed art. 11, comma 1, vigenti ratione temporis, e non vi sarebbe motivo per ritenere una disciplina diversa per gli immobili del gruppo "D", in quanto il sistema delineato dal legislatore sarebbe sostanzialmente simile".

La remittente ricorda, ancora, che "sulla "ratio" della disposizione contenuta nel citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, si è pronunziata – ritenendola giustificata – la Corte Costituzionale nella sentenza n. 67 del 2006, nella quale si è posto in evidenza come i fabbricati soggetti ad ICI e classificabili in gruppi catastali diversi dal gruppo D, in quanto "a destinazione ordinaria", sono ordinati in catasto per tariffe d’estimo, con la conseguenza che, in attesa dell’attribuzione della rendita, la loro base imponibile è agevolmente determinabile in relazione alla rendita "presunta" deducibile da fabbricati similari già iscritti in catasto (come previsto dal citato art. 5, comma 4). Viceversa i fabbricati del gruppo catastale D sono, per le loro caratteristiche funzionali e tipologiche, "a destinazione speciale", e sono, quindi, ordinati per rendita catastale ottenuta con si ima diretta (D.P.R. n. 604 del 1973, art. 7, comma 1), con la conseguenza che, in mancanza di tale stima, il legislatore ha preferito il criterio già sperimentato in tema di imposta straordinaria sugli immobili (ISI) – del costo rivalutato rilevabile dalle scritture contabili, in luogo di quello basato sulla rendita presunta, di più difficile applicazione riguardo a tali immobili. Un metodo, invece, obbligatorio riguardo ai fabbricati non posseduti da imprese, mancando un obbligo di tenuta delle scritture contabili a carico del possessore".

La sezione, infine, osserva (a) che "tuttavia, essendosi riproposto anche dopo di essa il richiamato contrasto all’interno di questa sezione, dovrà verificarsi se detta pronuncia della Corte costituzionale sia dirimente in ordine alla questione del carattere costitutivo, o dichiarativo dell’atto di attribuzione di rendita in relazione ai fabbricati di cui alla categoria "D";

(b) che "riguardo al caso di specie, andrebbe anche verificato, ove risultasse privilegiato l’orientamento circa il carattere "dichiarativo" dell’attribuzione di rendita, se esso sia riconoscibile anche a quella che si riferisce ad immobili già cerniti in catasto (Cass. n. 12436/04)". 4. La risoluzione del contrasto.

A. La divergenza interpretativa che queste sezioni unite sono chiamate a comporre, come emerge dalla riprodotta ordinanza della sezione tributaria, investe, in via principale, il disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, secondo il quale (limitatamente a quanto qui interessa) "per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con giusta rettifica in Gazz. Uff. n. 101 del 14 gennaio 1993) attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3 convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, applicando i … coefficienti" previsti dalla norma stessa (ovverosia con il criterio contabile, detto, comunemente, "valore di libro").

La diversità di interpretazione emersa in giurisprudenza, in particolare, riguarda la individuazione dell’"anno" in cui deve ritenersi verificato il presupposto legislativo che impone di considerare, non più il "valore di libro", ma il valore catastale attribuito all’immobile della categoria detta:

nell’una tesi, infatti, si è affermato che l’"anno" deve identificarsi in quello nel quale il titolare del diritto sul fabbricato ha chiesto all’Ufficio competente di attribuire all’immobile la rendita catastale propria e, per l’altra, nel diverso (se successivo) anno in cui tale rendita sia stata effettivamente attribuita, con l’ulteriore distinzione data dalla sufficienza della sola attribuzione (c.d. "messa in atti") ovvero dalla necessità di tener conto della notifica dell’attribuzione al contribuente, eventualmente operata in anno ancora diverso da quello dell’attribuzione.

B. Il contrasto va risolto affermando il principio di diritto (conforme a quello già enunciato da Cass., trib.: 17 giugno 2005 n. 13077; 16 marzo 2007 n. 6255; 15 maggio 2007 n. 11139; 11 marzo 2010 n. 5933) secondo cui "in tema di ICI e con riferimento alla base imponibile dei fabbricati non i-scritti in catasto, posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, ha previsto, fino alla attribuzione della rendita catastale, un metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili valido fino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata" dal contribuente:

"dal momento in cui fa la richiesta egli", invece, "pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile", "diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione (al sistema generale della rendita catastale, sicchè può avere il dovere di pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tal senso) o può avere il diritto a pagare una somma minore ed a chiedere il relativo rimborso nei termini di legge".

C. In via preliminare va ricordato:

(a) che con la L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 5 (contenente "delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di … finanza territoriale") – in forza del quale (giusta il "preambolo") il "Governo" ha emanato il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 ("riordino della finanza degli enti territoriali" proprio "a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421"), istitutivo (art. 1) dell’"imposta comunale sugli immobili" (ICI) – il legislatore delegante ha prescritto al delegato:

(2) con il n. 1, di tener conto del "valore" degli immobili soggetti all’imposta comunale da istituire, e (2) con il n. 3, di fissare la "determinazione del valore dei fabbricati sulla base degli estimi del catasto edilizio o valore comparativo in caso di non avvenuta iscrizione";

(b) che con la sentenza n. 67 del 24 febbraio 2006 la Corte Costituzionale ha escluso la irragionevolezza ("non è irragionevole") del "criterio di calcolo dell’ICI … basato sul valore dei fabbricati risultante dalle scritture contabili dell’imprenditore" ("cioè sul costo di acquisto, aumentato degli eventuali costi incrementativi"), nonchè negato ("ma neppure comporta") che tale criterio comporti "un tributo necessariamente maggiore di quello calcolato in base alla rendita catastale effettiva o presunta degli stessi fabbricati".

Di conseguenza deve ritenersi definitivamente acquisito che il "criterio di calcolo dell’ICI… basato sul valore dei fabbricati risultante dalle scritture contabili dell’imprenditore" costituisce, per i fabbricati considerati nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3 un "criterio di calcolo dell’ICI" autonomo rispetto a quello (da adottare, invece, per i "fabbricati iscritti in catasto") che assume a parametro di riferimento l’"ammontare delle rendite risultanti in catasto" o (specificamente "per i fabbricati, diversi indicati nei comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti… " ) che impone di far riferimento (in via provvisoria) alla rendita di "fabbricati similari già iscritti", e, soprattutto, definitivo, nel senso (Cass., trib., 29 ottobre 2010 n. 2112 3) della immodifinabilità di quel "criterio" (contabile) almeno per i periodi di imposta antecedenti (oppure, fino) all’anno di presentazione della richiesta di attribuzione della rendita catastale.

D. La corretta risoluzione della divergenza giurisprudenziale impone, poi, di tener conto, a fini ermenutici, del pregnante valore dei precetti contenuti nel comma 1 sia dell’art. 53 Cost. ("tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva") che dell’art. 3 Cost. ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione"), il rispetto dei quali esige che si adotti sempre, tra le possibili, una soluzione interpretativa che non sia in contrasto con il dettato costituzionale.

D.1. Per la prima di dette norme, la "capacità contributiva" (quale concretamente individuata, per ciascuna imposta, dal legislatore ordinario, con scelte il giudizio relativo alle quali è rimesso alla corte delle leggi non irrazionali) deve costituire l’unico parametro di riferimento effettivo; il suo senso concreto, quindi, impone di escludere qualsiasi interpretazione da cui possa derivare la soggezione del contribuente ad un prelievo fiscale maggiore o minore di (comunque diverso da) quello effettivamente voluto dal legislatore: "la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese", infatti, "esige" (Corte Cost., ordinanza 28 novembre: 2008 n. 394) "…l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo a un effettivo indice di ricchezza".

D.2. L’eguaglianza tutelata dall’altra disposizione, poi, non consente di operare una interpretazione dalla quale discenda una regolamentazione diversa di situazioni giuridiche identiche.

E. La portata precettiva di dette disposizioni costituzionali legittima solo il percorso interpretativo per il quale, ai fini dell’ICI, gli effetti dell’attribuzione della rendita catastale ad un immobile classificato nel "gruppo catastale D" debbono decorrere dalla data di richiesta di accatastamento e non dalla successiva di "messa in atti" o di notificazione al contribuente della rendita attribuita.

E.1. In base al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3 per i "fabbricati classificabili nei gruppo catastale D", il criterio "contabile" deve essere applicato "fino all’anno nei quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita":

per la norma, quindi, l’iscrizione in catasto di detti "fabbricati" determina, ipso jure, il passaggio dal criterio (di determinazione del valore) "contabile" a quello "catastale".

L’attribuzione della rendita, pertanto, fa sorgere (in capo ad entrambi i soggetti del rapporto obbligazionario) il diritto – dovere di determinare (e, quindi, corrispondere) l’imposta sulla (sola) "base imponibile" individuata, come per tutti i "fabbricati iscritti in catasto", ai sensi dell’art. 5, comma 2.

Nonostante l’indubbia influenza del tenore testuale ("fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita"), la lettura della norma nel senso della individuazione, in quello di attribuzione della rendita e/o di notifica della stessa, dell’"anno" sino al quale (giuridicamente) si deve applicare (in via definitiva) il criterio contabile di cui all’art. 5, comma 3 (e, di converso, in quello successivo l’"anno" dal quale l’imposta, per il medesimo art. 5, comma 2 deve essere calcolata sulla base della "rendita catastale" ), giusta i parametri costituzionali evocati all’inizio, non è condivisibile.

Quella lettura, infatti, fa dipendere il momento del passaggio dall’uno all’altro criterio di imposizione da quello in cui il fatto (attribuzione della rendita e sua "messa in atti" e/o notifica) è posto in essere da un terzo (l’ufficio competente), al quale finisce per riconoscere il potere di vanificare, quand’anche solo per il tempo (comunque necessario per l’adozione del provvedimento, quindi a prescindere anche da ritardi abnormi ed ingiustificati) intercorrente tra la domanda di accatastamento e la "messa in atti" e/o la notifica della rendita attribuita, la legittima ed insindacabile scelta del contribuente a che la "base imponibile" dell’imposta comunale dovuta sul suo fabbricato classificato "nel gruppo catastale D" sia determinata in forza del dettato di cui all’art. 5, comma 2 e, quindi, in definitiva, coonesta l’applicazione (in via definitiva) del criterio impositivo c.d. del "valore di libro" diverso da quello voluto dal legislatore.

E.2. Ciò detto, è tuttavia necessario soffermarsi sul disposto del della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1 secondo il quale "a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita".

Tenuto conto dell’art. 3 Cost., invero, l’espressione "sono efficaci solo da decorrere dalla loro notificazione" va intesa nel senso che la notifica degli atti attributivi è soltanto condizione della loro efficacia: la valenza semantica, oltre che tecnico giuridica, dell’aggettivo "efficaci", invero, non consente di inferire nessuna volontà legislativa di attribuire alla notifica, "ai soggetti intestatari della partita", del provvedimento attributivo della rendita una qualche forza costitutiva (una efficacia, cioè, ex nunc) e non (quale portato naturale proprio del provvedimento di attribuzione della rendita) meramente accertativa della concreta situazione "catastale" dell’immobile: il successivo inciso "solo a decorrere dalla loro notificazione" indica inequivocamente l’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita se non notificata ma non esclude affatto la utilizzabilità della rendita (una volta) notificata a fini impositivi anche per annualità d’imposta per così dire "sospese", ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.

Si consideri, in proposito, che sino al momento della loro abrogazione – disposta dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 173, lett. a), – quindi sino al 31 dicembre 2006, vigevano:

– il D.Lgs. ICI, art. 5, comma 4 secondo cui "per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti, anche se dovute ad accoramento di più unità immobiliari, che influiscono sull’ammontare della rendita catastale, il valore è determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti" e – il medesimo D.Lgs., art. 11, comma 1 il quale – dopo aver disposto che "se la dichiarazione è relativa ai fabbricati indicati nel comma 4 dell’art. 5, il comune trasmette copia della dichiarazione all’ufficio tecnico erariale competente il quale, entro un anno, provvede alla attribuzione della rendita, dandone comunicazione al contribuente e al comune" – reca (va) il seguente inciso: "entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione, il comune provvede, sulla base della rendita attribuita, alla liquidazione della maggiore imposta dovuta senza applicazione di sanzioni, maggiorata degli interessi nella misura indicata nell’art. 14, comma 5 ovvero dispone il rimborso delle somme versate in eccedenza, maggiorate degli interessi computati nella predetta misura.

Dalla logica combinazione di tali norme non può non evincersi (atteso che l’eventuale opinione contraria finirebbe per elidere del tutto la valenza della ultimo disposto normativo in ordine all’obbligo del comune di provvedere "alla liquidazione della maggiore imposta dovuta" od al "rimborso delle somme versate in eccedenza") (2) che il "valore … determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti" produce effetti meramente provvisori (cioè fino alla "comunicazione" della "rendita attribuita") e, soprattutto, (2) che la comunicazione di attribuzione della rendita impone alle parti del rapporto tributario concernente l’ICI (pure nel vigore dell’art. 74 detto) di determinare l’imposta effettivamente dovuta, anche per le annualità pregresse, in base alla "rendita attribuita" (intesa per tale, naturalmente, quella divenuta comunque definitiva, o per mancata impugnazione o per conclusione dell’eventuale giudizio di impugnazione).

L’inciso dell’art. 11 detto, quindi, quanto agli immobili ivi considerati, svolge l’evidente funzione di ricondurre ad uniformità il sistema di determinazione dell’imposta perchè prescrive di considerare (in via definitiva) comunque – giusta il principio generale posto dall’art. 5 per il quale comma 1 la "base imponibile dell’imposta è il valore degli immobili", da determinare secondo comma in relazione all’"ammontare dette rendite risultanti in catasto" – unicamente il "valore", voluto dal legislatore (anche delegante: supra, sub B), fissato (secondo comma dello stesso art. 5) in base all’"ammontare delle rendite risultanti in catasto":

nell’ipotesi regolata, quindi, il legislatore, per i fabbricati "indicati nell’art. 5, comma 4" considera "rendite risultanti in catasto" quelle attribuite successivamente all’anno d’imposta considerato:

in sintesi, "per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti" la determinazione della "base imponibile" ai fini dell’ICI va sempre definitivamente effettuata sulla base della rendita catastale, a prescindere dall’epoca sia di attribuzione che di comunicazione della stessa.

E.3. La necessità scaturente dagli artt. 3 e 53 Cost. di applicare l’imposta, in via definitiva, in base al parametro impositivo prescelto dal legislatore evidenzia, infine, la fragilità della tesi giurisprudenziale che esclude l’applicabilità, alle annualità di imposta anteriori all’attribuzione, della rendita attribuita ai fabbricati classificati "nel gruppo catastale D": tale tesi, infatti, è fondata unicamente sul dato testuale del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 4 ("i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto"), ma non considera che quel dato trova la logica della esclusione dei "fabbricati … indicati nel comma 3" non già in una volontà del legislatore di diversificare il trattamento fiscale degli stessi ma solo (cfr. Corte Cost. cit.) nell’impossibilità (perchè la valutazione catastale di quelli è operata con "stima diretta", quindi, con valutazione di ciascun fabbricato, considerato per le sue peculiarità) di applicare a tali "fabbricati", anche se in via meramente provvisoria, la "rendita dei fabbricati similari già iscritti" (la cui valutazione catastale è, invece, determinata con criteri di "estimo").

5. Le ragioni della decisione.

A. L’applicazione al caso del principio di diritto affermato al punto B del paragrafo che precede importa l’accoglimento del primo motivo di ricorso della società essendo erronea l’affermazione, sulla quale la Commissione Tributaria Regionale ha fondato il punto della decisione gravata, secondo cui "la determinazione dell’imponibile in base alle rendite catastali attribuite dall’UTE opera solo a partire dall’anno successivo a quello della iscrizione delle rendite in questione in catasto".

B. Tanto determina l’inutilità dell’esame dei successivi quattro motivi ("calcolo in base alle rendite" del "2000 per l’immobile di cat. D" e dal "1998" per gli altri; "obbligo" del Comune di "verificare l’esattezza della base imponibile . . degli immobili non indicati nella dichiarazione"; obbligo del Comune di "ulteriori controlli" avendo chiesto il ricalcalo dell’imposta; vizio di motivazione in ordine al ""metodo di calcolo … prescritto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 (per gli immobili non iscritti in catasto … riconducibili al gruppo catastale D)") nonchè delle censure svolte negli ultimi due motivi ("violazione … del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 11 e della L. n. 342 del 2000, art. 74";

"violazione … dell’art. 53 Cost.") essendo evidentemente assorbite le doglianze esposte negli stessi.

C. Il sesto motivo di ricorso (avente una sua autonomia), infine, è inammissibile perchè la censura – che, in sostanza, inerisce unicamente alla categoria catastale attribuita agli "immobili di (OMISSIS)" – si fonda, essenzialmente, sull’affermazione secondo la quale "l’appartenenza degli uffici … alla categoria A10 risulta . . . dalla visura catastale prodotta", quindi dalla mera lettura di un atto del processo: il vizio, quindi, denunzia un errore di percezione e non di interpretazione in cui sarebbe incorso il giudice di appello e, pertanto, riveste natura evidentemente revocatoria ai sensi dell’art. 391 c.p.c. La doglianza, peraltro e comunque, è altresì inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c. (a) perchè supportata da dati di fatto ("nelle dichiarazioni annuali … non viene indicata nessuna categoria catastale"; "i locali … da sempre adibiti ad uffici. . . . sono stati venduti . . , allo stesso Comune per adibirli a propri uffici") privi degli afferenti riferimenti documentali e (2) non consente di stabilire se la categoria "A" 1 sia già stata attribuita dal competente ufficio (il che riporta l’eventuale vizio nell’ambito dell’errore revocatorio) oppure costituisca un’ eccezione opposta dalla, società unicamente ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5.

D. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa, siccome bisognevole dei necessari accertamenti di fatto, deve essere rinviata a sezione diversa della stessa Commissione Tributaria Regionale che ha pronunciato la decisione annullata affinchè (1) riesamini i punti della controversia investiti dal motivo accolto e da quelli ritenuti assorbiti facendo applicazione del principio di diritto enunciato al 4 (punto B) e (2) provveda anche a regolare le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il sesto; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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