T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 18-01-2011, n. 133 Condono Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Riferiscono gli esponenti di avere acquistato, a metà degli anni "80, insieme ai sigg.ri V.V.R. e S.F., un complesso edilizio in Comune di Turbigo, costituito da un impianto di piscicoltura realizzato negli anni "60 dalla Soc. Ittiogenica del Ticino, poi abbandonato.

Tale impianto era costituito da un vasto appezzamento di terreno, sul quale insistevano le vasche di allevamento e da un edificio di due piani fuori terra.

In occasione dell’acquisto, l’edificio sarebbe stato, quindi, diviso verticalmente in due unità, in modo che ciascuna famiglia (quella dei ricorrenti e l’altra, dei controinteressati) sarebbe rimasta proprietaria esclusiva di una porzione, dislocata sia al piano terreno che al primo piano, mentre all’esterno sarebbe restata un’area comune, funzionale all’accesso al fabbricato ed ai terreni attigui. Sempre stando alla ricostruzione dei ricorrenti, successivamente all’acquisto ciascuno dei due proprietari avrebbe provveduto a completare la rispettiva porzione, apportandovi anche delle varianti esecutive che – per quanto attiene alla porzione di proprietà dei ricorrenti – sarebbero state poi oggetto di una procedura di condono edilizio, conclusasi con il rilascio della concessione in sanatoria n. 50 del 3/4/1997.

Successivamente, a seguito di esposto da parte dei vicini, odierni controinteressati, il Comune di Turbigo avrebbe fatto eseguire sull’area de qua alcuni sopralluoghi, all’esito dei quali sarebbero stati riscontrati gli abusi, richiamati nelle ordinanze di demolizione oggetto di odierna impugnazione.

Riepilogando, quindi, con il primo ricorso sono state impugnate le due ordinanze di demolizione, nn. 95 e 96 del 1998, evidenziando i profili di illegittimità di seguito, in sintesi, riportati:

1) violazione e falsa applicazione delle leggi n.47/85 e n.457/78; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione e di istruttoria. Ciò, in quanto, a mente degli esponenti, si tratterebbe di opere che non richiederebbero la concessione ma, semmai, l’autorizzazione edilizia; quanto, poi, al "getto cementizio" di cui all’ordinanza n.95/98, si tratterebbe di un intervento di risalente realizzazione, già ricompreso nella concessione in sanatoria n.50 del 3/4/1997, riguardante anche le opere esterne di sistemazione dell’area di pertinenza, assentita previo parere del Consorzio del Parco Lombardo della Valle del Ticino.

2) carenza assoluta di motivazione e di istruttoria ed illogicità manifesta.

Nessuno si è costituito per la parte intimata.

Con ordinanza n. 3660 del 17 dicembre 1998 è stata respinta la domanda incidentale di sospensione.

Con memoria depositata il 15.10.2009, la difesa dei ricorrenti ha riferito che, successivamente alle ordinanze di demolizione sopra indicate, i medesimi ricorrenti avrebbero provveduto a rimuovere, sia i pannelli in legno che erano stati appoggiati alla recinzione di confine della loro proprietà, che la baracca in legno per gli attrezzi (ovvero, ciò che rappresentava l’oggetto dell’ordinanza di demolizione n.96/98); mentre, quanto all’ordinanza n.95/98, lo stesso patrocinio ha riferito di avere presentato istanza di sanatoria edilizia, avente, quindi, ad oggetto la gettata in cemento relativa alla rampa di accesso al box e una cabina per il ricovero dei contatori dell’ENEL.

Sennonché, in risposta alla predetta istanza, il Comune di Turbigo, con nota prot. 17522 dell’11.11.1999, avrebbe subordinato il rilascio del titolo in sanatoria all’assenso dei comproprietari V.V.R. e S.F..

Ritenendo tale risposta pregiudizievole per i propri interessi, gli istanti hanno proposto il secondo dei ricorsi in epigrafe indicati (n. 418/2000), deducendo i motivi di seguito specificati:

1) violazione e falsa applicazione delle leggi n.47/85 e n.457/78; eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento. Ciò, in quanto, secondo i ricorrenti la giurisprudenza sarebbe incline a riconoscere il diritto del comproprietario proindiviso a chiedere ed ottenere il rilascio della concessione edilizia relativa al bene in comproprietà, restando l’amministrazione del tutto estranea alla verifica dei rapporti civilistici in atto fra i vari soggetti interessati.

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e ss della legge n. 241/1990. Ciò, in quanto gli stessi ricorrenti non sarebbero mai stati informati dal Comune, nell’ambito del procedimento di sanatoria, dell’esistenza di una "richiesta di riduzione in pristino dello stato dei luoghi" da parte degli odierni controinteressati, così come indicato nell’atto dell’11.11.1999 oggetto d’impugnazione.

Nessuno si è costituito per il Comune intimato e per i controinteressati.

Con ordinanza n. 685 del 26 febbraio 2000 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione.

Con sentenza non definitiva in data 18.11.2009 la Sezione ha disposto incombenti istruttori, per verificare, tra l’altro, le opere già ricomprese nella concessione in sanatoria n. 50/1997 e l’esistenza di un espresso diniego dei controinteressati alla richiesta sanatoria.

In esito a tale richiesta, con documentazione depositata in data 01.02.2010, il Comune di Turbigo ha fatto presente, tra l’altro, come non risulti in modo chiaro dalla documentazione rinvenuta presso gli uffici comunali, se la pavimentazione cementizia di una parte del cortile comune sia stata o meno inclusa nella domanda e, quindi, nella concessione in sanatoria n.50/1997, mentre ha prodotto copia della corrispondenza intercorsa con i controinteressati, a riprova del loro dissenso alla sanatoria degli abusi realizzati dagli odierni ricorrenti.

Alla pubblica udienza del 9 novembre 2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, ritiene il Collegio di dovere prendere atto della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso introduttivo, poiché, come risultante dall’ultima memoria della difesa ricorrente e documentato agli atti di causa, le opere oggetto dell’ordinanza n. 96/98 e la rete metallica indicata sub lett. b) dell’ordinanza n.95/1998 sono state rimosse dagli esponenti mentre, quanto alle restanti opere indicate sub lett. a) e c) dell’ordinanza n. 95/1998, per esse i ricorrenti medesimi hanno presentato apposita richiesta di autorizzazione in sanatoria.

In tali evenienze, da un lato, è evidente che la presentazione dell’istanza di condono successivamente all’ordinanza di demolizione produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione dell’ordine di demolizione, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell’abusività dell’opera, sia pure al fine di verificarne l’eventuale sanabilità, provocato dall’istanza di condono, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 26 gennaio 2009 n. 437).

Ma anche per le restanti opere, la loro sopravvenuta demolizione a cura dei ricorrenti non può che denotare una improcedibilità del ricorso nel senso sopra precisato, non essendo stato dagli esponenti allegato e dimostrato l’interesse che deriverebbe loro da un accoglimento del ricorso introduttivo in relazione alle dette opere, ormai demolite (e, per vero, nella memoria depositata il 15.10.2009, gli esponenti allegano l’interesse all’annullamento solo in relazione agli interventi sui quali è stata presentata l’istanza di condono, esitata dall’amministrazione con un atto che subordina la definizione del procedimento autorizzatorio al conseguimento del consenso da parte dei comproprietari qui controinteressati).

Ebbene, proprio con riguardo alla domanda di condono relativa agli interventi abusivi non demoliti, avendo il Comune ritenuto di dovere, con comunicazione prot. n. 17522 dell’11.11.1999, richiedere l’atto di assenso da parte dei comproprietari dell’area comune, gli esponenti sono insorti con i motivi aggiunti in premessa specificati, lamentando la illegittimità di tale richiesta.

A seguito dell’ordinanza cautelare di questa Sezione n.685/2000, il Comune ha adottato l’autorizzazione in sanatoria n. 15578 del 21.09.2000, ma con efficacia subordinata all’esito dell’odierno giudizio.

Tanto premesso, il Collegio ritiene che i motivi aggiunti non possono trovare accoglimento, per le ragioni sintetizzate in seguito.

Per vero, non si ignora l’orientamento giurisprudenziale che, sulla scorta del disposto dell’art. 31, comma III, della legge 28 febbraio 1985, nr. 47, considera legittimato a richiedere la concessione in sanatoria anche il soggetto, diverso dal proprietario, comunque interessato alla rimozione degli abusi, in ipotesi di inerzia del proprietario medesimo, e salva la facoltà di rivalersi su di lui (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2008, nr. 3282). Tuttavia, laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, è evidente l’inapplicabilità del principio suindicato in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari; diversamente opinando, l’Amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri (cfr. Consiglio di Stato sez. IV^, 26 gennaio 2009 n. 437).

Ecco perché, in situazioni analoghe a quella che occupa, si è ritenuto che l’Amministrazione debba chiedere all’istante, in applicazione delle norme generali in tema di rilascio della concessione edilizia, di provare di avere la disponibilità piena dell’area interessata all’abuso e, quindi, di provare, quanto meno per fatti concludenti ma comunque in modo positivo, l’assenso degli altri comproprietari (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2003, nr. 6529). Naturalmente, non occorreranno atti formali che documentino un assenso del condominio all’occupazione di spazi comuni da parte del soggetto che ha realizzato gli abusi, essendo sufficiente che sussista anche solo un pactum fiduciae in tal senso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2003, nr. 5445).

Orbene, nel caso che occupa, l’Amministrazione ha correttamente ritenuto carente la prova suindicata, tenuto conto, non solo e non tanto, che sarebbe stato onere degli esponenti, in forza delle disposizioni generali innanzi richiamate, di fornire la prova dell’assenso (anche tacito) dei condomini (per cui non spettava all’Amministrazione colmare, attraverso una propria attività istruttoria, tale lacuna probatoria), ma, altresì, che dalla corrispondenza intercorsa fra il Comune e gli odierni controinteressati era chiaramente emerso il dissenso di questi ultimi in ordine alla sanatoria di che trattasi.

Ne consegue la infondatezza dei motivi aggiunti come sopra formulati.

Per le considerazioni sin qui esposte, il ricorso introduttivo si appalesa improcedibile e quello per motivi aggiunti infondato.

Sulle spese, il Collegio ritiene di dovere disporre il non luogo a provvedere, stante la mancata costituzione delle parti intimate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, dichiara improcedibile il primo e respinge i secondi.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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